Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.432 del 14/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – rel. Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. DI NAPOLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 27589 del ruolo generale dell’anno 2013, proposto da:

S.M., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to Stefano Giorgio, elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore, in Roma, Viale Bruno Buozzi n. 59;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– resistente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 201/04/2013, depositata in data 23 aprile 2013, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17 ottobre 2019 dal Relatore Cons. Putaturo Donati Viscido di Nocera Maria Giulia.

RILEVATO

Che:

– con sentenza n. 201/04/2013, depositata in data 23 aprile 2013, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto da Massimiliano S. nei confronti dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 184/60/2011 della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva rigettato il ricorso proposto dal suddetto contribuente avverso l’avviso di accertamento n. ***** con il quale l’Ufficio di Roma 2 aveva contestato nei confronti di quest’ultimo, quale imprenditore individuale, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex artt. 32,38 e art. 39, comma 1, per l’anno 2004, un maggiore reddito di impresa, ai fini Irpef, Irap e Iva, assumendo come ricavi non dichiarati gli accreditamenti e gli addebitamenti bancari non giustificati;

-il giudice di appello, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) posto che, con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 impone di considerare “ricavi” sia i prelevamenti che i versamenti sul conto corrente, salvo prova contraria a carico del contribuente, nella specie, le numerose operazioni di versamento e prelevamento sul conto corrente di S.M. risultavano essere state effettuate in contanti e, dunque, senza tracciabilità; 2) a fronte del rilievo del contribuente secondo cui gran parte dei “versamenti non riconciliati” (pari a Euro 158.729.01) erano rappresentati da somme versate periodicamente a titolo di liberalità dalla madre (Euro 30.000,00) e dai genitori della convivente (Euro 70,000), tutte finalizzate all’acquisto di un appartamento, il primo aveva prodotto non già assegni ma solo delle dichiarazioni- prive di efficacia nel processo tributario del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7, comma 4 – di soggetti che avrebbero erogato le somme e, quanto ai genitori della convivente, anche documentazione fiscale da cui era possibile desumere la loro capacità reddituale; 3) era infondata alla luce della richiamata sentenza n. 13035 del 2012 l’eccezione del contribuente in ordine alla mancata considerazione dell’incidenza percentuale dei costi rispetto ai maggiori ricavi;

– avverso la sentenza della CTR, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi; l’Agenzia delle entrate ha depositato “atto di costituzione” al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 per avere la CTR erroneamente ritenuto che i prelevamenti sul conto corrente del contribuente concretassero dei ricavi, salvo prova contraria, ancorchè tale presunzione non potesse trovare applicazione nei confronti di un imprenditore individuale qual era, nella specie, il contribuente non essendo possibile ipotizzare “crediti per utili” di questo nei confronti della propria impresa e dandosi luogo- nel qualificare come ricavo anche il successivo prelievo di ricchezza affluita sul conto corrente e, se del caso, già recuperata a tassazione -ad una illegittima duplicazione di imposta;

– con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 per avere la CTR ritenuto applicabile la presunzione ex art. 32 cit., ancorchè nella specie il contribuente, quale piccolo imprenditore (in regime di contabilità semplificata), fosse esentato dalla tenuta del libro giornale e del libro degli inventari ex art. 2214 c.c. dai quali avrebbero potuto risultare le somme prelevate dal conto corrente (e non destinate al soddisfacimento di bisogni personali) e i relativi beneficiari;

– con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per avere la CTR posto erroneamente a carico del contribuente l’onere di fornire la prova in ordine a costi diversi da quelli posti in deduzione dal reddito di impresa, non potendo quest’ultimo giustificare e documentare le operazioni di prelevamento a scopo personale;

– con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per non avere la CTR ritenuto deducibili, in relazione ai maggiori ricavi accertati ex art. 32 cit. in base ai prelevamenti non giustificati, i relativi costi al fine portare a tassazione solo la differenza tra ricavo e costo, in ossequio al dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 225 del 2005;

– i motivi- che per connessione vanno trattati congiuntamente- sono infondati;

– ed invero, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anzichè costituire acquisizione di utili; in particolare, detta presunzione legale ha portata generale, riguardando la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell’attività svolta e dalla quale quei redditi provengano (Cass. n. 19692/11) e pone un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, a prescindere dal regime di contabilità (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1560 del 2015). La presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili si correla, infatti, ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità che il contribuente si avvalga del conto corrente bancario per effettuare rimesse e prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività d’impresa, onde alla presunzione di legge (relativa) non può contrapporsi una mera affermazione di carattere generale, nè è possibile ricorrere all’equità(Cass. 13035/12),In particolare, precisa la Corte, posto che, in materia, sussiste inversione dell’onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) non può essere contrapposta una mera affermazione di carattere generale, pur potendo il contribuente fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative (Cass. 30 novembre 2011, n. 25502; per la tesi più rigorosa, secondo cui il contribuente nel fornire la prova contraria, non può ricorrere a presunzioni, vedi Cass., ord. 24 luglio 2012, n. 13035; Cass. 6 ottobre 2010, n. 20735; Cass. 5 dicembre 2007, n. 25365; discorre di onere della prova del contribuente anche Cass. 26 febbraio 2009, n. 4589). Ha ulteriormente precisato, al riguardo, questa Corte che, soltanto dopo che il contribuente abbia esaurientemente ottemperato alla richiesta di chiarimenti, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di contestarne in modo specifico la completezza, la veridicità, l’idoneità probatoria, la qualificazione giuridica del fatto rappresentato e, più in generale, la correttezza in termini di effettiva deducibilità dei costi documentati. E dopo l’adempimento di tale onere di contestazione, può sorgere, in capo al contribuente, l’onere di provare le circostanze di fatto rilevanti per smentire le contestazioni dell’ufficio (Cass. 5 maggio 2011, n. 9892; Sez. 5, Sentenza n. 17250 del 2013);

