Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.424 del 14/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25431/2014 R.G. proposto da:

Piero Marchiani con gli avv.ti Giuseppe Nieri e Susanna Lollini, domiciliati presso lo studio della seconda in Roma, via FF. Denza n. 15;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed ivi domiciliata in via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per la Toscana – Firenze – n. 1144/14/14 pronunciata il 21 marzo 2014, depositata il 05 giugno 2014 e notificata il 09 settembre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 aprile 2019 dal Co: Marcello M. Fracanzani.

RILEVATO IN FATTO

Il contribuente, quale dipendente di Enel Produzione spa in pensione, insorge contro il silenzio diniego di rimborso delle imposte trattenute dall’INPS per gli anni dal 2005 al 2009 sul controvalore dello sconto tariffario per la somministrazione dell’energia elettrica, erogatogli proprio in quanto ex dipendente. Nella prospettazione del ricorrente, le somme non avrebbero rilevanza fiscale, perchè non percepite in costanza di un rapporto di lavoro. Viste, accolte le proprie ragioni dinanzi alla CTP, il contribuente resta, invece, soccombente nella sentenza pronunciata dalla CTR, contro la quale insorge con un unico motivo di doglianza, cui controdeduce l’Avvocatura dello Stato nel proprio controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con l’unico motivo di ricorso, articolato in due diversi profili di censura, si lamenta per un verso la violazione o falsa applicazione dell’art. 51 T.U.I.R., in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove il giudice del merito avrebbe ritenuto applicabile la norma dell’art. 51, comma 1, oltre che ai vantaggi accessori corrisposti ad integrazione dello stipendio – che è un reddito tassabile – anche a quelli corrisposti in sede pensionistica – che non costituiscono reddito e non sono tassabili. Per altro verso il contribuente lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione ante D.L. 22 giugno 2012, n. 83.

Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

Questa Corte, con un orientamento cui si intende dare continuità circa la natura giuridica dello sconto sull’energia elettrica praticato dall’Enel ai propri dipendenti e pensionati, ha riaffermato che: “a) in base all’art. 51 T.U.I.R.: “il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.”; b) questa regola è espressione del principio della c. d. “onnicomprensività” del reddito di lavoro con riguardo a tutto quanto percepito dal dipendente “in relazione al rapporto di lavoro”, il che comporta che si debbano includere in questa categoria reddituale anche gli importi e le erogazioni in genere integranti, come nel caso di specie, un vantaggio accessorio attribuito dal datore di lavoro a talune categorie di lavoratori in aggiunta alla normale retribuzione (fringe benefit); c) tali vantaggi – che, se erogati in natura, sono quantificati economicamente secondo il criterio generale del “valore normale” ex art. 9 T.U.I.R. – si ricollegano direttamente alla prestazione lavorativa ed alla retribuzione, di cui concretano un componente; d) la connessione con il rapporto di lavoro è palesata dal fatto che lo “sconto elettrico” (ossia la riduzione tariffaria sul consumo energetico) non assolve a una funzione di agevolazione o sostegno sociale esente essendo prevista dalla contrattazione collettiva a favore dei dipendenti Enel, sul presupposto dell’esistenza di un rapporto di lavoro; e) nulla toglie che la riduzione tariffaria continui ad essere attribuita, una volta cessato il rapporto di lavoro, anche a favore dei pensionati Enel; f) la cessazione dei, rapporto di lavoro non muta la sostanza del problema, in quanto anche le somme erogate dall’ente di gestione in relazione al trattamento pensionistico sono equiparate ex lege (art. 49 T.U.I.R., comma 2, lett. a)) ai redditi di lavoro dipendente” (Cass. 23/11/2018 n. 30343).

Quanto al secondo profilo di censura con cui il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione antecendente alla modifica introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, questa Corte, invero, nella pronuncia a S.U. 07.04.2014 n. 8053 ha affermato che “a) La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5), disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è deducibile esclusivamente l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.

b) Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

c) L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

d) La parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extra testuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso”.

Ebbene, osserva il Collegio per un verso che la sentenza impugnata è stata depositata nel 2014, per cui rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, post riforma del 2012. Per altro verso, rileva che in esso non è indicato il fatto storico che si asserisce non essere stato esaminato.

D’altra parte, sotto il profilo della motivazione, le S.U. di questa Corte n. 642 del 16.01.2015 hanno espresso il principio per cui “Nel processo civile – ed in quello tributario, in virtù di quanto disposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 – non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte (ovvero di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari) eventualmente senza nulla aggiungere ad esso, sempre che in tal modo risultino comunque attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata. E’ inoltre da escludere che, alla stregua delle disposizioni contenute nel codice di rito civile e nella Costituzione, possa ritenersi sintomatico di un difetto di imparzialità del giudice il fatto che la motivazione di un provvedimento giurisdizionale sia, totalmente o parzialmente, costituita dalla copia dello scritto difensivo di una delle parti”. Sicchè, anche il secondo profilo di censura non coglie nel segno ed è, anzi, inammissibile.

In definitiva il ricorso è infondato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio che liquida in complessivi Euro 510,00, oltre al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del D.P.R. n. 115 del 2002 art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020

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