LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –
Dott. MANNA Felice – Presidente di Sez. –
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –
Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28763/2018 proposto da:
S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ACHILLE PETRIELLO;
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO DISTRETTUALE DI DISCIPLINA DI MILANO;
– intimato –
avverso la decisione n. 1047/2016 del CONSIGLIO DISTRETTUALE DI DISCIPLINA presso la CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/03/2018.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/05/2019 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’inammissibilità
dei ricorso;
udito l’Avvocato Achille Petriello.
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto ingiuntivo del marzo 2015 il Tribunale di Milano ingiungeva alla COES COMPANY s.r.l. ed alla SERI S.p.a., il pagamento della somma di Euro 1.623.071,15, oltre interessi e spese in favore di COES S.p.a., in liquidazione ed in concordato preventivo, rappresentata dall’avv. S.S..
Le società ingiunte proponevano separate opposizioni avverso i decreto ingiuntivo, ma entrambe le cause venivano iscritte a ruolo da SE.R.I. S.p.a., assumendo i numeri di ruolo 29120/15 e 29121/15 R.G. e venendo assegnate a distinti magistrati, con prima udienza fissata rispettivamente il 3 dicembre 2015 ed il 19 gennaio 20.16.
L’Avvocato S., nell’interesse dell’opposta COES S.p.a. si costituiva in entrambi i giudizi, depositando comparsa di risposta.
Successivamente accadeva che, dopo il rigetto nell’ambito dei giudizio n. 29120/15 della richiesta di concessione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo con provvedimento dell’11 febbraio 2016, a seguito della rimessione al Presidente del Tribunale del fascicolo dell’altro giudizio nella prima udienza del 19 gennaio 2016, di esso fosse disposta l’assegnazione al giudice del giudizio n. 29120/15, il quale, successivamente alla riunione dei giudizi disposta all’udienza del 28 aprile 2016 e ad un rinvio per la discussione sulla provvisoria esecutività, all’udienza del 1 giugno 2016 si riservava sulla richiesta di concessione della provvisoria esecuzione del decreto emesso contro la COES COMPANY relativa al giudizio n. 29121/15 e la negava con ordinanza riservata dell’8 settembre 2016.
L’Avvocato S., con riferimento al detto decreto lo stesso 1 giugno 2016 presentava in via telematica istanza al giudice del Tribunale di Milano che aveva emesso il decreto ingiuntivo contro la COES COMPANY istanza di declaratoria dell’esecutività del decreto ai sensi dell’art. 647 c.p.c., adducendo che l’opposizione da essa proposta non era stata iscritta a ruolo dalla medesima.
L’istanza veniva accolta con decreto del 30 giugno 2016.
2. Frattanto, a seguito di esposto del 24 maggio 2016, presentato dall’Avvocato Carlo Grillo, difensore della COES COMPANY il Consiglio Distrettuale di Disciplina presso la Corte d’Appello di Milano avvia procedimento disciplinare a carico dell’Avvocato S. imputandogli la seguente incolpazione: “Violazione dell’art. 19 e art. 50, nn. 5 e 6 ncdf perchè, quale difensore della società COES SPA in liquidazione ed in concordato preventivo, richiedeva in data 1 giugno 2016 ed otteneva in data 30 giugno 2016 dal tribunale di Milano – nella persona del giudice Dott. Sc. – la concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo n. 7580/2015 nei confronti dell’ingiunta COES COMPANY srl omettendo di rappresentare la pendenza del procedimento di opposizione R.G. 29120/15 Dott. M. promosso da Coes Company srl”.
Il procedimento, iscritto al n. 1047/2016, sfociava nella decisione del 13 marzo 2018, con la quale il COA, sul presupposto che al Magistrato al quale era stata inoltrata la richiesta ex art. 647 c.p.c., non fosse stata fornita dal S. una corretta rappresentazione della vicenda processuale e che tale condotta lo avesse tratto in errore inducendolo ad emettere il provvedimento richiesto, e – considerando inoltre che l’iscrizione a ruolo riferita alla SE.R.I. anzichè alla COES COMPANY avesse determinato un mero errore materiale in ordine al nome dell’attore nella iscrizione a ruolo e non una nullità processuale, essendo agevolmente riconoscibile e non idoneo ad indurre la parte destinataria della notifica dell’atto di citazione in errore nell’individuazione di quale fosse la causa iscritta a ruolo – rilevata la responsabilità disciplinare dell’Avvocato S. e gli infliggeva la sospensione di due mesi dell’esercizio della professione per violazione dell’art. 19 e art. 50, comma 5 del Codice Deontologico Forense.
