LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi riuniti 21167/2015 e 21292/2015, rispettivamente proposti da:
IMMOBILIARE BARDONECCHIA Società Semplice (già Immobiliare Bardonecchia di S.S. & C. S.a.s.), in persona del socio e legale rappresentante S.S., rappresentata e difesa dagli Avvocati IDA CARDARELLI e FRANCO BOZZINI, ed elettivamente domiciliata presso lo studio della prima in ROMA, VIA ALESSANDRIA 208;
– ricorrente –
e da M.G., rappresentata e difesa dall’Avvocato LIVIO LOVATO DASSETTO, ed elettivamente domiciliata, presso lo studio dell’Avv. Monica Marucci, in ROMA, VIA IN SELCI 84/A;
– ricorrente incidentale –
contro
R.G. GRAFICA s.r.l., in persona del legale rappresentante G.S., rappresentata e difesa dagli Avvocati AMEDEO POMPONIO e DANILO GHIA, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in ROMA, VIA CICERONE 44;
– controricorrente al ricorso principale e incidentale –
e contro
FONDIARIA SAI s.a.s.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1199/2014 della CORTE d’APPELLO di TORINO, depositata il 19/06/2014;
udita la relazione delle cause svolta nella pubblica udienza del 19/09/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale;
uditi gli avvocati IDA CARDARELLI e LIVIO LOVATO DASSETTO, rispettivamente per la ricorrente principale e quella incidentale, che hanno concluso ciascuno come in atti.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione, notificato in data 20.4.1993, la IMMOBILIARE BARDONECCHIA DI S.S. & C. s.a.s. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Torino la R.G. GRAFICA S.R.L. affermando di avere per essa realizzato, in forza di contratto di appalto, un capannone in Rivoli; che incaricata della progettazionqe direzione lavori era stata l’arch. M.G.; di aver consegnato l’opera alla committente in data 12.2.1992; che nell’aprile 1992 le era pervenuta dalla committente denuncia di difetti dei pavimenti del piano terreno e primo; che il corrispettivo pattuito non le era stato interamente corrisposto, per cui chiedeva la condanna della convenuta al pagamento del saldo pari a Lire 34.815.068.
Costituitasi in giudizo, la R.G. Grafica s.r.l. insisteva nella contestazione dei difetti e formulava domanda riconvenzionale di risarcimento del danno.
Con separata citazione la committente conveniva in giudizio, sempre davanti al Tribunale di Torino, l’arch. M., chiedendone la condanna, fondata su ipotizzata responsabilità professionale, al risarcimento dei danni.
La convenuta si costituiva in giudizio contestando la sussistenza di una propria responsabilità e chiamando in giudizio la propria assicuratrice FONDIARIA SAI, dalla quale intendeva essere manlevata. La terza chiamata si costituiva in giudizio appoggiando nel merito le difese della convenuta.
Riunite le due cause ed espletata CTU, con sentenza n. 8285/2001, depositata in data 15.10.2001, il Tribunale di Torino respingeva la domanda di pagamento formulata dall’Immobiliare Bardonecchia; accoglieva la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni proposta dalla R.G. Grafica s.r.l., liquidati in Lire 137.000.000 oltre accessori; rigettava le domande proposte nei confronti dell’arch. M.; dichiarava assorbita la domanda di manleva; condannava l’attrice al pagamento delle spese di lite e di CTU in favore della R.G. Grafica s.r.l..
Avverso la sentenza proponeva appello l’Immobiliare Bardonecchia, lamentando la erroneità della CTU di primo grado.
Si costituiva la committente resistendo al gravame principale e proponendo appello incidentale, con la richiesta di condanna dell’arch. M., la quale da canto suo insisteva nella domanda di garanzia verso la Compagnia assicuratrice.
