Sentenza, spese di giudizio, capo autonomo della decisione, impugnazione incidentale tardiva, inammissibilità

Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.4845 del 24/02/2020

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La statuizione della sentenza che provvede sulle spese di giudizio costituisce un capo autonomo della decisione e, conseguentemente, l’impugnazione avverso di essa deve essere proposta in via autonoma e non per mezzo di impugnazione incidentale tardiva, che è, per tale ragione, inammissibile.

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Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n. 4845 del 24/02/2020


(Dott. DE MASI Oronzo – Presidente; Dott. D’OVIDIO Paola – rel. Consigliere)

 

FATTI DI CAUSA

1. Con atto notificato in data 19/9/2011, il Condominio di *****, in Roma, citava Roma Capitale dinanzi al Giudice di Pace di Roma per sentir dichiarare illegittima, nulla, o comunque priva di effetto, una cartella emessa per il mancato pagamento del canone di occupazione permanente di spazio ed aree pubbliche comunali (COSAP), relativa all’anno 2007, in riferimento all’occupazione di suolo pubblico con griglie ed intercapedini riferibili al condominio.

Il Condominio attore deduceva, da un lato, l’assenza di una specifica concessione che legittimasse la corresponsione del canone in questione, e, dall’altro, l’intassabilità delle griglie ed intercapedini in oggetto, in quanto realizzate in sede di costruzione del fabbricato e, dunque, sottoposto all’originaria concessione edilizia rilasciata per la costruzione del manufatto.

Roma Capitale si costituiva eccependo preliminarmente l’incompetenza per materia del Giudice di Pace adito e contestando nel merito le avverse deduzioni.

2. Il Giudice di Pace di Roma, con sentenza n. 24547/2012, rigettava l’eccezione di incompetenza sollevata da Roma Capitale ed accoglieva la domanda proposta dal Condominio, compensando tra le parti le spese di lite.

3. Avverso tale sentenza proponeva appello Roma Capitale.

Resisteva la società appellata eccependo in via preliminare l’inammissibilità dell’appello per tardività; nel merito, riproponendo le medesime eccezioni già formulate in primo grado, concludeva per il rigetto dell’appello.

4. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 3163/2014, emessa ex art. 281 sexies c.p.c. all’udienza del 10/2/2014 e notificata il 25/3/201- rigettava l’appello e condannava Roma Capitale e rifondere al Condominio appellato le spese del grado.

5. Avvero tale sentenza Roma Capitale ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Il Condominio di *****, Roma, resiste con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONE DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale si prospetta la “violazione delle norme sulla competenza del giudice di pace ex art. 7 c.p.c., come modificato dalla L. 24 novembre 1991 n. 374, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2”.

1.1. Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata ha disatteso l’eccezione di incompetenza per valore e per materia del giudice di pace adito, sollevato da Roma Capitale, osservando che “oggetto del presente giudizio è una pretesa di natura patrimoniale, quale il pagamento di un canone di concessione per l’occupazione di suolo pubblico da parte di griglie ed intercapedini di proprietà condominiale. Peraltro, dal tenore dell’atto introduttivo di primo grado emerge che il condominio contesta la debenza delle somme richieste dal Comune, eccependo la mancanza di un pregresso atto di concessione, mentre non risulta sussistente una controversia in ordine alla natura (demaniale o privata) della strada su cui insistono le griglie e le intercapedini”.

Tale motivazione è conforme ai principi enunciati nel 2011 dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. SU, 19/10/2011, n. 21582, Rv. 619008 – 01), le quali hanno superato il diverso orientamento espresso dalla giurisprudenza fino ad allora dominante, a mente del quale si riteneva esclusa rationae materia la competenza del giudice di pace in tutte le controversie immobiliari, cioè per tutte le cause afferenti a diritti tanto reali quanto personali relativi a beni immobili, rinvenendo tali pretese la loro fonte in un rapporto, giuridico o di fatto, riguardante un bene immobile (Cass. sez. 1, 07/02/2008 n. 2945, Rv. 601845 – 01).

Le Sezioni Unite del 2011, infatti, hanno sottoposto a revisione critica il precedente orientamento e, enunciando il principio di diritto ai sensi dell’art. 363 c.p.c., hanno ritenuto sussistente la competenza del giudice di pace (nei limiti della sua competenza Per valore) anche in ordine alle controversie aventi ad oggetto pretese che abbiano la loro fonte in un rapporto, giuridico o di fatto, riguardante un bene immobile, salvo che la questione proprietaria non sia stata oggetto di una esplicita richiesta di accertamento incidentale di una delle parti e sempre che tale richiesta non appaia, ictu ocufi, alla luce delle evidenze probatorie, infondata e strumentale – siccome formulata in violazione dei principi di lealtap processulae – allo spostamento di competenza dal giudice di prossimità al giudice togato (da ultimo, nello stesso senso, v. Cass. sez. 6-2, 11/07/2018, n. 18201, Rv. 649655 – 01).

