Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.439 del 14/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16281/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Centro Smistamento Merci S.p.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Parioli n. 43, presso lo Studio dell’Avv. Francesco D’Ayala Valva, che con gli Avv.ti Victor Uckmar e Giuseppe Corasaniti, la rappresentano e difendono anche disgiuntamente, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Liguria n. 130/1/12, depositata il 24 dicembre 2012.

Sentita la relazione svolta nella udienza camerale del 14 novembre 2019 dal Cons. Ernestino Luigi Bruschetta.

RILEVATO

1. che la Provinciale di Genova accoglieva il ricorso promosso da Centro Smistamento Merci S.p.A., avverso un atto di irrogazione sanzioni in relazione alla mancata introduzione fisica nel deposito fiscale, dalla stessa gestito, di imbarcazioni importate nel 2006;

2. che la Regionale, rigettate le questioni formali concernenti l’inesistenza della notifica degli atti fiscali, “in quanto andata a buon fine”, oltrechè le altre eccezioni formali, perchè di esse “non veniva data prova esaustiva”, confermava nel merito l’accoglimento del ricorso proposto dalla contribuente;

3. che la Regionale spiegava la propria decisione ritenendo, anche in applicazione del Reg. CE 23 aprile 2008, n. 450, art. 86, comma 1, lett. h), che la mancata fisica introduzione delle imbarcazioni nel deposito fiscale D.L. 30 agosto 1993, n. 331, ex art. 50 bis, conv. con modif. in L. 29 ottobre 1993, n. 427, successivamente alla immissione in libera pratica a seguito di sdoganamento, “non avendo avuto conseguenze significative sul corretto funzionamento del regime doganale e non costituendo tentativo di frode”, non poteva comportare l’obbligo di pagare l’IVA all’importazione e la conseguente irrogazione delle sanzioni;

4. che l’ufficio ricorreva per tre motivi, mentre la contribuente resisteva con controricorso, in limine eccependo l’inammissibilità dell’avversaria impugnazione e proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato per quattro motivi;

5. che al ricorso incidentale condizionato, resisteva l’ufficio con controricorso;

6. che la contribuente depositava duplice memoria.

CONSIDERATO

1. che le eccezioni di inammissibilità del ricorso principale, la prima per difetto di procura dell’Avvocatura dello Stato, la seconda per l’insufficiente sommaria esposizione dei fatti di causa, sono infondate:

1.1. sia perchè “in tema di rappresentanza e difesa in giudizio, le Agenzie fiscali, ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 72, possono avvalersi, del R.D. n. 1611 del 1993, ex art. 43, del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, che, in forza di tali disposizioni, si pone con esse in un rapporto di immedesimazione organica, ben diverso da quello determinato dalla procura ad litem, che trova fondamento nell’intuitus fiduciae e nella personalità della prestazione; ne consegue che gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede, senza bisogno di mandato, neppur quando, come nel caso del ricorso per cassazione, è richiesto il mandato speciale e che, avendo la difesa dell’Avvocatura dello Stato carattere impersonale, ed essendo quindi gli avvocati dello Stato pienamente fungibili nel compimento di atti processuali relativi ad un medesimo giudizio, l’atto introduttivo di questo è valido anche se la sottoscrizione è apposta da avvocato diverso da quello che materialmente ha redatto l’atto, unica condizione richiesta essendo la spendita della qualità professionale abilitante alla difesa” (Cass. sez. trib. n. 13627 del 2018);

1.2. sia perchè “in tema di giudizio di legittimità, per soddisfare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 c.p.c., n. 3, non è necessario che tale esposizione costituisca parte a sè stante del ricorso ma è sufficiente che essa risulti in maniera chiara dal contesto dell’atto, attraverso lo svolgimento dei motivi” (Cass. sez. III n. 17036 del 2018); sia perchè “l’onere previsto dall’art. 366 c.p.c., n. 3, – che individua tra i requisiti – forma del ricorso per cassazione “l’esposizione sommaria dei fatti della causa”, può ritenersi adempiuto anche quando nel ricorso stesso sia stata trascritta o incorporata la parte espositiva della sentenza impugnata o la sentenza nella sua integralità e finanche quando la sentenza sia allegata, tramite spillatura, al ricorso sempre che da essa emerga una sufficiente esposizione dei fatti” (Cass. sez. I n. 24538 del 2016);

2. che con il primo motivo del ricorso principale, formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’ufficio lamentava la violazione del cit. Reg. CE n. 450, art. 86, comma 1, lett. h), per aver la CTR ritenuto applicabile la disposizione, nonostante la norma non fosse ancora efficace;

