Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.445 del 14/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 14022 del ruolo generale dell’anno 2014 proposto da:

C.A., rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Stefano Sobrato, con studio in Susa (Torino), piazza III Reggimento Alpini, n. 5, elettivamente domiciliato presso la C.S.C., p.zza Cavour, Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è

domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, n. 119/26/2013, depositata in data 19 novembre 2013;

udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 14 novembre 2019 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

RILEVATO

che:

dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti di C.A., esercente attività di “segagione e lavorazione delle pietre e del marmo”, nonchè di “commercio al dettaglio di macchine per ufficio”, un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2005, aveva contestato l’indebita detrazione dell’Iva, per avere acquistato dalla ditta individuale Infomega di M.E. materiale informatico nell’ambito di una frode carosello, nonchè ricavi non registrati, ed applicato le conseguenti sanzioni; avverso il suddetto atto impositivo il contribuente aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Torino; avverso la pronuncia del giudice di primo l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello; la Commissione tributaria regionale del Piemonte ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: l’ufficio aveva fornito prove dirette del coinvolgimento del contribuente, rinvenendo nella contabilità di costui n. 11 fatture registrate e oggetto dell’attività frodatoria, come confessato dalla Titolare di Infomega con dovizia di particolari, e n. 4 fatture non registrate, e perciò, come plausibile, oggetto di acquisti in nero da Infomega; le presunte violazioni del diritto di difesa, ecc., dedotte dal contribuente, apparivano il frutto di una difesa astratta, essendo gli atti ampiamente riportati in vari documenti di causa e, comunque, ben noti al contribuente;

avverso la pronuncia del giudice del gravame ha proposto ricorso il contribuente a tre motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, nonchè degli artt. 324,329 c.p.c., comma 2, e art. 342, c.p.c., per avere omesso di rilevare il giudicato interno sulle questioni, prospettate dinanzi al giudice del gravame, relative alla violazione del diritto di difesa del contribuente, sulle quali l’Agenzia delle entrate non avrebbe proposto alcun specifico motivo di appello;

il motivo è infondato;

dall’esame del contenuto della sentenza del giudice di primo grado, come riprodotta dal ricorrente, si evince che il percorso motivazionale seguito ha avuto ad oggetto la questione della valenza probatoria degli elementi presuntivi addotti dall’amministrazione finanziaria al fine di fondare la pretesa fatta valere nei confronti del ricorrente;

ciò si ricava dal passaggio secondo cui “L’Ufficio si è basato del tutto acriticamente sulle presunte conclusioni raggiunte dall’Ufficio Antifrode della Direzione Regionale del Piemonte a carico della ditta Infomega e non ha posto in essere alcuna minima attività ispettiva che potesse dare prova del sospetto di evasione”;

sicchè, il successivo passaggio della motivazione, valorizzato dal ricorrente, relativo al fatto che, secondo la giurisprudenza maggioritaria, la motivazione dell’accertamento è legittima, anche se basata su atti per relationem, quanto questi costituiscono fatto notorio per il contribuente per evitare una violazione delle regole del contraddittorio, non può essere letta isolatamente, ma come conseguenza della valutazione delle non rilevanza delle prove indiziarie prospettate con l’avviso di accertamento;

sotto tale profilo, deve ritenersi che il giudice del gravame abbia deciso, in senso favorevole al ricorrente, unicamente sulla considerazione della non rilevanza probatoria delle prove indiziarie ed è su questo profilo, cioè sulla effettiva esistenza di un meccanismo di “frode carosello” e sulla non corretta valutazione della rilevanza probatoria della dichiarazione della titolare di Infomega che, stando a quanto riportato dal ricorrente a pag. 1213, del ricorso, si è incentrato il motivo di appello proposto dall’Agenzia delle entrate;

non può quindi ritenersi che, sulla diversa questione della violazione del termine dilatorio, della mancanza di notifica del processo verbale di constatazione e del difetto di motivazione della pretesa impositiva, si era pronunciato il giudice di primo grado, con la conseguenza che, avendo comunque dato ragione al ricorrente sotto il profilo della non idoneità degli elementi di prova presuntiva, aveva implicitamente risolto le ulteriori questioni sopra riportate, sicchè era il ricorrente che, parte totalmente vittoriosa, aveva l’onere di riproporle in sede di giudizio di appello, senza che possa ritenersi formato il giudicato interno sul punto in senso sfavorevole all’amministrazione finanziaria;

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, e degli artt. 324,329 c.p.c., comma 2, e art. 342, c.p.c., per non avere rilevato che, sulla questione della pretesa fondata sugli acquisti in nero, si era formato il giudicato interno, non avendo l’amministrazione finanziaria proposto alcun motivo di appello sul punto;

il motivo è fondato;

si evince dagli atti difensivi delle parti che l’avviso di accertamento ha avuto ad oggetto non solo la contestazione della frode carosello relativamente ad acquisti dei prodotti informatici da soggetto interposto, finalizzato ad acquisire un ingiusto vantaggio mediante l’acquisto a prezzo vantaggiosi e successivamente detraendo indebitamente l’Iva, ma anche l’acquisto “in nero” di merci relative a quattro fatture non registrate e ritrovate in sede di verifica;

