Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.421 del 14/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. PERRINO A. Mar – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 19193 del ruolo generale dell’anno 2017, proposto da:

s.p.a. Casa di cura Città di Parma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Patrizio Pozzoli, con studio in Parma, al piazzale Santafiora, n. 1, elettivamente domiciliata presso la C.S.C. piazza Cavour, Roma.

– ricorrente-

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si domicilia;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, depositata in data 15 marzo 2017, n. 931;

udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 13 novembre 2019 dal consigliere Angelina-Maria Perrino;

sentita la Procura generale, in persona del sostituto procuratore generale Zeno Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità per giudicato del ricorso e, in subordine, per il rigetto del primo e del secondo motivo e per l’accoglimento del terzo;

uditi l’avv. Stefano Di Meo, per delega dell’avv. Patrizio Pozzoli per la contribuente e l’avvocato dello Stato Francesco Meloncelli per l’Agenzia.

FATTI DI CAUSA

La Casa di cura Città di Parma, la quale eroga servizi sanitari esenti da iva a norma del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10, presentò in relazione all’anno d’imposta 2008 un’istanza di rimborso dell’iva assolta, assumendo che l’indetraibilità dell’imposta assolta sugli acquisti strumentali da essa compiuti, derivante dal regime di esenzione delle attività svolte, avrebbe vanificato il principio di neutralità dell’iva nei propri confronti.

L’impugnazione del relativo silenzio rifiuto non ebbe successo dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Parma.

Quella regionale dell’Emilia Romagna ha rigettato il successivo appello proposto dalla contribuente: ha al riguardo sostenuto che l’operatore economico che abbia acquistato beni e servizi destinati in via esclusiva allo svolgimento di operazioni esenti o non imponibili assume la posizione fiscale di consumatore finale. Ha aggiunto che la soluzione è confortata dalla giurisprudenza unionale, che rende ultronea l’ulteriore rimessione sollecitata dalla contribuente e ha concluso condannando la società alla rifusione delle spese e del doppio del contributo unificato.

Contro questa sentenza propone ricorso la società per ottenerne la cassazione, che affida a tre motivi, cui l’Agenzia delle entrate replica con controricorso, illustrato con memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Va preliminarmente respinta l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, proposta dall’Agenzia perchè la società non avrebbe impugnato la statuizione del giudice d’appello concernente il difetto di legittimazione attiva della contribuente alla proposizione dell’istanza di rimborso.

Ciò perchè la qualificazione come consumatore finale dell’operatore economico che abbia acquistato beni o servizi destinati in via esclusiva alla realizzazione di operazioni esenti o non imponibili è passaggio logico del ragionamento sviluppato in sentenza, e non già autonoma ragione della decisione: l’argomento, nell’impianto della sentenza, sostiene le valutazioni immediatamente precedenti relative all’indetraibilità dell’iva relativa agli acquisti dei quali si discute.

2.- Con i primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, perchè connessi, la contribuente lamenta:

– la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, comma 5, e art. 19-bis, in riferimento al medesimo decreto, art. 10, rimarcando che il regime di esenzione implicherebbe l’applicazione di un’iva occulta a spese del cliente finale delle prestazioni, perchè il prestatore in ragione dell’indetraibilità dell’imposta sarebbe costretto ad elevare i propri onorari (primo motivo);

– la carenza e illogicità della motivazione della motivazione in ordine alla richiesta di rimessione della questione pregiudiziale alla Corte di giustizia (secondo motivo).

La complessiva censura, che sconta profili d’inammissibilità quanto al secondo motivo, col quale, dietro lo schermo della deduzione del vizio di motivazione, s’introduce una generica critica in diritto degli argomenti addotti dalla Commissione per respingere la richiesta di rimessione della questione pregiudiziale, è infondata.

3.- Questione in tutto analoga è stata difatti già decisa dalla giurisprudenza unionale.

In particolare, la Corte di giustizia (con ord. 13 dicembre 2012, causa C-560/11, Debiasi) ha ribadito che il diritto di detrazione dell’iva riguarda soltanto i beni e i servizi impiegati ai fini delle operazioni del soggetto passivo assoggettate a imposizione.

