Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.456 del 14/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26696-2018 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, via LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente ­

contro

V.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato PIER LUIGI PANICI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARGHERITA GIANNICO, GIOVANNI GIOVANNELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1620/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 21/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 09/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA PONTERIO.

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 1620 pubblicata il 21.9.2017, la Corte d’appello di Milano, pronunciando in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 25677 del 2015), ha confermato la pronuncia di primo grado ed accertato l’illegittimità del termine apposto al contratto concluso tra V.E. e Poste Italiane s.p.a. il 6.7.2006; ha dichiarato sussistente un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dall’11.7.06 e condannato la società a riammettere in servizio la lavoratrice e a corrisponderle l’indennità, ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, nella misura di sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi e rivalutazione;

2. la Corte territoriale, per quanto ancora rileva, richiamato il principio di diritto enunciato nel giudizio rescindente (“nel caso in cui il lavoratore agisca in giudizio deducendo l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato per illegittimità del termine apposto al contratto, è sufficiente che alleghi, a fondamento della pretesa, il contratto intercorso tra le parti e l’invalidità del termine, mentre spetta al datore di lavoro convenuto, al fine di contrastare la pretesa medesima, l’allegazione e la dimostrazione del rispetto delle condizioni – specificamente del rispetto dei limiti percentuali di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, – che giustificano la legittimità del termine”) e dato atto della contumacia di Poste Italiane s.p.a. in primo grado, ha dichiarato inammissibili i documenti allegati dalla società in grado di appello e nel giudizio di rinvio ed ha ritenuto non assolto l’onere datoriale di allegazione e prova dei requisiti di legittimità del contratto a termine (nel caso di specie, il rispetto dei limiti percentuali di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis);

3. la Corte di merito ha inoltre e comunque valutato i documenti prodotti da Poste nel giudizio di rinvio e concluso che gli stessi, in quanto prospetti redatti dal dirigente dell’ufficio postale, non integrassero una prova sufficiente ed adeguata del rispetto dei limiti percentuali, non avendo la società articolato prova testimoniale confermativa dei dati risultanti dai prospetti medesimi;

4. avverso tale pronuncia Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso V.E.;

5. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

6. entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

CONSIDERATO

che:

7. con il primo motivo di ricorso Poste Italiane s.p.a. ha dedotto violazione degli artt. 392 e 394 c.p.c., (art. 360 c.p.c., n. 3), e violazione dell’art. 421 c.p.c.;

8. ha censurato la sentenza emessa in sede di rinvio per aver omesso un nuovo esame della questione come demandato dalla pronuncia rescindente e per avere erroneamente tenuto ferma la statuizione di tardività della produzione documentale eseguita da Poste nel primo giudizio di appello; ha criticato la decisione impugnata per omesso esercizio dei poteri istruttori di cui agli artt. 421 e 437 c.p.c.;

9. con il secondo motivo di ricorso Poste Italiane s.p.a. ha censurato la sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e art. 2967 c.c., (art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte d’appello omesso di valutare, secondo prudente apprezzamento, i prospetti sopra indicati (debitamente riprodotti nel ricorso) ed inoltre per avere, nel ritenere indispensabile la conferma testimoniale dei prospetti medesimi, posto a carico di parte datoriale un onere probatorio ulteriore e non necessario; ha criticato la valutazione di insufficienza ai fini probatori della citata documentazione, come eseguita dal giudice di rinvio, richiamando l’ordinanza Cass. n. 12801 del 2018;

10. si esamina in via prioritaria il secondo motivo di ricorso, logicamente assorbente;

11. tale motivo è manifestamente infondato atteso che la Corte di merito ha comunque esaminato i documenti prodotti da Poste Italiane s.p.a. nel giudizio di rinvio e li ha valutati inidonei all’assolvimento dell’onere di prova sul rispetto del limite percentuale di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis;

12. non ricorre la violazione degli artt. 115,116 c.p.c., e art. 2697 c.c., che, come più volte precisato da questa Corte (cfr. Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), può porsi solo ove si alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova invece soggetti a valutazione; oppure abbia invertito gli oneri probatori;

13. nessuna di queste situazioni è rappresentata nel motivo di ricorso in esame ove è unicamente dedotto che il giudice ha male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova; una simile censura non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, Disp. che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., S.U. n. 8053 del 2014; Cass. n. 11892 del 2016);

14. il rigetto del secondo motivo porta a ritenere assorbito il primo motivo di ricorso, formulato sul presupposto dell’omesso esame dei documenti in questione;

15. la regolazione delle spese segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;

16 sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi in favore dei difensori antistatari avv. P. Panici, G. Giovannelli, M. Giannico.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020

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