LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –
Dott. DI NAPOLI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 7727 del ruolo generale dell’anno 2013, proposto da:
G.G., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to Prof. Ferruccio Auletta, elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore, in Roma, Via della Balduina n. 120/5;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 171/02/2012, depositata in data 28 agosto 2012, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17 ottobre 2019 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera.
RILEVATO
Che:
– con sentenza n. 171/02/2012, depositata in data 28 agosto 2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti di G.G. avverso la sentenza n. 133/01/2010 della Commissione tributaria provinciale di Viterbo che, previa riunione, aveva accolto i ricorsi proposti dal suddetto contribuente avverso gli avvisi di accertamento n. *****, n. *****, n. ***** con i quali, a seguito di p.v.c. del 13 giugno 2008 della Guardia di finanza, l’Ufficio di Viterbo aveva contestato nei confronti di quest’ultimo, titolare di impresa individuale, esercente attività di albergo con ristorante, D.P.R. n. 600 del 1973, ex artt. 32, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, per gli anni 2004-2006, un maggiore reddito di impresa, ai fini Irpef, Irap e Iva, assumendo come ricavi non dichiarati i versamenti e i prelevamenti non giustificati sui conti correnti bancari intestati al contribuente e alla madre di lui Gi.El., attinenti ad operazioni extraconto;
– il giudice di appello – nell’accogliere il gravame dell’Ufficio con conferma degli impugnati avvisi di accertamento nei limiti delle movimentazioni bancarie pari a Euro 1.151.121,51 – in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) posto che, con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, impone di considerare “ricavi” sia i prelevamenti che i versamenti sul conto corrente, salvo prova contraria a carico del contribuente, nella specie, il contribuente risultava non avere giustificato movimentazioni bancarie per complessivi Euro 1.151.121,51; 2) dovevano, invece, ritenersi giustificate le movimentazioni che trovavano riscontro nella documentazione contabile della Freeair Helicopters s.p.a.; 3) era legittimo l’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti formalmente intestati a terzi, allorquando – come nella specie, in cui si trattava di conto intestato alla madre del contribuente accertato – potesse ritenersi, in base a rapporti familiari, salva prova contraria, la riferibilità a quest’ultimo delle operazioni riscontrate;
– avverso la sentenza della CTR, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;
– il contribuente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. insistendo per l’accoglimento del ricorso;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.
CONSIDERATO
Che:
– con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. e, in subordine, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la CTR- a fronte della contestazione dell’Ufficio di movimentazioni bancarie non giustificate per complessivi Euro 3.813.291,51 e dell’espressa “ammissione” da parte di quest’ultimo, nell’atto di appello, dell’avvenuta giustificazione da parte del contribuente nelle “memorie integrative” di movimentazioni per complessivi Euro 2.702.167,78 per gli anni 2004-2006 – ritenuto, incorrendo nel vizio di ultrapetizione, non giustificate movimentazioni per complessivi Euro 1.150.000,00 circa-confermando nei limiti di tale importo i relativi avvisi di accertamento;
– allorquando le movimentazioni non giustificate non potevano eccedere complessivamente Euro 1.111.123,73; per avere il giudice di appello omesso di esaminare o, comunque, omesso di motivare in ordine alla domanda riproposta dal contribuente, nelle controdeduzioni in appello, di accertamento delle “movimentazioni giustificate” (pari a complessivi Euro 2.702.167,78) e, dunque, il merito del rapporto di imposta;
– in disparte il profilo di inammissibilità per avere il ricorrente cumulato in un unico motivo censure per error in procedendo e per vizio di motivazione (Cass. n. 13866 del 2014; Cass. n. 15882 del 2007), il motivo è infondato con riguardo ad entrambe le doglianze da trattarsi congiuntamente per connessione;
– premesso che “è ravvisabile vizio di extrapetizione soltanto allorquando il giudice d’appello pronunci oltre i limiti delle richieste e delle eccezioni fatte valere dalle parti, oppure su questioni non dedotte e che non siano rilevabili d’ufficio, attribuendo alle parti un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato; non è invece precluso al giudice del gravame l’esercizio del potere-dovere di qualificare diversamente i fatti, con il solo limite di non esorbitare dalle richieste contenute nell’atto di impugnazione e di non introdurre nuovi elementi di fatto nell’ambito delle questioni sottoposte al proprio esame (tra varie, Cass. 18830 del 2017; Cass., 12 gennaio 2016, n. 296; 31 luglio 2015, n. 16213)”, nella specie, la domanda di cui allo stralcio dell’atto di appello (pag. 10) riportato nel ricorso proposta, in subordine, dall’Ufficio di conferma degli avvisi “nei