Sicchè qualora beni o servizi acquistati da un soggetto passivo siano impiegati ai fini di operazioni esenti, non vi può essere riscossione dell’imposta a valle, nè detrazione dell’imposta a monte. E questo perchè il sistema comune dell’iva mira a garantire la perfetta neutralità, quanto al peso economico dell’imposta, di tutte le attività economiche, quali che siano le finalità o i risultati di esse; il che postula che le attività siano assoggettate, in linea di principio, all’imposizione ai fini iva (in termini, Cass. 1 ottobre 2014, n. 20700 e 5 settembre 2014, n. 18771).

3.1.- Coerentemente, allora, la giurisprudenza unionale ha precisato (con sentenza in causa C-560/11, cit.) che, a norma dell’art. 19, par. 1, sesta Dir., visto che le operazioni esenti non conferiscono diritto a detrazione, la cifra di affari a esse relativa va inserita nel denominatore della frazione che consente di calcolare il prorata della detrazione.

3.2.- Per conseguenza il diritto alla detrazione dell’iva da parte di un soggetto passivo che svolga operazioni sia esenti, sia non esenti dev’essere calcolato sulla base di un prorata corrispondente al rapporto tra l’ammontare delle operazioni che danno diritto a detrazione e quello complessivo delle operazioni compiute nel corso dell’anno, incluse le prestazioni medico-sanitarie esenti.

3.3.- Di qui l’infondatezza della questione di diritto proposta e la superfluità di un’ulteriore rimessione della medesima questione alla Corte di giustizia, che si riverberano sulla manifesta irrilevanza anche delle censure proposte con riferimento alla violazione del diritto di proprietà della contribuente, con riguardo alla normativa convenzionale della CEDU (vedi, Cass. 26 agosto 2015, n. 17169, punto 8 e, tra le ultime, 19 giugno 2019, n. 16443).

La complessiva censura va per conseguenza respinta.

4.- Va, invece, accolto il terzo motivo di ricorso, col quale la società si duole della violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, sostenendo che la norma non sia applicabile al processo tributario.

4.1.- L’ulteriore somma a titolo di contributo unificato è commisurata gli importi dovuti ai sensi del medesimo art. 13, comma 1 bis, disposizione che, a sua volta, rinvia al contenuto del precedente comma 1. Quest’ultimo fa riferimento esclusivamente a quanto dovuto a titolo di contributo unificato nel processo civile, mentre quello tributario è disciplinato dal successivo comma 6 quater, che non è richiamato dalla norma in questione.

4.2.- E la natura della misura del raddoppio, eccezionale e lato sensu sanzionatoria, è d’ostacolo all’applicazione estensiva o analogica di essa al processo tributario.

4.3.- In base a tali considerazioni, d’altronde, la Corte costituzionale (con sentenza 2 febbraio 2018, n. 18), sia pure con pronuncia d’inammissibilità, ha nella sostanza stroncato la questione sollevata, che prospettava la violazione del principio della parità delle parti in ragione dell’esonero dell’amministrazione dello Stato dal versamento del contributo unificato e, quindi, anche del raddoppio. Già in precedenza la Corte costituzionale (con sentenza n. 78 del 2016) aveva precisato che l’art. 13, primi sei commi, incluso il comma 1 quater, riguardano il processo civile.

5.- Il motivo è per conseguenza accolto e la sentenza cassata in relazione al profilo relativo.

6.- Non sussistendo necessità di ulteriori accertamenti di fatto, la questione va decisa nel merito, nel senso che la società non è tenuta a corrispondere il raddoppio del contributo unificato in relazione alla fase di appello.

7.- Vanno, tuttavia, compensate le spese in considerazione dell’esito complessivo del giudizio.

P.Q.M.

rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al profilo accolto e, decidendo nel merito la parte corrispondente, dichiara l’insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società, del raddoppio del contributo unificato in relazione alla fase di appello. Compensa integralmente le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020

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