Espletata nuova CTU, con sentenza n. 1669/2005, depositata in data 26.10.2005, la Corte d’Appello di Torino riformava la sentenza di primo grado e condannava la committente al pagamento del saldo del prezzo e l’appaltatrice al risarcimento dei danni liquidati in Lire 30.000.000, oltre accessori; dichiarava inammissibile l’appello incidentale. In particolare, la Corte d’Appello confermava il giudizio di responsabilità a carico dell’appaltatrice in riferimento alla pavimentazione del piano terreno, escludendo però la necessità della demolizione, anche perchè i vizi accertati non ne avevano impedito del tutto l’utilizzo; l’appello incidentale era ritenuto inammissibile per mancanza di specificità delle censure.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione la R.G. Grafica. L’Immobiliare Bardonecchia resisteva proponendo ricorso incidentale. Si costituiva la M., ma non Fondiaria SAI.
Con sentenza n. 2829/2013, depositata in data 6.2.2013, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso principale rinviando ad altra sezione della Corte d’Appello per il giudizio di merito. Rilevava la Suprema Corte che se la Corte d’Appello aveva escluso l’ipotesi di cui all’art. 1669 c.c., propendendo per quella di cui all’art. 1667 c.c., non per questo si giustificava la conseguenza che ne aveva tratto, ovvero che l’esclusione del caso di cui all’art. 1669 c.c., impedisse l’ipotesi di un rifacimento completo della pavimentazione, essendo compatibili i due rimedi del risarcimento del danno e dell’eliminazione dei vizi; inoltre che non si giustificava la limitazione al solo piano terreno del risarcimento del danno e dell’eliminazione dei vizi. Era accolto anche il motivo di ricorso concernente l’appello incidentale, non giustificandosi la ritenuta inammissibilità di questo circa la responsabilità della professionista, essendo emersa la riferibilità dei vizi ad errori di progettazione ed essendo sul punto adeguatamente motivato il gravame. Infine, dichiarava assorbito l’ulteriore motivo di ricorso principale, nonchè quello incidentale, relativi al regime delle spese di lite e alla liquidazione del danno.
La R.G. Grafica s.r.l. riassumeva il giudizio insistendo nella propria domanda di risarcimento del danno parametrato sul rifacimento dei pavimenti del piano terreno e primo piano, e sulla domanda di condanna anche della progettista e del direttore dei lavori, nonchè di rifusione delle spese sostenute per l’ATP e delle spese di lite.
Si costituivano in giudizio le altre parti: l’Immobiliare Bardonecchia chiedeva il rigetto della domanda di risarcimento ed eccepiva la mancata formulazione, da parte della committente, di domanda di rifacimento dei pavimenti, nonchè la mancata prova del danno che quella assumeva di aver subito; l’arch. M. eccepiva la novità delle conclusioni assunte dall’attrice in riassunzione rispetto al precedente giudizio di appello, l’infondatezza delle pretese avanzate nei propri confronti; in subordine, la prescrizione e decadenza del diritto di R.G. Grafica, la propria estraneità alla progettazione del pavimento del primo piano, la limitazione della propria percentuale di corresponsabilità con l’appaltatore, l’eccessività dei costi individuati dalla CTU per la rimozione dei vizi; riproponeva la domanda di manleva nei confronti della Fondiaria SAI; quest’ultima, riportandosi alle difese dell’assicurata in merito all’infondatezza delle domande contro questa proposte, contestava la ricorrenza dei presupposti di polizza per l’operatività della garanzia, incombendo all’assicurata l’onere di provare il contrario.