3. L’Avvocato S. ha depositato presso questa Corte un atto datato 20 aprile 2018, recante la seguente duplice espressa indicazione come “oggetto”: – “Ricorso per Cassazione ex art. 28 c.p.p., lett. a), per denuncia di conflitto fra il Consiglio Distrettuale di Disciplina, il Consiglio Nazionale Forense quali giudici speciali nell’attuale procedimento 1047/2016 ed il Tribunale di Milano Sez. XII civile G.I. Dott. M.C. giudice naturale ordinario nel procedimento N. 29120/2015 RG”; – “Ricorso ex art. 33 Reg. 21 febbraio 2014, n. 2, nonchè L.P. n. 247 del 2012, art. 61, avverso la decisione della sezione del Consiglio Distrettuale di Disciplina presso la Corte d’Appello di Milano che in data 22 febbraio 2018 infliggeva all’Avv. S.S. la sanzione della sospensione per violazione dell’art. 19 e art. 50, comma 5 del Codice deontologico Forense”.
Successivamente a tale indicazione dell’oggetto, l’atto si qualifica come “ricorso per cassazione” quanto all’indicata enunciazione del conflitto e di “impugnazione” diretta al Consiglio Nazionale Forense quanto all’indicato ricorso contro la decisione del COA.
Nelle conclusioni successive all’illustrazione l’atto chiede: a) alla Corte di Cassazione “la risoluzione del conflitto con rimessione al giudice ordinario del Tribunale di Milano, unico giudice naturale, per altro già investito del problema, a giudicare sulla materia con conseguente cassazione del provvedimento impugnato”; b) a Consiglio Nazionale Forense “la riforma del provvedimento ricorso con la formula non luogo a procedere per insussistenza del fatto”.
4. La trattazione dell’incombente è stata fissata all’odierna udienza davanti alle Sezioni Unite, attesa l’inerenza alla materia disciplinare forense.
5. In vista dell’udienza il Procuratore Generale presso la Corte ha depositato conclusioni scritte, nelle quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso ed ha reiterato tale richiesta nella pubblica udienza, nella quale è comparso anche il difensore del ricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare rilevano le Sezioni Unite che l’atto indirizzato a questa Corte si deve individuare – non diversamente da quel che ha rilevato il P.G. – soltanto nel ricorso per conflitto ai sensi dell’invocata norma del Codice di Procedura Penale, essendo invece il ricorso contro la decisione del COA indirizzato al Consiglio Nazionale Forense e come tale non rivolto alla Corte.
2. Il ricorso per conflitto è stato depositato come ricorso in materia civile e, quindi, deve ritenersi indirizzato alla Sezioni Unite Civili, stante l’inerenza alla materia disciplinare forense.
L’evocazione della norma del processo penale, come paradigma normativo del preteso conflitto appare priva di fondamento normativo.
E ciò ancorchè la giurisprudenza di questa Corte in sede penale interpreti quel paradigma nel senso che “E’ configurabile, “sub specie” di caso analogo, conflitto di competenza tra giudice civile e giudice penale, se e in quanto si determini una situazione di stasi processuale eliminabile solo con l’intervento della Corte regolatrice” (Cass. Pen., n. 19547 del 2004) ed abbia di recente affermato che “Il giudice penale che, dopo avere declinato la competenza a favore del giudice civile, si veda restituiti da quest’ultimo gli atti sul presupposto che la competenza spetti al giudice penale, ha l’obbligo di trasmettere gli atti alla Corte di cassazione per la decisione del conflitto, vertendosi in una delle ipotesi di cui all’art. 28 c.p.p., comma 2 (In applicazione del principio, la Corte ha dichiarato abnorme l’ordinanza del giudice dell’esecuzione penale che aveva dichiarato non luogo a provvedere sulla richiesta della parte di sollevare conflitto)” (Cass. Pen. n. 31843 del 2019; in altra decisione è stato affermato che “Il conflitto negativo improprio di competenza insorto tra il giudice di pace, procedente nella causa civile di opposizione all’ingiunzione di pagamento della sanzione pecuniaria irrogata in relazione ad un’infrazione amministrativa, e il giudice penale, procedente per il delitto ascritto ad uno dei due attori opponenti in sede civile, deve essere risolto con l’affermazione della competenza del giudice di pace qualora non emerga alcun profilo di connessione ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 24”: Cass. Pen., n. 5603 del 2008).