2.1. che con il secondo motivo del ricorso principale, lamentando la violazione del Reg. CE 12 ottobre 1992, n. 2913, art. 201, nonchè la violazione del cit. D.L. n. 331, art. 50 bis, l’ufficio deduceva che la Regionale era incorsa in errore laddove aveva annullato le sanzioni ritenendo che l’IVA all’importazione non fosse dovuta perchè dalla mancata introduzione fisica nel deposito fiscale non erano derivate “conseguenze significative sul corretto funzionamento del regime doganale e non costituendo tentativo di frode”;

2.2. che con il terzo motivo del ricorso principale, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione attualmente vigente, il precedente motivo veniva ulteriormente declinato sotto il profilo del vizio di motivazione;

2.3. che con riguardo a questi primi tre motivi del ricorso principale, che possono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro stretta connessione; al di là dell’inammissibilità del terzo motivo, atteso che in realtà con lo stesso l’ufficio non censura un’insufficiente spiegazione circa l’accertamento di un fatto controverso, bensì denuncia un’errata argomentazione giuridica che doveva esser semmai fatta valere con il diverso mezzo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (Cass. sez. trib. n. 5123 del 2012); al di là della circostanza che effettivamente il cit. Reg. CE n. 450, art. 86, comma 2, lett. h), non poteva trovare applicazione con riferimento all’IVA 2006, atteso che il cit. Reg. CE n. 450, art. 188, comma 2, disponeva nel senso che la norma non avrebbe potuto entrare in vigore prima del 24 giugno 2009; occorre dire che il secondo motivo è fondato nei limiti di cui alle successive considerazioni;

2.4. che pur essendo vero che la giurisprudenza domestica, da un paio d’anni, sulla scorta di quella unionale, si è ormai consolidata nel senso che in caso di deposito fiscale cosiddetto virtuale, in assenza di frodi, qui non in discussione, l’amministrazione non può pretendere l’IVA all’importazione relativa alla merce immessa in libera pratica, concretandosi il fisico deposito in un semplice adempimento formale che non può incidere sul fondamentale principio di neutralità del tributo (Corte giust. UE sez. VI n. 272 del 2014, segnatamente nn. 29, 36 e 39; Cass. sez. V-T n. 10911 del 2016; Cass. sez. VI-T n. 17815 del 2015); deve essere, tuttavia, considerato che la legge comunitaria non osta alla previsione di un deposito fiscale che come quello italiano è stato predisposto ad un più efficace controllo IVA, con la conseguenza che deve riconoscersi al Paese membro il potere di comminare sanzioni in caso le merci importate non siano state fisicamente immesse nello stesso; sanzioni che, ancora secondo il giudice unionale, debbono essere però appropriate in relazione alla gravità della violazione ed ai suoi effetti, spettando al giudice nazionale apprezzare ciò nel merito; e fermo restando che questa Corte ha già avuto occasione di affermare che la sanzione prevista, in mancanza di altre speciali, ben può essere quella stabilita dal cit. D.Lgs. n. 471, art. 13, per il ritardato o omesso versamento d’imposte (Corte giust. UE sez. VI n. 272 cit., segnatamente n. 33 ss.; Cass. sez. VI-T n. 17814 del 2015; Cass. sez. VI-T n. 16109 del 2015);

2.5. che, in ragione di quanto sopra, anche recentemente, questa Corte ha avuto occasione di ribadire il principio per cui: “l’amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui al cit. D.L. n. 331, art. 50 bis, comma 4, lett. b), qualora costui abbia già provveduto all’adempimento, sebbene tardivo, dell’obbligazione tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante un’autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell’IVA, realizzata dall’importatore per effetto dell’immissione solo “virtuale” della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione, come chiarito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 17 luglio 2014, in C272/13, a tenore della quale detta violazione può essere però punita, in relazione allo scarto temporale tra la dichiarazione e l’autofatturazione, con una specifica sanzione per il ritardo – non fissa e che può consistere anche nel computo degli interessi di mora, purchè sia rispettato il principio di proporzionalità – la cui adeguata determinazione, implicando un accertamento di fatto, compete al giudice di merito” (Cass. sez. trib. n. 12231 del 2017);

2.6. che, per quanto sin qui veduto, cioè alla luce della giurisprudenza unionale e di quella domestica, contrariamente a quanto sostenuto dalla contribuente nelle rammentate memorie, l’esito del giudizio sulle sanzioni non è dipendente da quello dell’accertamento IVA; e, ciò, anche in relazione alla definizione delle irregolarità formali oggetto della lite sull’accertamento tramite condono D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, ex art. 9, conv. con modif. in L. 17 dicembre 201, n. 136; in effetti, le sanzioni di cui si discute sono quelle sostanziali che colpiscono l’omesso o ritardato pagamento dell’imposta, anche se dalla mancata non immissione fisica nel deposito fiscale, come ricordato, non può farsi discendere la perdita del diritto alla detrazione e la conseguente violazione del principio di neutralità, che è essenziale al regime IVA;