Con sentenza n. 1199/2014, depositata in data 19.6.2014, la Corte d’Appello di Torino condannava, in solido tra loro, l’Immobiliare Bardonecchia e M.G. al risarcimento del danno in favore di R.G. Grafica s.r.l. liquidato in Euro 184.190,00, oltre interessi legali dalla data della sentenza al saldo; condannava l’Immobiliare Bardonecchia all’ulteriore risarcimento del danno in favore di R.G. Grafica s.r.l. liquidato in Euro 22.140,00, oltre interessi legali dalla data della sentenza al saldo; rigettava ogni domanda da M.G. proposta nei confronti della Fondiaria SAI; condannava, in solido tra loro, l’Immobiliare Bardonecchia e la M. alle spese di lite in favore di R.G. Grafica nei vari gradi di giudizio; condannava la M. alle spese di lite in favore della Fondiaria SAI nei vari gradi di giudizio.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’Immobiliare Bardonecchia sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria; resiste la R.G. Grafica s.r.l. con controricorso. Propone altresì ricorso incidentale M.G. sulla base di due motivi; resiste con controricorso al ricorso incidentale la R.G. Grafica; l’intimata Fondiaria SAI non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. – Si impone, preliminarmente, la riunione delle impugnazioni, che nella specie è obbligatoria, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto queste investono lo stesso provvedimento (Cass. sez. un. 1521 del 2013; conf. Cass. n. 27550 del 2018).
1.2. – Inoltre, il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte (come nella specie), indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale (Cass. n. 2516 del 2016; conf. Cass. n. 5695 del 2015).
2.1. – Con il primo motivo, la ricorrente principale impugna la sentenza, ai sensi dell'”art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 384 c.p.c., comma 2", poichè la Corte di Cassazione, da un lato, aveva corretto e conferito l’esatta impostazione giuridica alla sentenza pronunciata in secondo grado e, dall’altro lato, aveva riconosciuto la pretesa della R.G. Grafica s.r.l. di ottenere il risarcimento dei danni relativi ai vizi del pavimento del primo piano. Viceversa, la Corte d’Appello, in sede di rinvio, non si limitava a dare concretezza a tale riconoscimento, ritenendo di dover interpretare la sentenza della Suprema Corte nel senso di modificare il quantum del risarcimento spettante alla R.G. Grafica s.r.l. anche in relazione al piano terra del fabbricato, rispetto a quanto già stabilito dalla sentenza di secondo grado n. 1669/2005 della Corte d’Appello di Torino.
2.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente principale, lamenta, sempre ai sensi dell'”art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (la) violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 384 c.p.c., comma 2", là dove il giudice del rinvio ha trattato il quantum del risarcimento in relazione al piano terra, quando esso era già stato determinato dalla sentenza d’appello. Secondo la ricorrente, la Corte di Cassazione aveva affermato che la committente avesse chiesto, oltre al risarcimento dei danni, anche l’eliminazione dei vizi mediante rifacimento dell’opera, mentre il Giudice del rinvio ha ritenuto che la committente non avesse mai richiesto la condanna dell’appaltatore alla rimozione dei vizi. In ogni modo, il Giudice del rinvio avrebbe disatteso la pronuncia della Suprema Corte, la quale non aveva cassato la decisione di secondo grado circa la determinazione del quantum del risarcimento per i vizi del pavimento del piano terra.
2.3. – In considerazione della loro connessione logico-giuridica, i motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.
2.3.1. – I motivi non sono fondati.
2.3.2. – Costituisce principio consolidato (da ultimo Cass. n. 9156 del 2019; Cass. n. 5137 del 2019) che la riassunzione della causa innanzi al giudice di rinvio instauri un processo chiuso, nel quale è preclusa alle parti, tra l’altro, ogni possibilità di proporre nuove domande, eccezioni, nonchè conclusioni diverse, salvo che queste, intese nell’ampio senso di qualsiasi attività assertiva o probatoria, siano rese necessarie da statuizioni della sentenza della Cassazione (Cass. n. 25244 del 2013). Conseguentemente, nel giudizio di rinvio non possono essere proposti dalle parti, nè presi in esame dal giudice, motivi di impugnazione diversi da quelli che erano stati formulati nel giudizio d’appello conclusosi con la sentenza cassata e che continuano a delimitare, da un lato, l’effetto devolutivo dello stesso gravame e, dall’altro, la formazione del giudicato interno (Cass. n. 4096 del 2007; Cass. n. 13719 del 2006; in senso analogo, Cass. n. 13006 del 2003).
La riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio si configura, dunque, non già come atto di impugnazione, ma come attività d’impulso processuale volta alla prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata (cfr. giurisprudenza costante di questa Corte: Cass. n. 25244 del 2013, cit.; cfr. Cass. n. 4018 del 2006). Non senza dimenticare che a tali regole si aggiunge quella secondo cui, in tema di ricorso avverso sentenza emessa in sede di rinvio, ove sia in discussione, in rapporto al petitum concretamente individuato dal giudice di rinvio, la portata del decisum della sentenza di legittimità, la Corte di cassazione, nel verificare se il giudice di rinvio si sia uniformato al principio di diritto da essa enunciato, deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa e al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte, con la quale la pronuncia rescindente non può porsi in contrasto (Cass. n. 3955 del 2018).
Peraltro, altrettanto consolidato è il principio secondo cui i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza, infine, la sua potestas iudicandi, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonchè la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (Cass. n. 17790 del 2014; conf. Cass. n. 13719 del 2006).
2.3.3. – Ciò premesso, la Corte di merito, nel rispetto della specifica latitudine attribuita dalle coordinate apposte dal giudice di legittimità all’ambito decisionale nel giudizio di rinvio, ha sottolineato come “in base all’esplicito tenore della sentenza della Suprema Corte, debba ritenersi definitivo l’accertamento, nel caso di specie, della sussistenza di vizi nell’opus realizzato da Immobiliare Bardonecchia, in relazione ai pavimenti del primo piano e del piano terreno, che non integrano l’ipotesi di cui all’art. 1669 c.c., bensì quella di cui all’art. 1667 c.c.”; ed ha quindi rilevato che “la Suprema Corte (aveva) poi affermato la concorrenza della domanda di risarcimento del danno con quella diretta all’eliminazione dei vizi, affermandone la cumulabilità”. A fronte di ciò, la Corte di merito ha precisato che “l’affermazione della convenuta appaltatrice, per cui questo sarebbe, “com’è noto”, un errore, non è ovviamente rilevante, posto che il giudice del rinvio è vincolato al principio di diritto formulato nella pronuncia di cassazione della sentenza di appello”; laddove “sulla scorta di ciò, parte attrice in riassunzione, consapevole di non aver mai richiesto la condanna dell’appaltatore alla rimozione dei vizi, (ha riproposto) la propria, unica e sola, domanda di risarcimento del danno, parametrandola ai costi di eliminazione dei vizi, sulla scorta della CTU di primo grado, che sul punto appare del tutto immune da vizi logici, congruamente motivata” (ed alla quale era dunque opportuno integralmente richiamarsi in quella sede di giudizio di rinvio). E dunque, correttamente e coerentemente (avuto evidentemente riguardo anche al fatto che avverso singole affermazioni della pronuncia di legittimità non riulta esser stato ritualmente proposto alcun tempestivo rimedio revocatorio), la Corte distrettuale ha ritenuto che, in base al tenore del decisum della Suprema Corte, l’unica decisione possibile fosse la conferma del danno liquidato dal giudice di primo grado (sentenza impugnata, pagine 9 e 10).
3. – Con il terzo motivo, la ricorrente principale deduce ai sensi dell'”art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (la) nullità della sentenza o del procedimento in quanto priva dei requisiti previsti dall’art. 132 c.p.c.” ritenendosi oscuro il perchè il Giudice del rinvio abbia accolto la richiesta risarcitoria, parametrandola ai costi di eliminazione dei vizi, attribuendo valenza positiva alla CTU svolta in primo grado, senza neppure articolare il proprio ragionamento in relazione a quanto stabilito dalla Corte d’Appello con la sentenza n. 1669/2005, la cui decisbne è stata riformata solo in parte, circa la correzione dell’iter logico-giuridico della motivazione e l’accoglimento della domanda risarcitoria in relazione al pavimento del primo piano.
