LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANZON Enrico – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. MELE Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8906 del ruolo generale dell’anno 2013 proposto da:
Vega Navigazioni s.r.l., in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Roberto Cordeiro Guerra, elettivamente domiciliata in Roma, via F. Denza, n. 20, presso lo studio dell’Avv. Laura Rosa;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è
domiciliata;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, n. 127/31/12, depositata in data 14 dicembre 2012;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 17 ottobre 2019 dal Consigliere Giancarlo Triscari;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott.ssa Mastroberardino Paola, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per la società l’Avv. Laura Rosa e per l’Agenzia delle entrate l’Avvocato dello Stato Palatiello Giovanni.
FATTI DI CAUSA
Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Vega Navigazione s.r.l. un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2004, aveva contestato l’illegittima applicazione del regime di esenzione dell’Iva, atteso che la società non aveva svolto un servizio di trasporto pubblico ma una più complessa attività, consistente nella prestazione di servizi a scopo turistico ricreativo; avverso il suddetto atto impositivo la società aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Grosseto che lo aveva parzialmente accolto; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società aveva proposto appello.
La Commissione tributaria regionale della Toscana ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: la pronuncia impugnata non era contraddittoria nè sussisteva violazione dei principi in materia di ripartizione dell’onere di prova; la stessa inoltre, non era erronea nella parte in cui aveva ritenuto che la società non svolgeva attività di trasporto pubblico di persone, ma una diversa attività, non esente, di organizzazione di gite turistiche, pervenendo a tale conclusione in considerazione del materiale probatorio offerto dall’amministrazione finanziaria e della non idoneità, d’altro lato, della documentazione prodotta dalla società a provare che la stessa svolgeva, in modo non saltuario, una attività di trasporto pubblico.
Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la società affidato a quattro motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 14), e del D.Lgs. n. 422 del 1997, art. 1, nonchè delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 28 del 2001, di attuazione della Dir. 1999/35/Ce e del Reg. Ce n. 336/2006.
In particolare, secondo la ricorrente, il godimento dell’esenzione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 14), presuppone unicamente il compimento di un’attività di trasporto di persone da un luogo all’altro all’interno della cerchia territoriale locale nonchè la fruibilità del servizio da parte di una cerchia indifferenziata di utenti, mentre non rileverebbero ulteriori elementi, quali la qualifica del soggetto esercente il servizio, la sussumibilità del servizio tra quelli di linea ovvero l’utilità sociale del medesimo.
1.1. Il motivo è infondato.
Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 14), prevedeva, nel testo applicabile ratione temporis, che erano da considerarsi esenti “le prestazioni di trasporto urbano di persone effettuate mediante veicoli da piazza o altri mezzi di trasporto abilitati ad eseguire servizi di trasporto marittimo, lacuale, fluviale e lagunare. Si considerano urbani i trasporti effettuati nel territorio di un comune o tra comuni non distanti tra loro oltre cinquanta chilometri”.
L’applicabilità della previsione normativa in esame presuppone, in primo luogo, che il trasporto di persone sia pubblico, nel senso che sia effettuato tramite mezzi di comunicazione fruibili indistintamente da chi ne fa richiesta, nonchè urbano, cioè svolgersi all’interno del territorio comunale o comunque inerire a quest’ultimo.
La peculiarità della presente controversia, tuttavia, concerne la esatta qualificazione del servizio fornito dalla ricorrente, avendo il giudice del gravame accertato che la stessa, tenuto conto del complesso degli elementi probatori a disposizione, forniva un servizio che andava al di là del mero trasporto di persone, essendo invece riconducibile ad un “servizio turistico”.
A tal proposito, va osservato che la previsione normativa in esame, tenuto conto del fatto che riconosceva una esenzione dal pagamento dell’Iva in caso di prestazione del servizio di trasporto pubblico di persone, deve essere interpretata restrittivamente, non potendo quindi operarsi una interpretazione che vada oltre la specifica previsione normativa come letteralmente espressa dal legislatore.
Il riferimento alla nozione di trasporto di persone rimanda alla definizione civilistica di cui all’art. 1678 c.c., secondo cui “Con il contratto di trasporto il vettore si obbliga verso corrispettivo a trasferire persone o cose da un luogo a un altro”.
Il contratto di trasporto di persone, dunque, deve essere limitato, nella sua funzione causale, unicamente al trasferimento da un luogo ad un altro dietro corrispettivo per il servizio reso.
