LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20112-2018 proposto da:
SITA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 283, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CALA’, rappresentata e difesa dall’avvocato ROMUALDO PECORELLA;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA VITA SCIPLINO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2481/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 10/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 09/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA MARCHESE.
RILEVATO
che:
con sentenza n. 2481 del 2017, la Corte di appello di Bari respingeva il gravame proposto dalla SITA – società in liquidazione – avverso la sentenza del Tribunale di Foggia (del 30.5.2016);
per quanto qui solo rileva, la Corte di appello, in relazione alla questione controversa tra le parti e relativa all’obbligo di contribuzione in relazione ai buoni pasti corrisposti dalla società, osservava come il beneficio, istituito sulla base dell’accordo collettivo del 5.7.2001, fosse finalizzato a compensare la “riduzione dei 30 minuti di percorrenza funzionale”; si trattava, dunque, di una erogazione di natura retributiva, non corrispondente alle esigenze alimentari dei lavoratori, che concorreva a formare reddito imponibile ai fini contributivi;
ha proposto ricorso per cassazione la SITA, fondato su due motivi;
ha resistito, con controricorso, l’INPS;
è stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e dell’art. 115 c.p.c.; si imputa alla Corte di appello di aver erroneamente interpretato l’accordo del 5.7.2001 nonchè di aver errato nella valutazione degli elementi istruttori;
con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione dell’art. 2697 c.c.; la parte ricorrente assume che la Corte di appello avrebbe ritenuto assorbito il secondo motivo di gravame nonostante l’INPS non avesse provato la sussistenza dell’obbligazione contributiva;
i motivi, strettamente connessi, vanno congiuntamente esaminati;
essi, complessivamente, investono l’accertamento della natura retributiva del beneficio economico erogato ai lavoratori, per effetto dell’accordo collettivo del 5.7.2001, con la voce “buoni pasto”;
a tale riguardo, la deduzione di violazione dell’art. 1362 c.c. difetta di specificità, non risultando trascritto, neppure nelle parti salienti, il testo dell’accordo istitutivo del compenso, sicchè è impedita al Collegio ogni valutazione di fondatezza dei mossi rilievi (in argomento, ex plurimis, v. Cass. n. 19048 del 2016);
la censura di violazione dell’art. 115 c.p.c. è inconferente; parte ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione della norma processuale dipenda o sia ad ogni modo dimostrata dall’erronea valutazione del materiale istruttorio; insegna questa Corte, invece, che una questione di malgoverno dell’art. 115 c.p.c. è configurabile solo se il giudice utilizzi prove non acquisite in atti (ex plurimis, Cass. n. 1229 del 2019); evenienza estranea ai motivi in esame;
neppure viene in rilievo una questione di violazione dell’art. 2697 c.c., nei termini in cui essa è prospettata con il secondo mezzo di impugnazione;
la Corte di appello ha arrestato la sua indagine all’accordo sindacale del 5.7.2001; sulla base dello stesso, ha accertato che il beneficio erogato (al di là – evidentemente – della terminologia utilizzata) avesse natura retributiva, non collegata alle esigenze alimentari dei lavoratori, e che, pertanto, costituisse imponibile contributivo; coerentemente, ha giudicato superflua ogni ulteriore attività istruttoria;
in base alle svolte argomentazioni il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, con le spese liquidate, secondo soccombenza, in favore dell’INPS.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 9 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020