3. che con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando principalmente la violazione dell’art. 148, e dell’art. 156 c.p.c., la contribuente, in buona sostanza, criticava la Regionale per aver ritenute nulle le notifiche e quindi le stesse sanate ex art. 156 c.p.c., con la tempestiva impugnazione degli atti fiscali, invece che ritenerle inesistenti perchè eseguite da un soggetto non identificato, “probabilmente” da un messo comunale;

3.1. che il motivo è però preliminarmente inammissibile, per difetto di autosufficienza, in assenza di trascrizione della relata di notifica degli impugnati atti fiscali (Cass. sez. trib. n. 5185 del 2017); oltre che, comunque, infondato, viepiù alla luce della più autorevole giurisprudenza che ormai esclude il vizio di inesistenza in relazione a soggetti cui la legge riconosce un potere notificatorio (Cass. sez. un. 14917 del 2016);

4. che con il secondo complesso motivo del ricorso incidentale condizionato, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e “nuovo” n. 5, lamentando principalmente la violazione dell’art. 112, e dell’art. 148 c.p.c., in subordine la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, e dell’art. 2697 c.c., nonchè infine vizi motivazionali, la contribuente addebitava alla CTR di aver omesso di pronunciare sulle eccepite ulteriori questioni formali; questioni che, sempre secondo la contribuente, la Regionale “neppure individuava”; ovvero, in subordine, la contribuente addebitava alla CTR di aver rigettato le suddette eccezioni formali con motivazione inesistente, del tutto apparente, comunque con motivazione viziata;

4.1. che questo secondo motivo del ricorso incidentale condizionato, nella parte in cui ci si duole dell’omnicomprensivo apodittico rigetto delle ulteriori eccezioni formali, che la Regionale aveva peraltro indicato in narrativa, è fondato; la CTR non ha difatti in nessun modo dato conto delle ragioni per cui ha rigettato tutte insieme le eccezioni in parola, incorrendo così nella denunciata violazione del cit. D.Lgs. n. 546, art. 36;

5. che con il terzo motivo del ricorso incidentale condizionato, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., la contribuente censurava la Regionale per non aver pronunciato sull’eccezione per cui dalla decadenza dal potere di accertamento dell’imposta in cui era incorsa l’amministrazione, avrebbe dovuto farsi conseguire l’illegittimità delle sanzioni;

5.1. che il motivo è assorbito, in quanto compreso nelle questioni di diritto affrontate e risolte sub 2 ss., laddove, in particolare, è stata rilevata la non dipendenza dei fatti costituenti il ritardato versamento dell’imposta, colpiti dalla sanzione, da quelli costitutivi del diritto alla detrazione; in effetti, sia che l’imposta non fosse dovuta perchè dall’inadempimento formale non poteva farsi derivare la perdita del diritto alla detrazione; sia, a maggior ragione, che l’amministrazione fosse decaduta dal potere di recuperare la suddetta detrazione; l’irrogazione della sanzione non rimane, come sopra veduto, in alcun modo pregiudicata; e, questo, perchè il fatto costitutivo della violazione, consistente nel ritardato pagamento, non è stato oggetto, in entrambi i casi, di alcun contrario giudicato preclusivo, permettendo così l’incidentale accertamento dello stesso ai fini dell’applicazione della sanzione;

6. che con il quarto complesso motivo del ricorso incidentale, condizionato, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e “nuovo” n. 5, lamentando principalmente la violazione dell’art. 112 c.p.c., del cit. D.Lgs. n. 546, art. 36, nonchè vizi di motivazione, la contribuente lamentava la “sibillina” osservazione della Regionale, laddove quest’ultima aveva, seppure incidentalmente, ricordato che la giurisprudenza era orientata nella direzione della necessità della fisica introduzione nel deposito fiscale;

6.1. che il motivo è inammissibile perchè con lo stesso viene in realtà censurata una argomentazione giuridica che, come tale, deve essere considerata irrilevante, in quanto improduttiva di effetti sulla decisione favorevole alla contribuente (Cass. sez. I n. 8755 del 2018);

6. che l’impugnata sentenza, con riferimento ai soli profili accolti, deve essere quindi cassata, con rinvio alla Regionale per i necessari accertamenti.

P.Q.M.

La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il secondo motivo del ricorso principale, rigetta gli altri; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato, assorbito il terzo, rigetta gli altri; cassa l’impugnata sentenza, rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Liguria che, in diversa composizione, dovrà decidere la controversia uniformandosi ai superiori principi e regolare le spese di ogni fase e grado.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020

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