-in tal senso si è espressa questa Corte (Cass. Sent. Sez. 5 n. 26111/2015) ritenendo che debbano essere indicati e dimostrati dal contribuente la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti e dei prelievi (Cass. n. 26692 del 2005; n. 20199 del 2010; n. 16650 del 2011; n. 26173 del 2011; n. 30376 del 2018; -con riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 in materia di imposte sui redditi; n. 15217 del 2012; n. 1418 del 2013; n. 6595 del 2013; n. 21303 del 2013; n. 20668 del 2014; n. 26111 del 2015. La presunzione legale in questione ha superato il vaglio di costituzionalità in relazione agli artt. 3 e 53 Cost. -sentenza Corte Cost. n. 225 del 2005 -: cfr. Cass. n. 13036 del 2012. Vedi Corte Cost. ord. n. 260 del 2000; Corte Cost. ord. n. 173 del 2008; Corte Cost. n. 228 del 2014);

– peraltro, questa Corte ha già avuto modo di precisare che “In tema di accertamento, la considerazione dell’incidenza percentualizzata dei costi corrispondenti alla ricostruzione dei ricavi è applicabile alla rettifica induttiva e non anche a quella fondata su indagini bancarie, atteso che, in questa ipotesi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 (e, per l’IVA, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2), opera a favore dell’Amministrazione finanziaria una presunzione legale rispetto ai dati emergenti dalle movimentazioni bancarie, che il contribuente ha l’onere di superare”. (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 24422 del 05/10/2018; nello stesso senso, Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 31024 del 28/12/2017; Sez. 5, Sentenza n. 25317 del 28/11/2014 Sez. 5, Sentenza n. 5192 del 04/03/2011); peraltro anche “in tema di IVA, ove l’Amministrazione finanziaria, nell’ipotesi di omessa fatturazione, abbia proceduto ad accertamento induttivo “puro” del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, la base imponibile deve essere determinata ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, con la conseguenza che non assumono alcuna incidenza i costi di produzione dei beni o servizi ceduti”(Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 21828 del 07/09/2018);

-pertanto, il contribuente è tenuto a fornire prova contraria alle risultanze, che deve essere valutata dal giudice, non già in modo generico, ma in rapporto agli elementi risultanti dai conti correnti, per verificare, attraverso i riscontri possibili (date, importi, tipo di attività, soggetti coinvolti), se ed eventualmente a quali operazioni la documentazione fornita dal contribuente si riferisca, così da escludere dal calcolo dell’imponibile soltanto quanto risultante dai singoli movimenti bancari (Cass. 16650/2011; sulla necessaria corrispondenza, a fronte della analiticità nella deduzione del mezzo di prova da parte del contribuente, di una speculare analiticità da parte del giudice nell’esaminare quanto dedotto e documentato v., da ultimo; Cass. Sez. 5, Ord. n. 30786 del 28/11/2018);

– nel caso di specie, la CTR, facendo corretta applicazione dei principi in materia, ha effettuato- con un accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità- una analitica valutazione delle risultanze delle movimentazioni del conto corrente bancario poste a fondamento dell’accertamento e delle giustificazioni, correlate alle suddette movimentazioni, da parte del contribuente, affermando, da un lato, che le numerose operazioni di versamento e di prelevamento erano avvenute “per contanti” e, dunque, risultavano prive del requisito della tracciabilità, e, dall’altro, che – a prescindere dal regime di contabilità semplificata adottato- le giustificazioni addotte dal contribuente in relazione a gran parte dei versamenti – per essere rappresentati da erogazioni di denaro dalla madre e dai genitori della convivente finalizzate all’acquisto di un immobile- erano inidonee a superare la presunzione ex lege, essendo sorrette da mere dichiarazioni dei soggetti che avrebbero erogato le somme e, quanto ai genitori della convivente, da documentazione fiscale dalla quale potersi desumere soltanto la loro capacità reddituale;

– in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;

– nulla sulle spese del giudizio di legittimità, essendo l’Agenzia delle entrate rimasta resistente a mezzo “atto di costituzione”.

PQM

La Corte rigetta il ricorso;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza del presupposti processuali, il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 14 gennaio 2020

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