Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.4747 del 24/02/2020

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In tema di associazioni non riconosciute, la responsabilità personale e solidale delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, prevista dall’art. 38 c.c. in aggiunta a quella del fondo comune, è volta a contemperare l’assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell’ente con le esigenze di tutela dei creditori, e trascende pertanto la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell’ambito della compagine sociale, ricollegandosi ad una concreta ingerenza dell’attività dell’ente.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16882-2017 proposto da:

A.C. CASTAGNOLE A.S.D., in persona del legale rappresentante B.G., nonchè in proprio, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI VILLA SACCHETTI 9, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARINI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato RICCARDO ARTICO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 51/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del VENETO, depositata il 09/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROSARIA MARIA CASTORINA.

RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 – bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue;

Con sentenza n. 51/7/2017, depositata il 9.1.2017 non notificata, la CTR del Veneto rigettava l’appello proposto da A.C. Castagnole A.S.D. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della CTP di Treviso su controversia avente ad oggetto avvisi di accertamento notificati all’Associazione sportiva in persona del legale rappresentante pro-tempore B.G., nonchè a quest’ultimo, anche in proprio, quale asserito autore della violazione.

L’Ufficio, sulla base di processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, disconoscendo la natura di associazione sportiva dilettantistica aveva equiparato la contribuente a società di fatto commerciale, recuperando le imposte dovute per IRES ed IRAP per gli anni 2009 e 2010.

Con ordinanza del 25.2.2019 la causa veniva rinviata a nuovo ruolo ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 10, e trattata a seguito di istanza formulata da parte ricorrente che ha ritenuto di non aderire alla definizione delle liti fiscali pendenti.

Avverso la sentenza della CTR la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.

1. Con il primo e il quarto motivo A.C. Castagnole deduce nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. per omessa pronuncia sulle eccezioni sollevate e sulla debenza di interessi e sanzioni. 2.Le censure che possono essere esaminate congiuntamente in quanto connesse sono infondate.

Per giurisprudenza costante di questa Corte, infatti, il vizio di omessa pronuncia è escluso quando la sentenza abbia assunto una decisione che comporti l’implicito rigetto della domanda od eccezione formulata dalla parte (cfr., tra le molte, Cass. 11 settembre 2015 n. 17956; Cass. 4 ottobre 2011 n. 20311), Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica, in particolare, quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione (Cass. n. 20311/2011).

Le censure motivazionali non conferiscono al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda, bensì la sola facoltà di controllare – sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale – le argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui “spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (ex multis, Cass. n. 742/2015).

Di conseguenza, il preteso vizio di motivazione “può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione” (ex multis, Cass. n. 8718/2005). Inoltre, l’omissione o insufficienza della motivazione resta integrata solo a fronte di una totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero di una palese illogicità del tessuto argomentativo, ma non anche per eventuali divergenze valutative sul significato attribuito dal giudice agli elementi delibati, non essendo il giudizio per cassazione un terzo grado di merito (Cass. S.U. n. 24148/2013; Cass. n. 12779/2015 e n. 12799/2014).

In particolare la CTR ha osservato che l’attività di verifica effettuata dall’Agenzia delle Entrate era stata svolta nel rispetto della normativa in vigore; gli avvisi di accertamento erano ampiamente motivati e i contribuenti erano stati posti a conoscenza di tutti gli elementi su cui si basavano anche in considerazione del fatto che il relativo pvc era stato notificato a mani del legale rappresentante dell’associazione; le irregolarità rilevate dall’Ufficio non potevano essere qualificate come formali in quanto dalla verifica era stata posta in evidenza l’assoluta inattendibilità della gestione sociale ed economica della Associazione; le disposizioni tributarie di cui alla L. n. 398 del 1991 hanno natura di “agevolazioni” il cui godimento è subordinato a precisi adempimenti; gli interessi e le sanzioni erano stati correttamente applicati.

3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 398 del 1991, art. 2, e dell’art. 2697 c.c. evidenziando che per potere usufruire delle disposizioni tributarie di cui alla L. n. 398 del 1991, art. 2, l’unico presupposto previsto per legge sia quello di essere una Associazione Sportiva dilettantistica certificata dal CONI.

3.1. La censura è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c. in quanto il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa.

La sentenza impugnata ha fatto, infatti, corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte in base alla quale: a) “In tema di agevolazioni tributarie, l’esenzione d’imposta prevista dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 148, in favore delle associazioni non lucrative dipende non dall’elemento formale della veste giuridica assunta (nella specie, associazione sportiva dilettantistica), ma anche dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sulla contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato, del tutto estrinseco e neutrale, dell’affiliazione al CONI” (cfr. Cass. sez. 5 10393/12; Cass. sez. 5, 5 agosto 2016, n. 16449); b) le suddette agevolazioni tributarie di cui all’art. 148 T.U.I.R. in favore di enti di tipo associativo commerciale, come le associazioni sportive dilettantistiche senza scopo di lucro, “si applicano solo a condizione che le associazioni interessate si conformino alle clausole riguardanti la vita associativa, da inserire nell’atto costitutivo o nello statuto” (cfr. Cass.. sez. 5, 11 marzo 2015, n. 4872).

4. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 38 e 2697 c.c. per non essere stato provato che il B. avesse “agito in nome e per conto dell’associazione”.

La censura non è fondata.

“In tema di associazioni non riconosciute, la responsabilità personale e solidale delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, prevista dall’art. 38 c.c. in aggiunta a quella del fondo comune, è volta a contemperare l’assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell’ente con le esigenze di tutela dei creditori, e trascende pertanto la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell’ambito della compagine sociale, ricollegandosi ad una concreta ingerenza dell’attività dell’ente: ciò non esclude, peraltro, che per i debiti d’imposta, i quali non sorgono su base negoziale, ma “ex lege” al verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato, fermo restando che il richiamo all’effettività dell’ingerenza vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni sorte nel periodo di relativa investitura” (Sez. 5, Sentenza n. 5746 del 12/03/2007, conformi Sez. 6-5, Ordinanza n. 12473 del 17/06/2015, Sez. 5, Sentenza n. 19486 del 10/09/2009; Cass.2169/2018)

Il ricorso deve essere, conseguentemente, rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna A.C. Castagnole A.S.D. e B.G. al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 7.800,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2020

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