Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.435 del 14/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – M. –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. DI NAPOLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 7938 del ruolo generale dell’anno 2018, proposto da:

G.G., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to Saverio Simonelli, domiciliato presso la cancelleria della Corte di cassazione;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 4884/12/2017, depositata in data 3 agosto 2017, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17 ottobre 2019 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera.

RILEVATO

Che:

– con sentenza n. 4884/12/2017, depositata in data 3 agosto 2017, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva parzialmente sia l’appello principale proposto da G.G. nei confronti dell’Agenzia delle entrate che quello incidentale proposto dall’Agenzia nei confronti del contribuente avverso la sentenza n. 1023/01/2015 della Commissione tributaria provinciale di Viterbo che, previa riunione, aveva accolto parzialmente (riducendo i ricavi tassabili a Euro 104.171,69) il ricorso proposto dal suddetto contribuente avverso l’avviso di accertamento n. ***** con il quale, a seguito di p.v.c. del 13 giugno 2008 della Guardia di finanza, l’Ufficio di Viterbo aveva contestato nei confronti di quest’ultimo, titolare di impresa individuale, esercente attività di albergo (Hotel “La Torraccia” di *****) con ristorante, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, per il 2007, un maggiore reddito di impresa, ai fini Irpef, Irap e Iva, assumendo come ricavi non dichiarati (complessivi Euro 803.679,43) i versamenti (Euro 328.641,09) e i prelevamenti (Euro 475.038,34) non giustificati sui conti correnti bancari intestati al contribuente e alla madre di lui Gi.El.;

– il giudice di appello – nel riformare la sentenza di primo grado diminuendo l’ammontare dei ricavi accertati di Euro 190.874 nonchè, tenuto conto dei presumibili costi, del 20% – in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) il primo motivo dell’appello principale intitolato “carenza di motivazioni enunciate nella decisione della CTP di Viterbo” – con il quale il contribuente aveva dedotto la violazione dell’art. 112 c.p.c. in ordine a questioni di legittimità dell’avviso di accertamento – era inammissibile per carenza del requisito di specificità, atteso che l’appellante non aveva indicato, in modo specifico, le domande sulle quali il primo giudice avrebbe omesso di pronunciarsi; 2) a fronte della contestazione di maggiori ricavi per prelevamenti e versamenti che non avevano trovato riscontro nella contabilità, il contribuente aveva giustificato, tramite la documentazione contabile della Freeair Helicopters s.p.a., movimentazioni bancarie ammontanti a Euro 190.874 e per tale importo – in accoglimento parziale dell’appello principale e di quello incidentale, andava diminuito l’ammontare dei ricavi accertati; 3) era legittimo – e dunque sotto tale profilo andavano rigettate le doglianze dell’appellante principale – l’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti formalmente intestati a terzi, allorquando come nella specie, in cui si trattava di conto intestato alla madre del contribuente accertato – potesse ritenersi, in base a rapporti familiari, salva prova contraria, la riferibilità a quest’ultimo delle operazioni riscontrate;

– avverso la sentenza della CTR, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi; è rimasta intimata l’Agenzia delle entrate;

– il ricorso è stato fissato in Camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e dell’art. 380 – bis 1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 – bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 39, per avere la CTR – limitandosi a dichiararlo “inammissibile” per carenza del requisito della specificità – omesso di pronunciarsi sul primo motivo di appello principale con il quale il contribuente aveva lamentato la “omessa pronuncia” della CTP in ordine a diverse questioni di legittimità dell’avviso di accertamento in questione poste a fondamento del ricorso introduttivo (carenza di motivazione per avere l’atto ripreso pedissequamente le supposizioni della Guardia di Finanza, utilizzo delle indagini finanziarie da parte dell’Ufficio quale strumento automatico per la determinazione del maggior reddito, indebita pretesa dell’Ufficio di invertire l’onere della prova gravante su di esso per i conti correnti e mancata prova da parte dell’Ufficio della fittizietà della intestazione dei depositi postali alla madre del contribuente etc.);