limiti delle movimentazioni non giustificate in alcun modo, pari complessivamente a Euro 1.151.121,51”, non può ritenersi modificata (con “ammissione” da parte dell’Ufficio di quanto pretesamente “giustificato” dal contribuente) per effetto della riproduzione nello stesso atto di appello (pagg.3-4) del contenuto delle “memorie integrative” depositate, con allegata documentazione, a giustificazione delle movimentazioni bancarie in questione; da qui la mancata ravvisabilità del denunciato vizio di ultrapetizione avendo la CTR, nel ritenere fondata la domanda proposta in subordine dall’Ufficio- e non oggetto di successiva modificazione da parte di quest’ultimo – disatteso- con una valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità- gli elementi giustificativi delle movimentazioni bancarie addotti dal contribuente per un importo pari a Euro 1.151.121,51, confermando, nei suddetti limiti, gli avvisi impugnati;
– nè, peraltro, con riguardo alla domanda del contribuente riproposta in sede di controdeduzioni in appello – di accertamento dei prelevamenti e versamenti giustificati per l’importo complessivo di Euro 2.702.167,78 risulta configurabile il denunciato vizio di omessa pronuncia avendo la CTR, nel ritenere fondata la domanda proposta, in subordine, dall’Ufficio di riconoscimento della legittimità degli avvisi nei limiti delle movimentazioni non giustificate pari a Euro 1.151.121,51, rigettato per detto importo la domanda del contribuente di accertamento di movimentazioni giustificate pari a Euro 2.702.167,78, stante la espressa valutazione di rilevanza delle sole giustificazioni addotte dal contribuente che trovavano riscontro nella documentazione contabile della Freeair Helicopters s.p.a.; sotto lo stesso profilo- in disparte il profilo di inammissibilità per non avere il ricorrente in difetto di autosufficienza e specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, riportato in ricorso o ivi riassunto, negli esatti termini, il contenuto della ulteriore documentazione giustificativa asseritamente non valutata dal giudice di appello- parimenti infondata si palesa la censura di assunta “omessa motivazione”, avendo la CTR, nell’accogliere la domanda proposta, in subordine, dall’Ufficio di conferma degli avvisi nei limiti delle movimentazioni non giustificate pari a Euro 1.151.121,51, disatteso, per detto importo, la domanda del contribuente di accertamento di movimentazioni giustificate pari a Euro 2.702.167,78, ritenendo giustificate soltanto le movimentazioni che trovavano riscontro nella documentazione contabile della Freeair Helicopters s.p.a.; ciò in conformità al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “il vizio di omessa o insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non sussiste quando nella motivazione, sia chiaramente illustrato il percorso logico seguito per giungere alla decisione e risulti comunque desumibile la ragione per la quale ogni contraria prospettazione sia stata disattesa, senza però che il giudice abbia l’obbligo di esaminare tutti gli argomenti logici e giuridici prospettati dalle parti per sostenere le loro domande ed eccezioni” (Cass. n. 11193 del 2007; Cass. n. 5169 del 1997); peraltro, è del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa, non potendo il motivo di ricorso risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito che nella specie – con una valutazione non sindacabile in sede di legittimità – ha ritenuto giustificato solo le movimentazioni che trovavano riscontro nella documentazione contabile della Freeair Helicopters s.p.a.;
– con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.; in subordine, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio; in estremo subordine, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2), per avere la CTR omesso di esaminare o, in subordine, omesso di motivare in ordine al motivo di impugnazione dedotto dal contribuente nei ricorsi introduttivi di “mancata considerazione dei costi afferenti i maggiori ricavi”, incorrendo, nel non detrarre dall’ammontare dei prelievi non giustificati, i costi presuntivamente connessi ai maggiori ricavi, nella violazione del citato art. 32, comma 1, n. 2) da interpretarsi in modo costituzionalmente orientato alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 225 del 2005;
– il secondo motivo – che cumula il vizio di error in procedendo, di motivazione e quello di violazione di legge – si espone, in primo luogo, al profilo di inammissibilità per difetto di autosufficienza, non avendo il contribuente riportato in ricorso, nelle parti rilevanti, il contenuto degli atti introduttivi (in ordine ai quali si è fatto solo il riferimento alle pagg. 17-23) circa le asserite deduzioni – richiamate poi nell’atto di controdeduzioni in appello- in ordine alla mancata considerazione da parte dell’Ufficio dei costi afferenti ai maggiori ricavi accertati, non consentendo alla Corte di valutare, sulla base degli atti, la fondatezza delle censure proposte (v. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17049 del 20/08/2015 secondo cui “è inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte);
– comunque, nel merito, il motivo è infondato;