3.1. – Il motivo è infondato.
3.2. – Questa Corte ha avuto modo di chiarire (Cass. n. 19959 del 2014) che il giudizio di cassazione (come detto, giudizio a critica vincolata) è delimitato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve, appunto, necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato possa rientrare nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.; sicchè è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con una articolazione del motivo, correlato ad un non specifico riferimento a profili tra loro confusi o inestricabilmente combinati, e non chiaramente collegabili ad una delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito (Cass. n. 11603 del 2018).
Ciò che la ricorrente principale contesta è, relativamente alla liquidazione dei danni, la asserita “evidente carenza dell’impugnata sentenza sul piano della motivazione” (ricorso principale, pagina 18), sul punto della determinazione del quantum del risarcimento spettante alla R.G. Grafica.
Orbene, costituisce principio fermo quello secondo cui la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta, come nella specie, da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (cfr. Cass. n. 604 del 2019; Cass. n. 22598 del 2018), non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. (Cass. sez. un. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 8742 del 2018). Ma detto principio deve coesistere con quello altrettanto fermo secondo cui, nel “processo chiuso” conseguente alla riassunzione della causa davanti al Giudice del rinvio, se è vero che il Giudice conserva tutte le facoltà che gli competevano quale Giudice di merito, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento, è altresì vero che, nel rinnovare il giudizio, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema enunciato nella sentenza di annullamento, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici (Cass. n. 4018 del 2006; Cass. n. 14134 del 2004).
3.3. – Il Giudice di rinvio (come già sopra sottolineato) dato atto che era divenuto definitivo l’accertamento della sussistenza dei vizi in relazione ai pavimenti del piano primo e del piano terra, che non integravano l’ipotesi di cui all’art. 1669, bensì quella di cui all’art. 1667 c.c. e che la committente, consapevole di non aver mai richiesto la condanna dell’appaltatore alla rimozione dei vizi, aveva riproposto la propria unica domanda di risarcimento del danno, parametrandola ai costi di eliminazione dei vizi, in base alla CTU di primo grado – ha adeguatamente motivato nel senso che, secondo il decisum della Cassazione, l’adozione del risultato della CTU di primo grado fosse l’unica soluzione (giacchè la sentenza di appello era stata cassata proprio in quanto aveva escluso tale diritto, sulla scorta delle risultanze della CTU di secondo grado).
4. – Con il quarto motivo, la ricorrente principale deduce, ai sensi dell'”art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con riguardo alla questione controversa, oggetto di discussione tra le parti, della idoneità del pavimento. La Corte d’Appello in secondo grado aveva evidenziato, sulla base della CTU esperita in grado d’appello, che il pavimento non solo fosse utilizzabile, ma di fatto era stato utilizzato dalla committente fin dall’epoca della sua realizzazione. Tale circostanza non era presa in considerazione dalla Corte d’Appello in sede di rinvio, la quale riteneva di richiamare la CTU di primo grado, anche se tale CTU non affrontava la questione dell’utilizzabilità e della effettiva utilizzazione del manufatto, tanto che il Giudice di secondo grado riteneva di disporre nuova CTU anche per affrontare tale profilo.
4.1. – Il motivo è inammissibile.
4.2. – E’ principio consolidato di questa Corte che il novellato paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 19 giugno 1914) consente (Cass. sez. un. 8053 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).
Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, la ricorrente – con riguardo e nei limiti della richiamata peculiare ampiezza dell’ambito decisionale del giudizio di rinvio – avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Viceversa, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non v’è idonea e specifica indicazione. Sicchè, le censure mosse in riferimento a detto parametro, ancora una volta, si risolvono nella richiesta generale e generica al giudice di legittimità di una (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento in parte qua della sentenza impugnata (Cass. n. 1885 del 2018), come detto inammissibile, seppure effettuata con asserito riferimento alla congruenza sul piano logico e giuridico del procedimento seguito per giungere alla soluzione adottata dalla Corte distrettuale e contestata dal ricorrente. In sede di legittimità, le censure relative ai vizi di motivazione non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dalla sentenza impugnata, in quanto, diversamente, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del Giudice di merito, estranea al giudizio di legittimità (Cass. n. 6288 del 2011; Cass. n. 7394 del 2010).
5. – Con il primo motivo di ricorso incidentale, la ricorrente M. lamenta la “Violazione del principio di economia processuale; violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 2; artt. 391 bis, 365 c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per non avere la Corte d’Appello, in sede di rinvio, provveduto alla correzione degli errori di fatto che avrebbero viziato la sentenza della Corte di Cassazione.
5.1. – Il motivo non è fondato.
5.2. – Il resistente rileva che la sentenza di legittimità n. 2829 del 2013 era stata depositata in data 6.2.2013 e l’atto di riassunzione era stato notificato dalla committente alla M. in data 6.5.2013 (v. controricorso al ricorso incidentale, pagina 8), ossia dopo tre mesi, termine durante il quale la odierna ricorrente incidentale avrebbe, semmai, potuto introdurre giudizio di revocazione per errore di fatto. Ne consegue che la scelta di non proporre ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, ha determinato il consolidamento dei presupposti di fatto e di diritto statuiti dalla Suprema Corte. Valgono, dunque, tutte le considerazioni svolte circa la non fondatezza dei primi due motivi del ricorso principale sub 2.3.3.
6. – Con il secondo motivo di ricorso incidentale, la ricorrente M. deduce la “Violazione art. 384 c.p.c., comma 2 e art. 394 c.p.c.; art. 1668 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per non essersi la Corte d’Appello, in sede di rinvio, uniformata al principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione, condannando la ricorrente e l’Immobiliare Bardonecchia, in solido, al solo risarcimento del danno e parametrando quest’ultimo al costo delle opere necessarie ad eliminare i vizi. La Corte di rinvio faceva proprio quello che la Suprema Corte aveva enunciato non potesse fare e cioè non considerava la domanda di eliminazione dei vizi a carico dell’appaltatore. Invece, la Corte di rinvio avrebbe dovuto esaminare e pronunciarsi sulla domanda di eliminazione dei vizi; tutt’al più constatando che la stessa non era stata (ri)proposta nel giudizio di merito e, pertanto, fosse da intendersi come rinunciata.
6.1. – Il motivo non è fondato.
6.2. – In considerazione del contenuto del tutto analogo e coincidente delle censure mosse dal ricorrente principale alla impugnata sentenza della Corte distrettuale, e del medesimo thema decidendum proposto, appare sufficiente fare riferimento alle considerazioni sopra svolte (sub 2. e segg.) in ordine alla portata della pronuncia ed alla sua correttezza rispetto all’ambito decisionale proprio del giudizio di rinvio; considerazioni che ovviamente (data la stessa prospettazione) non possono non riguardare nell’identico modo anche la posizione della ricorrente incidentale.
7. – I ricorsi vanno dunque rigettati. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa, altresì, per entrambe le ricorrenti (principale e incidentale) la dichiarazione ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta. Condanna la ricorrente principale e la ricorrente incidentale al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 4.200,00 ciascuna, di cui Euro 200,00 ciascuna per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020
Codice Civile > Articolo 1667 - Difformita' e vizi dell'opera | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1668 - Contenuto della garanzia per difetti dell'opera | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1669 - Rovina e difetti di cose immobili | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 3 - (Omissis) | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 4 - (Omissis) | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 132 - Contenuto della sentenza | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 394 - Procedimento in sede di rinvio | Codice Procedura Civile