– il motivo è infondato;

– premesso che costituisce violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, e configura il vizio di cui all’art. 112 c.p.c., l’omesso esame di specifiche richieste o eccezioni fatte valere dalla parte e rilevanti ai fini della definizione del giudizio, che va fatto valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 22759 del 2014; n. 6835 del 2017); in particolare, il vizio di omessa pronuncia ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su un capo della domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 27566 del 2018; n. 28308 del 2017; n. 7653 del 2012); nella specie, la CTR ha pronunciato sul motivo di appello in questione dichiarandolo inammissibile per difetto di specificità;

– con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio per avere la CTR- nel decidere della validità entro certi limiti dell’impugnato avviso di accertamento-omesso di motivare sul motivo di impugnazione, riproposto dal contribuente anche in grado di appello, con il quale si lamentava la “carenza di motivazione” dell’atto impositivo in ordine al quale l’Ufficio aveva pedissequamente ripreso le mere supposizioni della G.d.F., riportate nel p.v.c., senza provvedere ad alcuna “attività valutativa” e senza indicare, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, i “presupposti di fatto” e le “ragioni giuridiche” ad essi sottese – omettendo, in particolare, l’indicazione della tipologia dell’accertamento nonchè la specifica norma di riferimento;

– il motivo proposto in termini di “assunta obliterazione da parte del giudice di appello dell’esame pregiudiziale del fatto della mancata ostensione nei singoli avvisi di accertamento di una motivazione compiutamente integrata dei presupposti di fatto e di ragioni giuridiche” – preliminarmente riqualificato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, essendo chiara la critica sviluppata quale “omessa pronuncia” e non ostando l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nè determinando l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia – come nella specie – chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25557 del 27/10/2017; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26310 del 07/11/2017; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4036 del 20/02/2014) – è infondato;

– una volta verificata la “omessa pronuncia”, trattandosi di questione la cui risoluzione non richiede ulteriori accertamenti in fatto, tale rilievo non impone il rinvio al giudice a quo, potendo questa Corte pronunciare direttamente nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., integrando, nella specie, la motivazione nei sensi di seguito indicati;

– quanto alla sufficienza motivazionale di un atto impositivo che rinvii per relationem ad altro atto esterno, questa Corte ha affermato che “In tema di atto amministrativo finale di imposizione tributaria (nella specie relativo ad avviso di rettifica di dichiarazione IVA da parte dell’Amministrazione finanziaria) la motivazione “per relationem”, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21119 del 13/10/2011; Sez. 5, Sentenza n. 30560 del 20/12/2017; Sez. 5, Sentenza n. 32957 del 20/12/2018; Cass. sez. 5, ord. n. 24038 del 3/10/2018);

– nel senso della sufficienza motivazionale di un atto che si limiti alla fedele riproduzione di altro atto, senza niente aggiungervi, questa Corte, a sezioni unite, nella sentenza n. 642 del 2015 (con riguardo alla sentenza) ha affermato il principio di diritto secondo cui “Nel processo civile – ed in quello tributario, in virtù di quanto disposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 – non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte (ovvero di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari) eventualmente senza nulla aggiungere ad esso, sempre che in tal modo risultino comunque attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata”; nella richiamata pronuncia ha precisato che “quando il giudice, adempiendo il proprio dovere di decidere la controversia, accogliesse l’istanza che ritiene meritevole di tutela (solo o anche) alla stregua delle ragioni esposte dalla parte nei propri scritti difensivi, ove queste ragioni risultassero espresse in modo chiaro ed esaustivo, sarebbe ipocrita chiedere al medesimo giudice di esporre nuovamente con diverse parole le medesime motivazioni che lo hanno convinto a stabilire una determinata regolamentazione degli interessi in conflitto, risultando invece più ragionevole e più “trasparente”, nonchè in perfetta linea con un processo giusto, di durata contenuta ed ispirato al principio di effettività, riportare nella motivazione i passi dell’atto di parte condivisi e fatti propri dal giudice, piuttosto che parafrasarli in nome di una “originalità” espositiva priva di qualsivoglia fondamento logico o giuridico”; pertanto, la Corte ha escluso la nullità della motivazione di un atto (nella specie, una sentenza) che riproduce fedelmente il contenuto di un altro atto, senza altro aggiungervi, significando ciò condivisione del contenuto dell’atto riportato, al fine di soddisfare le esigenze di celerità ed economia di scrittura;

