LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11469-2019 proposto da:
M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DE DONATO, 10, presso lo studio dell’avvocato LUIGI COMITO, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA PARILLO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO ECONOMIA FINANZE, *****;
– intimato –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato il 08/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 01/10/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
M.R. propone ricorso articolato in quattro motivi (1: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, come novellato dal D.Lgs. n. 104 del 2010; 2: omessa valutazione di un fatto decisivo; 3: violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5 e dell’art. 738 c.p.c.; 4: illegittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2) avverso il decreto n. 2925/2018 reso l’8 novembre 2018 dalla Corte d’Appello di Perugia.
L’intimato Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto attività difensive.
Il decreto impugnato ha dichiarato improponibile la domanda di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 formulata in data 24 novembre 2011 da M.R. in relazione alla durata non ragionevole di un giudizio amministrativo instaurato davanti al TAR Lazio nel novembre 2002 e definito con sentenza del 28 gennaio 2011. Trattandosi di giudizio di equa riparazione introdotto dopo il 16 settembre 2010 con riferimento a giudizio amministrativo ancora pendente alla medesima data, e non risultando depositata l’istanza di prelievo, la Corte d’Appello di Perugia è pervenuta all’impugnata statuizione di improponibilità alla stregua del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, conv. con modif. dalla L. n. 133 del 2008, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, allegato 4, art. 3, comma 23.
Assume il ricorrente nelle sue censure che nel proprio fascicolo di parte era stata depositata l’istanza di fissazione udienza del 6 novembre 2002, nonchè la domanda di prelievo dell’11 novembre 2009.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente fondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.
Le quattro censure vanno esaminate congiuntamente in quanto connesse ed il ricorso va accolto nei sensi di seguito precisati. Dopo la pubblicazione dell’impugnato decreto, è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 34 del 6 marzo 2019, che ha dichiarato incostituzionale il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 e successive modifiche, norma nella specie rilevante, non essendo applicabile a questo procedimento la previsione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, come introdotto dalla L. n. 208 del 2015 (atteso il regime transitorio dettato dalla stessa L. n. 89 del 2001, art. 6, comma 2 bis, in quanto il processo presupposto alla data del 31 ottobre 2016 aveva già superato i termini di durata ragionevole).
La Corte Costituzionale ha richiamato la costante giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma ciò solo se “effettivi”, e, cioè, nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente (così, in particolare, Corte Europea dei diritti dell’uomo, grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino contro Italia). Corte Cost. n. 34 del 2019 ha poi ricordato come già con la sentenza del 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, la medesima Corte EDU, pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo antecedente alla modifica di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010, che avesse avuto come effetto quello di opporsi all’ammissibilità dei ricorsi ex lege n. 89 del 2001, relativi alla durata dei processi amministrativi, per il solo fatto della mancata presentazione di un’istanza di prelievo, avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente.
La Corte Costituzionale ha altresì rammentato che, con la sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, la Corte EDU aveva affrontato il problema dell’effettività del rimedio nazionale ex lege n. 89 del 2001, soggetto alla condizione di proponibilità ai sensi del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2; concludendo che la procedura nazionale, per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, non potesse essere considerata un rimedio effettivo ai sensi dell’art. 13 della CEDU, visto che l’ordinamento statale non prevede alcuna condizione volta a garantire l’esame dell’istanza di prelievo.
Corte Cost. n. 34 del 2019 ha perciò ritenuto che il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito in L. n. 133 del 2008, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010 e dal D.Lgs.n. 195 del 2011, si ponesse in contrasto con la “costante giurisprudenza della Corte EDU”, atteso che l’istanza di prelievo, cui fa riferimento il cit. art. 54, comma 2 (prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla L. n. 208 del 2015), non costituisce un adempimento necessario, ma una mera facoltà del ricorrente (ex art. 71, comma 2, del codice del processo amministrativo, la parte “può” segnalare al giudice l’urgenza del ricorso), con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la non proporzionata sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia nè con l’obiettivo del contenimento della durata del processo, nè con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata.
In definitiva, essendo stato dichiarato incostituzionale il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, che subordinava la proponibilità della domanda di equa riparazione alla presentazione dell’istanza di prelievo, ed essendo stata formulata dal ricorrente censura per violazione di tale norma di diritto, occorre rimettere la causa per nuovo esame alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione. Il giudice di rinvio, ove accerti la mancata presentazione dell’istanza di prelievo, come affermato da Corte Cost. n. 34 del 2019, potrà dare rilievo a tale elemento ai fini della quantificazione dell’indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma non più ritenere ad essa condizionata la stessa proponibilità della correlativa domanda.
Conseguono l’accoglimento del ricorso e la cassazione del decreto impugnato, con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia, che, in diversa composizione, provvederà altresì a liquidare le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato nei limiti delle censure accolte e rinvia alla Corte d’Appello di Perugia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 1 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020