Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.457 del 14/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27156-2018 proposto da:

C.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 123, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO SPINOSA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

Contro

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO FESSI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO GIAMMARIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 559/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 09/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA PONTERIO.

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 559 pubblicata il 12.3.2018, la Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello di C.P. e D.B.F. confermando la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda volta alla declaratoria di nullità dei contratti di somministrazione a termine conclusi il 6.10.09 e il 9.2.2010, al riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatrice Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. e al pagamento dell’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32;

2. la Corte territoriale ha ritenuto che i contratti di somministrazione a termine fossero legittimi dal punto di vista formale, in quanto recanti ciascuno l’indicazione di una causale specifica, il numero dei lavoratori somministrati, le mansioni affidate ai medesimi e la durata della somministrazione; ha accertato che le lavoratrici avessero svolto mansioni e attività coerenti con le ragioni della somministrazione;

3. avverso tale sentenza C.P. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a.;

4. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

5. la ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

CONSIDERATO

che:

6. con l’unico motivo di ricorso C.P. ha dedotto falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20-27 e dell’art. 116 c.p.c.;

7. ha sostenuto come le causali indicate nei contratti di somministrazione (“ragioni di carattere organizzativo derivanti da un intensificarsi delle attività di servizio correlate all’accordo ABI per la moratoria PMI” e “ragioni di carattere organizzativo derivanti da un intensificarsi delle attività di servizio della filiera PAC correlate al progetto di polarizzazione delle attività relative alle lavorazioni Assegni in CAI”) non contenessero idonea specificazione della temporaneità delle ragioni di carattere organizzativo e fossero generiche; ha rilevato come le prove raccolte non comprovassero l’assegnazione della lavoratrice ricorrente alle mansioni di cui alle causali indicate nei contratti medesimi;

8. il motivo è infondato;

9. questa Corte di legittimità (cfr. Cass. n. 2279 del 2010; Cass. n. 10033 del 2010; n. 15002 del 2012; n. 208 del 2015; n. 20201 del 2017; n. 20113 del 2017; n. 840 del 2019) ha affermato il seguente principio di diritto che in questa sede deve essere ribadito: l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e l’utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa. Spetta al giudice di merito accertare – con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità – la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dare riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto (cfr. Cass. n. 20604 del 2012). In sostanza, sulla base di tale principio, la temporaneità va riferita alla necessità che dalla clausola giustificatrice dell’apposizione del termine risulti la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare;

10. riguardo alla specificità della ragione giustificatrice dell’apposizione del termine si è precisato che essa sussiste quando gli elementi indicati nel contratto di lavoro consentono di identificare e di rendere verificabile l’esigenza aziendale che legittima la previsione della clausola accessoria, senza imporre al datore di lavoro l’onere di formalizzare la temporaneità dell’esigenza posta a giustificazione dell’assunzione (Cass. n. 208 del 2015) e spettando al giudice di valutare ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dare riscontro alle ragioni specificamente indicate nel contratto ai fini dell’assunzione a termine; pertanto il riferimento ad una intensificazione dell’attività, accompagnato da altri dati di conoscenza, come l’indicazione delle mansioni rilevanti, dell’ambito territoriale e del periodo temporale in considerazione, consentono la individuazione della ragione organizzativa ed il susseguente controllo della sua effettività e della inerenza alla assunzione;

11. tale principio è stato già enunciato da qtiesta Corte in riferimento a clausole di analogo tenore contenute nei contratti di somministrazione a termine, come “picchi di produzione” (Cass. n. 15076 del 2016) e “punte di intensa attività” (così Cass. n. 2521 del 2012; Cass. n. 8120 del 2013; Cass. n. 21001 del 2014) ed è applicabile anche per il contratto di lavoro subordinato a termine (da ultimo Cass. n. 5379 del 2018); è stato infatti chiarito che il giudice del merito nella verifica di specificità, oggetto del suo apprezzamento, può utilizzare tutti i dati risultanti dal contratto, dovendo anche valutare se il riferimento ad “una intensificazione della attività” accompagnato da altri dati di conoscenza “consent(a) la individuazione della ragione organizzativa ed il susseguente controllo della sua effettività e del rapporto di causalità con la assunzione” (cfr. in motivazione: Cass. nn. 6944 e 24842 del 2018);

12. la Corte di merito si è conformata ai principi richiamati ed ha ritenuto specifica la causale indicata nei due contratti in esame, legata ad una intensificazione delle attività ivi descritte, sottolineando come i contratti recassero, inoltre, puntuale riferimento alle mansioni affidate alla lavoratrice, alla durata della prestazione e al numero dei lavoratori necessario a far fronte all’esigenza organizzativa; deve quindi escludersi la dedotta violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20 – 27;

13. parimenti infondata è la residua censura concernente la mancata prova di assegnazione della lavoratrice alle mansioni di cui alle causali indicate nei contratti;

14. la Corte d’appello ha ritenuto dimostrate sia le ragioni organizzative per la somministrazione a tempo determinato e sia la coerenza dell’attività svolta dalla attuale ricorrente alle ragioni medesime;

15. entrambi tali profili, in relazione alla concreta vicenda storica, afferiscono ad una tipica quaestio facti il cui accertamento appartiene in via esclusiva al giudice di merito e non può essere rivalutato in sede di legittimità (Cass. n. 6933 del 2012; Cass. n. 21001 del 2014; Cass. n. 21916 del 2015; Cass. n. 23513 del 2017);

16. nel motivo in esame, invece, solo formalmente si denuncia un error in iudicando, anche attraverso l’improprio riferimento all’art. 116 c.p.c. (cfr. Cass. n. 23940 del 2017; n. 25192 del 2016, con la giurisprudenza ivi richiamata), mentre nella sostanza si critica la sentenza impugnata per aver ritenuto dimostrata la ricorrenza in fatto dei presupposti giustificativi indicati nei contratti e la coerenza del lavoro svolto alle causali ivi esposte, ma tale accertamento di fatto non è sindacabile in sede di legittimità se non nei rigorosi limiti imposti dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella spese non ricorrenti e neanche dedotti;

17. per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto;

18. la regolazione delle spese segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;

19. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020

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