Si innesta, in questo quadro ricostruttivo sistematico, l’eventuale incidenza sulla natura del contratto di trasporto di persone la circostanza, accertata dal giudice del gravame, che il servizio reso andava al di là del mero trasporto di persone da un luogo ad un altro, poichè la società ricorrente offriva servizi ulteriori, qualificati “turistici” dalla sentenza impugnata, il che conduce a ritenere che gli stessi consistevano in prestazioni di servizi turistico ricreativi ai propri clienti (si fa riferimento, in particolare, a quanto accertato dal giudice di primo grado, secondo cui la ricorrente organizzava gite turistiche).
Ciò precisato, va osservato che dalla giurisprudenza della Corte risulta che, quando un’operazione è costituita da una serie di elementi e di atti, si devono prendere in considerazione tutte le circostanze nelle quali si svolge l’operazione considerata per determinare se tale operazione comporti, ai fini IVA, due o più prestazioni distinte o un’unica prestazione (v., in tal senso, sentenze del 10 marzo 2011, Bog e a., C-497/09, C-499/09, C501/09 e C-502/09, EU:C:2011:135, punto 52 e giurisprudenza ivi citata, nonchè del 21 febbraio 2013, 2amberk, C-18/12, EU:C:2013:95, punto 27 e giurisprudenza ivi citata; da ultimo Corte giustizia UE, Sent., 18 gennaio 2018, causa c-463/16).
La Corte ha altresì dichiarato che, da un lato, dall’art. 2 Sesta Dir. discende che ciascuna operazione dev’essere considerata di regola come autonoma e indipendente e che, dall’altro, l’operazione costituita da un’unica prestazione sotto il profilo economico non dev’essere artificialmente divisa in più parti per non alterare la funzionalità del sistema dell’Iva, sicchè si è in presenza di un’unica prestazione quando due o più elementi o atti forniti dal soggetto passivo al cliente sono a tal punto strettamente connessi da formare, oggettivamente, una sola prestazione economica indissociabile la cui scomposizione avrebbe carattere artificiale (sentenze del 10 marzo 2011, Bog e a., C-497/09, C499/09, C-501/09 e C-502/09, EU:C:2011:135, punto 53 e giurisprudenza ivi citata, nonchè del 10 novembre 2016, Bastovi, C-432/15, EU:C:2016:855, punto 70 e giurisprudenza ivi citata).
Inoltre, il giudice unionale ha affermato che vi è un’unica prestazione nel caso in cui uno o più elementi debbono essere considerati costitutivi della prestazione principale, mentre altri elementi devono invece essere considerati come una o più prestazioni accessorie, cui si applica la stessa disciplina tributaria della prestazione principale: pertanto, una prestazione è considerata accessoria ad una prestazione principale quando costituisce per la clientela non già un fine a sè stante, bensì il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore (sentenze del 10 marzo 2011, Bog e a., C497/09, C-499/09, C-501/09 e C-502/09, EU:C:2011:135, punto 54 e giurisprudenza ivi citata, nonchè del 10 novembre 2016, Bagtovà, C-432/15, EU:C:2016:855, punto 71 e giurisprudenza ivi citata).
Dalla citata giurisprudenza della Corte unionale si evince, quindi, che, quando si è in presenza di una pluralità di prestazioni, occorre tenere conto della complessiva attività economica svolta e, in particolare, la specifica finalità perseguita e l’interesse economico sottostante, sicchè, proprio in relazione alla suddetta finalità, una prestazione è da considerarsi accessoria quando non costituisce il fine ultimo perseguito, ma il mezzo per il raggiungimento della effettiva finalità economica perseguita.
La pronuncia del giudice del gravame ha dato prevalenza alla finalità turistico ricreativa del servizio prestato, sicchè l’attività di trasporto di persone non può essere considerata in sè e per sè, ma come il mezzo per assicurare l’effettivo perseguimento della finalità economica che, mediante la stipula del contratto, il cliente intendeva perseguire.
E’, quindi, proprio in considerazione della complessiva attività svolta e della finalità economica perseguita che, correttamente, il giudice del gravame ha ritenuto non riconducibile la prestazione di servizi svolta nell’ambito della previsione di cui al D.P.R. n. 63371972, art. 10, comma 1, n. 14).
2. Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e della norma in materia di riparto dell’onere di prova, per non avere ritenuto che l’onere di dimostrare la fondatezza della pretesa spettava all’amministrazione finanziaria e per avere, invece, posto a carico della contribuente l’onere di provare di avere effettuato il servizio di trasporto.