– in forza del suddetto principio di diritto – applicabile anche agli atti amministrativi quali quelli impositivi – è da escludere la nullità della motivazione degli avvisi di accertamento de quibus “dalla cui sinossi emerge come l’Ufficio dell’Agenzia delle entrate… abbia ripreso alla lettera i rilievi della Guardia di finanza, riportati nel pvc. senza effettuare altra, tanto meno autonoma verifica documentale e contabile nei diretti confronti del contribuente offrendo, in definitiva, la motivazione dell’addebito tributario” (pag. 10 del ricorso); la motivazione è quindi sufficiente ad individuare la causa giustificativa del recupero a tassazione in relazione al contenuto dell’atto riportato ed a porre il contribuente in grado di adeguatamente spiegare le proprie difese; peraltro, quanto all’assunta mancata l’indicazione della tipologia dell’accertamento nonchè della specifica norma di riferimento, questa Corte ha già chiarito che “In tema di imposte sui redditi la mancata indicazione, nell’avviso di accertamento, della norma asseritamente violata non è, di per sè, causa di nullità dell’atto per inosservanza dell’obbligo di motivazione, ove lo stesso indichi i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che permettano al contribuente di esercitare il proprio diritto difensivo” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 9499 del 12/04/2017; Sez. 5, Sentenza n. 28968 del 10/12/2008; Sez. 5, Sentenza n. 3257 del 06/03/2002), il che, nella specie, alla luce di quanto sopra precisato, deve ritenersi concretato;

– con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2) e, in alternativa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la CTR ritenuto – nell’importo indicato – legittimo l’avviso di accertamento impugnato – emesso dall’Ufficio in base ad un utilizzo delle indagini finanziarie quale strumento automatico per la determinazione del maggiore reddito accertato – 1) in violazione dell’art. 32, comma 1, n. 2) cit., secondo cui le movimentazioni finanziarie possono al più essere “poste a base” di un accertamento diretto ad individuare ricavi non dichiarati ma non essere tout court considerati ricavi omessi; 2) ovvero, incorrendo in un omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio qual era la carente attività accertativa dell’amministrazione;

– il motivo è inammissibile in quanto perplesso avuto riguardo alla formulazione “in alternativa” delle censure; infatti, il ricorso per cassazione, in quanto ha ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera chiara ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione; il rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione – da intendere alla luce del canone generale “della strumentalità delle forme processuali” – comporta, fra l’altro, l’esposizione di argomentazioni chiare ed esaurienti, illustrative delle dedotte inosservanze di norme o principi di diritto, che precisino come abbia avuto luogo la violazione ascritta alla pronuncia di merito (Cass. n. 23675 del 2013), in quanto è solo la esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass. n. 25044 del 2013; Cass. n. 17739 del 2011; Cass. n. 7891 del 2007; Cass. n. 7882 del 2006; Cass. n. 3941 del 2002); l’osservanza del canone della chiarezza e della sinteticità espositiva rappresenta quindi l’adempimento di un preciso dovere processuale il cui mancato rispetto, da parte del ricorrente per cassazione, lo espone al rischio di una declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione (Cass. n. 19100 del 2006);