La norma dell’art. 28 c.p.p., pur così interpretata, suppone che la materia del conflitto venga in rilievo dinanzi ai giudice penale e difetta manifestamente tale presupposto.
D’altro canto, l’intervento delle Sezioni Unite in ambito disciplinare forense è previsto dalla norma del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56, comma 3 (tuttora in vigore come riconosciuto dal D.Lgs. n. 179 del 2009, art. 1, comma 1) e ribadito dalla L. n. 247 del 2012, art. 36, comma 6, certamente come espressione della sua giurisdizione civile, tanto che è risalente la giurisprudenza di queste Sezioni Unite secondo cui “Il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, avverso le decisioni in materia disciplinare del consiglio nazionale forense, e soggetto, in difetto di espressa previsione contraria, ai principi generali del codice del rito civile” (si veda già Cass., Sez. Un., n. 2176 del 1981; di seguito: Cass., Sez. Un. nn. 1105 del 1983; n. 2645 del 1987; n. 2434 del 1997; n. 21272 del 2010; n. 13797 del 2012). Inoltre, è pacifico che “Nel procedimento disciplinare a carico degli avvocati trovano applicazione, quanto alla procedura, le norme particolari che, per ogni singolo istituto, sono dettate dalla legge professionale e, in mancanza, quelle del codice di procedura civile, mentre le norme del codice di procedura penale si applicano soltanto nelle ipotesi in cui la legge professionale vi faccia espresso rinvio, ovvero allorchè sorga la necessità di applicare istituti che hanno il loro regolamento esclusivamente nel codice di procedura penale” (Cass., Sez. Un., nn. 20773 del 2010 e 10692 del 2010).
Deve, pertanto, rilevarsi che resta incomprensibile la prospettazione a questa Corte di un conflitto ai sensi dell’art. 28 c.p.p. e ciò ancorchè dell’art. 29 c.p.p., comma 2, legittimi a proporlo la parte privata.
3. Mette conto di rilevare, per ragioni di completezza ed ancorchè una simile qualificazione manchi nel ricorso su cui si decide, che nemmeno gioverebbe all’ammissibilità del ricorso, l’esercizio del potere di qualificazione in iure d’ufficio dell’impugnazione proposta e, dunque, una riconduzione alla norma che disciplina i conflitti di giurisdizione e, particolarmente, i conflitti positivi di cui all’art. 362 c.p.c., comma 2, n. 2: la ragione è di tutta evidenza e si rinviene nella circostanza che un simile conflitto suppone l’esistenza di due decisioni confliggenti e nella specie non solo nel procedimento per decreto ingiuntivo manca una decisione, nel senso di decisione impugnabile, ma nel procedimento disciplinare essa manca a maggior ragione, atteso che la “decisione” emessa dal COA ha natura amministrativa, cioè rappresenta un provvedimento amministrativo, sebbene di natura giustiziale, attesa la materia su cui interviene, quella disciplinare, e, dunque, non costituisce una “decisione” di natura giurisdizionale. E, peraltro, essa ha il suo mezzo di impugnazione in sede giurisdizionale nel ricorso al CNF ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 61.
4. Il ricorso, per la parte che è rivolta a questa Corte, deve, pertanto, ritenersi inammissibile.
5. Il tenore della presente pronuncia impone, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, di dare atto che ricorrono le condizioni per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo pari al contributo unificato, di cui all’art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto che, per il tenore della presente pronuncia, ricorrono le condizioni per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo pari al contributo unificato, di cui all’art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civici, il 21 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020