2.1 Il motivo è infondato.
In primo luogo, va osservato che, secondo questa Corte, l’onere della prova di esenzioni tributarie è rigorosamente a carico del privato richiedente (Cass. Sez. U., 29 dicembre 2006, n. 27619 e 22 gennaio 2009, n. 1576; 21 gennaio 2009, n. 18565; 26 aprile 2012, n. 6489; Cass. Civ., 4 ottobre 2017, n. 23228, secondo cui “In tema di agevolazioni tributarie, chi vuole fare valere una forma di esenzione o di agevolazione qualsiasi deve provare, quando sul punto vi è contestazione, i presupposti che legittimano la richiesta della esenzione o della agevolazione”).
Pertanto, in generale, è il soggetto che, come nel caso di specie, intende avvalersi di una agevolazione tributaria, quale l’applicazione del regime di esenzione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 14), che è tenuto ad assolvere all’onere di provare la sussistenza delle condizioni per potere fruire del regime di favore.
In ogni caso, il motivo di censura non coglie la ratio decidendi della pronuncia censurata: il giudice del gravarne, invero, ha preso atto del fatto che l’amministrazione finanziaria aveva dato prova della circostanza che la società svolgeva attività di organizzazione di gite turistiche sicchè ha, correttamente, ritenuto che, da parte dell’amministrazione finanziaria, era stato assolto l’onere di prova sulla stessa gravante, non sussistendo, quindi, alcuna inversione dell’onere di prova.
3. Con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per insufficiente motivazione ed omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, non avendo esaminato gli elementi di prova addotti dalla ricorrente concernenti l’effettivo svolgimento di attività di trasporto di persone.
3.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte (da ultimo, Sez. Un., 23 maggio 2019, n. 13983; Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) ha precisato che l’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), comporta una sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto, attesa la intervenuta riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.
Il giudice del gravame, in particolare, ha esaminato la questione relativa alla natura dell’attività effettivamente prestata dalla ricorrente e, alla luce del materiale probatorio a disposizione, ha ritenuto che la stessa si concretizzasse in un’offerta di servizi turistici, non riconducibili, quindi, alla mera attività di trasporto pubblico.
A tal fine, ha tenuto conto del materiale probatorio offerto dall’amministrazione finanziaria, facendo espresso riferimento ai documenti allegati da 1 a 7, nonchè all’ordinanza 16/2003 dell’UCM di Porto Santo Stefano e all’allegato al pvc intitolato Itinerari – Orari 2003, al documento dell’UCM relativo a diverso periodo di riferimento, ed ha ritenuto che dai suddetti elementi poteva evincersi che la ricorrente svolgeva attività di servizio turistico, mentre la documentazione offerta dalla contribuente non era idonea a fornire la prova dello svolgimento di attività di trasporto pubblico.
Se ne evince, quindi, che il giudice del gravame ha tenuto in considerazione il complessivo materiale probatorio al fine di accertare se, nella fattispecie, la ricorrente svolgeva una prestazione di servizi turistici ovvero di trasporto pubblico, procedendo alla conseguente valutazione.
Non può dunque ragionarsi in termini di insufficienza della motivazione nè di difetto di motivazione sulla questione, specificamente affrontata, della effettiva natura della attività concretamente svolta.
4. Con il quarto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per avere omesso di pronunciare sul motivo di appello con il quale si era censurato la pronuncia del giudice di primo grado in ordine all’aliquota Iva da applicare.
4.1. Il motivo è infondato.
L’applicazione dell’aliquota Iva del 10 per cento è relativa alla sussistenza del presupposto individuato dal D.P.R. n. 633 del 1972, n. 127 novies, Tabella A – Parte terza -, che riguardava le prestazioni di trasporto di persone non urbano diverse da quelle compiute via terra e via acqua mediante veicoli da piazza o altri mezzi di trasporto abilitati a eseguire i servizi di trasporto marittimo, lacuale, fluviale e lagunare.
L’applicabilità, quindi, della previsione in esame aveva a suo presupposto che, comunque, l’attività prestata concerneva il trasporto di persone, secondo i limiti sopra indicati.
La pronuncia censurata, avendo escluso che, nella fattispecie, sussisteva una attività di trasporto di persone quanto, piuttosto, una prestazione di servizi turistici, ha implicitamente escluso l’applicabilità della suddetta previsione normativa al caso in esame.
Non sussiste, dunque, la omessa pronuncia sul motivo di appello proposto dalla ricorrente.
5. In conclusione, i motivi di ricorso sono infondati, con conseguente rigetto e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in complessive Euro 7.300,00, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020