– va fatta qui applicazione del principio più volte affermato (da ultimo: Cass. 16171/17; Cass. 2248 del 2018;) secondo cui: “alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto”; di qui la possibilità d’integrare la motivazione della sentenza impugnata, ove lacunosa, nei termini che seguono;
– questa Corte ha già avuto modo di precisare che “In tema di accertamento, la considerazione dell’incidenza percentualizzata dei costi corrispondenti alla ricostruzione dei ricavi è applicabile alla rettifica induttiva e non anche a quella fondata su indagini bancarie, atteso che, in questa ipotesi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 (e, per l’IVA, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2), opera a favore dell’Amministrazione finanziaria una presunzione legale rispetto ai dati emergenti dalle movimentazioni bancarie, che il contribuente ha l’onere di superare”. (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 24422 del 05/10/2018; nello stesso senso, Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 31024 del 28/12/2017; Sez. 5, Sentenza n. 25317 del 28/11/2014 Sez. 5, Sentenza n. 5192 del 04/03/2011); peraltro anche “in tema di IVA, ove pure l’Amministrazione finanziaria, nell’ipotesi di omessa fatturazione, abbia proceduto ad accertamento induttivo “puro” D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, la base imponibile deve essere determinata ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, con la conseguenza che non assumono alcuna incidenza i costi di produzione dei beni o servizi ceduti”(Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 21828 del 07/09/2018);
– nella specie, la CTR, ha fatto applicazione di tale principio, per avere, a fronte di una contestazione dell’Ufficio, negli avvisi impugnati, di movimentazioni per Euro 3.813.291,51 e di movimentazioni “giustificate” dal contribuente nell’importo complessivo di Euro 2.702.167,78, ha ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento impugnati nei limiti delle movimentazioni rimaste prive di giustificazioni pari a Euro 1.151.121,51, con ciò escludendo che il contribuente avesse fornito la prova del sostenimento di specifici costi deducibili connessi ai maggiori ricavi accertati;
– con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio per avere la CTR – nel decidere della validità, entro certi limiti, degli impugnati avvisi di accertamento-omesso di motivare sul motivo di impugnazione, riproposto dal contribuente anche in grado di appello, con il quale si lamentava la “carenza di motivazione” degli atti impositivi in ordine ai quali l’Ufficio aveva pedissequamente ripreso le mere supposizioni della G.d.F., riportate nel p.v.c., senza provvedere ad alcuna “attività valutativa” e senza indicare, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, i “presupposti di fatto” e le “ragioni giuridiche” ad essi sottese – omettendo, in particolare, l’indicazione della tipologia dell’accertamento nonchè la specifica norma di riferimento;
– il motivo proposto in termini di “assunta obliterazione da parte del giudice di appello dell’esame pregiudiziale del fatto della mancata ostensione nei singoli avvisi di accertamento di una motivazione compiutamente integrata dei presupposti di fatto e di ragioni giuridiche” – preliminarmente riqualificato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, essendo chiara la critica sviluppata quale “omessa pronuncia” e non ostando l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nè determinando l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia- come nella specie- chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25557 del 27/10/2017; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26310 del 07/11/2017; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4036 del 20/02/2014)- è infondato;
– una volta verificata la “omessa pronuncia”, trattandosi di questione la cui risoluzione non richiede ulteriori accertamenti in fatto, tale rilievo non impone il rinvio al giudice a quo, potendo questa Corte pronunciare direttamente nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., integrando, nella specie, la motivazione nei sensi di seguito indicati;
– quanto alla sufficienza motivazionale di un atto impositivo che rinvii per relationem ad altro atto esterno, questa Corte ha affermato che “In tema di atto amministrativo finale di imposizione tributaria (nella specie relativo ad avviso di rettifica di dichiarazione IVA da parte dell’Amministrazione finanziaria) la motivazione “per relationem”, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21119 del 13/10/2011; Sez. 5 -, Sentenza n. 30560 del 20/12/2017; Sez. 5, Sentenza n. 32957 del 20/12/2018; Cass. sez. 5, ord. n. 24038 del 3/10/2018);