si è trattata, dunque, di una pretesa distinta da quella basata sulla frode carosello, in quanto incentrata, questa volta, sull’acquisto di merci senza registrazione e in relazione alla quale era stata ipotizzata la vendita in nero, con conseguente rideterminazione dei ricavi non dichiarati;

dall’esame del contenuto della sentenza si evince che l’appello dell’amministrazione finanziaria ha avuto ad oggetto unicamente la questione della interposizione fittizia della ditta Infomega: l’appellante (vd. in dettaglio pagg. da 3 a 5 dell’appello) ricostruiva in sintesi l’operazione frodatoria, che vedeva la Ditta Infomega nella veste di interposto fittizio e altri soggetti in posizione di interponenti (…);

nel presente motivo di ricorso, inoltre, si fa richiamo, ai fini del rispetto del principio di specificità, alle suddette pagg. 3 e 5 dell’appello, sicchè deve ritenersi che, sul punto, l’amministrazione finanziaria non aveva in alcun modo prospettato alcuna ragione di censura in ordine alla questione in esame;

nè può valere quanto sostenuto dalla controricorrente, sul punto, in ordine al motivo di censura in esame, laddove ha ritenuto che il motivo sarebbe infondato in quanto il giudice si sarebbe pronunciato sulla questione in esame;

la questione prospettata, invero, non attiene alla pronuncia del giudice del gravame sul punto relativo agli acquisti in nero, ma alla sussistenza di un giudicato interno per non avere l’amministrazione finanziaria prospettato ragioni di doglianza in ordine alla pronuncia del giudice di primo grado che, nel dare ragione al contribuente, aveva totalmente annullato l’atto impositivo anche nella parte relativa al punto in esame;

con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per inesistenza, apparenza o illogicità della motivazione, in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), sia in ordine alla questione della frode carosello che dei ricavi in nero;

il motivo è infondato;

in ordine alla questione della sussistenza della frode carosello la motivazione del giudice del gravame, seppure concisa, ha chiaramente individuato il fondamento della pretesa sulla sussistenza di 11 fatture registrate, emesse dalla ditta Infomega, nonchè sul fatto che la titolare della suddetta ditta aveva fornito dichiarazioni confessorie, ed ha rinviato agli atti di causa, il cui contenuto essenziale è stato riportato in sede di svolgimento del processo;

in sostanza, il profilo centrale della pronuncia in esame si fonda sulla sussistenza di rapporti economici sussistenti tra il ricorrente e la ditta Infomega e sul contenuto delle dichiarazioni della titolare della medesima ed è su questa valutazione di merito, in ordine alla rilevanza probatoria di questa dichiarazione stragiudiziale, che si è fondata la valutazione della sussistenza della frode carosello;

rispetto a questa valutazione, non sindacabile in questa sede, parte ricorrente si è limitata a sostenere che gli importi delle operazioni erano stati dallo stesso regolarmente pagati e registrati in contabilità, che la dichiarazione stragiudiziale non era agli atti del giudizio e che la valenza probatoria attribuita alla suddetta dichiarazione era del tutto slegata da qualsivoglia elemento fattuale di riscontro probatorio e prescindeva dal confronto con le risultanze processuali e con il motivo di impugnazione;

a tal proposito, va osservato che le dichiarazioni stragiudiziali risultavano riportate, in sintesi, nell’avviso di accertamento, secondo quanto riprodotto dalla stessa parte ricorrente a pag. 4 del ricorso, e che la circostanza dell’avvenuto pagamento e della corretta registrazione delle fatture non costituisce elemento ostativo all’accertamento della sussistenza di frodi carosello, posto che ciò che viene contestato, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, è l’indebita detrazione dell’Iva a seguito del meccanismo frodatorio realizzato;

in ordine alla valenza probatoria della dichiarazione stragiudiziale in esame, parte ricorrente non ha indicato, in violazione del principio di specificità, quali ulteriori elementi non sono stati presi in considerazione dal giudice del gravame il quale, come detto, ha compiuto la sua valutazione in merito alla rilevanza del contenuto della medesima alla luce di tutte le risultanze emerse, avendo ritenuto sussistente un sistema frodatorio, ampiamente descritto negli atti di causa;

l’ulteriore questione, relativa alla questione della sussistenza di ricavi in nero, è assorbita dall’accoglimento del secondo motivo di ricorso;

in conclusione, sono infondati il primo e il terzo motivo di ricorso, quest’ultimo assorbito nella parte relativa alla sussistenza dei ricavi in nero, è fondato il secondo motivo di ricorso, e con riferimento a quest’ultimo, non dovendosi procedere ad ulteriori accertamenti in fatti, va accolto il ricorso originario limitatamente alla pretesa relativa ai maggiori ricavi non registrati, con conseguente cassazione della sentenza senza rinvio sul punto;

sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese dei giudizi di merito e del presente giudizio, atteso il parziale accoglimento del ricorso.

PQM

La Corte:

rigetta il primo e terzo motivo di ricorso, quest’ultimo per quanto di ragione, accoglie il secondo motivo, cassa per il motivo accolto la sentenza e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario limitatamente alla pretesa impositiva relativa a maggiori ricavi non registrati.

Compensa interamente le spese di lite.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020

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