– con il quarto motivo, il ricorrente denuncia: 1) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio; 2) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per avere la CTR nel ritenere legittimo – entro un certo importo – l’avviso di accertamento in questione: a)omesso di considerare i prelevamenti giustificati dal contribuente, avendo quest’ultimo indicato per essi, in ossequio del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, gli effettivi beneficiari; b) imputato erroneamente al contribuente la mancata produzione in giudizio del p.v.c. e degli allegati; c) fatto ricadere indebitamente sul contribuente l’onere probatorio in merito alla non imputabilità allo stesso di conti correnti intestati a terzi (nella specie la madre di lui); d) considerato erroneamente rilevanti le contestazioni dell’Ufficio anche ai fini Iva;

– il motivo che involge due sub – censure si palesa inammissibile quanto alla denuncia del vizio di motivazione, per come formulato, e parte infondato e parte inammissibile, quanto alla denuncia – sotto i plurimi profili evidenziati – del vizio di violazione di legge;

– premesso che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che questi ultimi sono registrati in contabilità e che i primi sono serviti per pagare determinati beneficiari, anzichè costituire acquisizione di utili” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16896 del 24/07/2014; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13035 del 24/07/2012; nello stesso senso Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17250 del 2013 secondo cui “Nè argomenti contrari si possono trarre dalla sentenza della Consulta dell’8 giugno 2005, numero 225, la quale ha comunque correlato all’indicazione dei beneficiari dei prelievi l’onere della prova contraria gravante sul contribuente: l’indicazione dei beneficiari va dunque a circoscrivere il perimetro della prova, in caso di specifica contestazione dell’ufficio, giacchè, se l’onere si risolvesse nella mera indicazione, non di prova si tratterebbe, sibbene di mera allegazione”), nella specie, la CTR si è attenuta al detto principio per avere ritenuto, nella specie, non assolto l’onere probatorio a carico del contribuente circa la estraneità dei prelevamenti all’attività di impresa, non essendo sufficiente – come specificato, altresì, nell’avviso la mera indicazione del beneficiario delle movimentazioni;

– nè, peraltro, alcuna incidenza sulla corretta distribuzione dell’onere della prova, trattandosi di presunzione legale relativa, assume, nell’argomentato motivazionale della sentenza impugnata, il rilievo (peraltro riportato in parentesi) della mancata produzione in giudizio da parte del contribuente del p.v.c. con i relativi allegati;

– quanto ai dati acquisiti sui conti intestati alla madre del contribuente, va, altresì, ribadito che, come già statuito da questa Corte, “i movimenti bancari operati sui conti personali di soggetti legati al contribuente da stretto rapporto familiare o da particolari rapporti contrattuali (…) possono essere riferiti al contribuente, salva la prova contraria a suo carico, al fine di determinarne i maggiori ricavi non dichiarati, in quanto tali rapporti di contiguità rappresentano elementi indiziari che assumono consistenza di prova presuntiva legale, ove il soggetto formalmente titolare del conto non sia in grado di fornire indicazioni sulle somme prelevate o versate e non disponga di proventi diversi o ulteriori rispetto a quelli derivanti dalla gestione dell’attività imprenditoriale” (Cass. n. 24419 del 2018; n. 16978 del 2015; n. 20668 del 2014; n. 26173 del 2011); nella specie, la CTR si è attenuta al detto principio avendo presunto ex lege la imputazione a ricavi anche delle movimentazioni sui conti della madre del contribuente, senza che – ad avviso del giudice di appello, in base ad una valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità – quest’ultimo avesse fornito al riguardo idonea prova della estraneità di tali movimentazioni alla sua attività di impresa;

– quanto, infine, alla assunta “irrilevanza delle contestazioni ai fini Iva” trattasi di una censura inammissibile non avendo il ricorrente assolto, in punto di autosufficienza, l’onere di trascrizione, per le parti rilevanti, del ricorso introduttivo (rinviandosi solo alla pag. 12) e dell’atto di appello in cui la medesima sarebbe stata dedotta, al fine di permettere a questa Corte di valutarne i termini e la fondatezza;

-in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;

– nulla sulle spese del giudizio di legittimità essendo rimasta intimata l’Agenzia.

PQM

La Corte rigetta il ricorso;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza del presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020

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