– nel senso della sufficienza motivazionale di un atto che si limiti alla fedele riproduzione di altro atto, senza niente aggiungervi, questa Corte, a sezioni unite, nella sentenza n. 642 del 2015 (con riguardo alla sentenza) ha affermato il principio di diritto secondo cui “Nel processo civile – ed in quello tributario, in virtù di quanto disposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 – non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte (ovvero di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari) eventualmente senza nulla aggiungere ad esso, sempre che in tal modo risultino comunque attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata”; nella richiamata pronuncia ha precisato che “quando il giudice, adempiendo il proprio dovere di decidere la controversia, accogliesse l’istanza che ritiene meritevole di tutela (solo o anche) alla stregua delle ragioni esposte dalla parte nei propri scritti difensivi, ove queste ragioni risultassero espresse in modo chiaro ed esaustivo, sarebbe ipocrita chiedere al medesimo giudice di esporre nuovamente con diverse parole le medesime motivazioni che lo hanno convinto a stabilire una determinata regolamentazione degli interessi in conflitto, risultando invece più ragionevole e più “trasparente”, nonchè in perfetta linea con un processo giusto, di durata contenuta ed ispirato al principio di effettività, riportare nella motivazione i passi dell’atto di parte condivisi e fatti propri dal giudice, piuttosto che parafrasarli in nome di una “originalità” espositiva priva di qualsivoglia fondamento logico o giuridico”; pertanto, la Corte ha escluso la nullità della motivazione di un atto (nella specie, una sentenza) che riproduce fedelmente il contenuto di un altro atto, senza altro aggiungervi, significando ciò condivisione del contenuto dell’atto riportato, al fine di soddisfare le esigenze di celerità ed economia di scrittura;
– in forza del suddetto principio di diritto – applicabile anche agli atti amministrativi quali quelli impositivi – è da escludere la nullità della motivazione degli avvisi di accertamento de quibus “dalla cui sinossi emerge come l’Ufficio dell’Agenzia delle entrate…abbia ripreso alla lettera i rilievi della Guardia di finanza, riportati nel pvc. senza effettuare altra, tanto meno autonoma verifica documentale e contabile nei diretti confronti del contribuente offrendo, in definitiva, la motivazione dell’addebito tributario” (pag. 28 del ricorso); la motivazione è quindi sufficiente ad individuare la causa giustificativa del recupero a tassazione in relazione al contenuto dell’atto riportato ed a porre il contribuente in grado di adeguatamente spiegare le proprie difese; peraltro, quanto all’assunta mancata l’indicazione della tipologia dell’accertamento nonchè della specifica norma di riferimento, questa Corte ha già chiarito che “In tema di imposte sui redditi la mancata indicazione, nell’avviso di accertamento, della norma asseritamente violata non è, di per sè, causa di nullità dell’atto per inosservanza dell’obbligo di motivazione, ove lo stesso indichi i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che permettano al contribuente di esercitare il proprio diritto difensivo” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 9499 del 12/04/2017; Sez. 5, Sentenza n. 28968 del 10/12/2008; Sez. 5, Sentenza n. 3257 del 06/03/2002), il che, nella specie, alla luce di quanto sopra precisato, deve ritenersi concretato;
– con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2), e, in alternativa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la CTR ritenuto – sebbene nei limiti indicati – legittimi gli avvisi di accertamento impugnati – emessi dall’Ufficio in base ad un utilizzo delle indagini finanziarie quale strumento automatico per la determinazione del maggiore reddito accertato – 1) in violazione del citato art. 32, comma 1, n. 2), secondo cui le movimentazioni finanziarie possono al più essere “poste a base” di un accertamento diretto ad individuare ricavi non dichiarati ma non essere tout court considerati ricavi omessi;2)ovvero, incorrendo in un omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio qual era la deficiente attività accertativa dell’amministrazione;
– il motivo è inammissibile in quanto perplesso avuto riguardo alla formulazione “in alternativa” delle censure; infatti, il ricorso per cassazione, in quanto ha ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera chiara ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione; il rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione – da intendere alla luce del canone generale “della strumentalità delle forme processuali” – comporta, fra l’altro, l’esposizione di argomentazioni chiare ed esaurienti, illustrative delle dedotte inosservanze di norme o principi di diritto, che precisino come abbia avuto luogo la violazione ascritta alla pronuncia di merito (Cass. n. 23675 del 2013), in quanto è solo la esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass. n. 25044 del 2013; Cass. n. 17739 del 2011; Cass. n. 7891 del 2007; Cass. n. 7882 del 2006; Cass. n. 3941 del 2002); l’osservanza del canone della chiarezza e della sinteticità espositiva rappresenta quindi l’adempimento di un preciso dovere processuale il cui mancato rispetto, da parte del ricorrente per cassazione, lo espone al rischio di una declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione (Cass. n. 19100 del 2006);
– in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;
– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 10.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza del presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020