Il Condominio ricorrente, invero, non pone in discussione tale principio, ma afferma che nella controversia in esame vi sarebbe stata una richiesta di accertamento incidentale sulla natura pubblica o privata, ovvero aperta al pubblico transito, dell’area sulla quale insistono le griglie ed intercapedine di cui si discorre.

Tuttavia, tale affermazione si pone in netto contrasto con quanto affermato nella sentenza impugnata (che espressamente esclude che nel giudizio sia sorta una controversia sul punto), la quale dunque, anche con riferimento a tale profilo, ha correttamente applicato il principio di diritto sopra riportato.

Nè sono stati dedotti in questa sede eventuali errori commessi dal Tribunale nel giudicare il fatto processuale presupposto (ossia l’irrilevanza fi un accertamento incidentale sulla proprietà del suolo alla luce dell’assenza di controversia sul punto), i quali peraltro avrebbero dovuto essere censurati sotto il profilo del vizio di motivazione, nei limiti consentiti dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n, 5, in quanto attinenti all’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza delle domande, e dunque tali da involgere un tipico accertamento in fatto, insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata (Cass., sez. 6-5, 21/12/2017, n. 30684, Rv. 651523 – 01; Cass., sez. 3, 18/5/2012, n. 7932, Rv. 622562 -01; Cass., sez. 1, 7/7/2006, n. 15603, Rv. 592485 – 01).

Il motivo in esame risulta dunque infondato sotto il profilo della dedotta violazione delle norme sulla competenza ed inammissibile ove inteso a censurare anche l’erronea interpretazione, da parte del giudice di merito, delle domande formulate dalle parti.

Peraltro, per mera completezza giova aggiungere che quest’ultimo profilo appare anche infondato.

Infatti, pur avendo il ricorrente dedotto nell’illustrazione del motivo di aver “ampiamente argomentato nei precedenti gradi di giudizio” (in particolare nelle note autorizzate depositate dinanzi al giudice di pace e nell’atto di appello: v. p. 23 del ricorso), sulla natura dell’area in questione, e pur avendo riportato nella parte del ricorso dedicato all’esposizione in fatto le difese svolte nell’atto di appello (nella quali si sosteneva la necessità di accertare in via incidentale, con efficacia di giudicato, se l’area in questione avesse natura privata, pubblica ovvero aperta al pubblico transito), correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto irrilevante, nel presente giudizio, accertare la natura dell’area, atteso che, da un lato, nessuna esplicita e tempestiva richiesta di accertamento incidentale risulta essere stata formulata in primo grado e, dall’altro, neppure risultano mai sollevate contestazioni sul punto da parte del Condominio attore, il quale aveva fondato la sua impugnazione della cartella di pagamento COSAP sull’assenza di concessione, indipendentemente dalla proprietà e desitinazione dell’area in discorso come evidenziato in sentenza e come desumibile anche da quanto riferito nel ricorso proposto dalla stessa Roma Capitale (v. p. 2 del ricorso dove si legge che nelle proprie difese in primo grado il Condominio aveva sostenuto “l’intassabilità delle griglie ed intercapedine in oggetto, in quanto realizzato in sede di costruzione del fabbricato e, per questa ragione” sottoposte all’originaria concessione edilizia rilasciata per la costruzione del manufatto, a nulla rilevando la successiva acquisizione al patrimonio indisponibile del Comune di Roma delle strade su cui insistono le suddette griglie ed intercapedine”).

2. Con il secondo motivo si lamenta la “violazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63 in combinato disposto con l’art. 16 del Regolamento del Comune di Roma istitutivo del canone per l’occupazione degli spazi e delle aree, pubbliche comunali (COSAP) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Ad avviso di Roma Capitale, il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto decisiva l’assenza del titolo idoneo ad autorizzare l’occupazione del suolo pubblico, poichè -anche alla luce di alcune pronunce di questa Corte- il C.O.S.A.P. sarebbe dovuto non soltanto quando esiste un titolo valido per l’occupazione, ma anche in assenza di esso, qualora in concreto l’area pubblica sia stata in tutto o in parte sottratta, anche in via di fatto, alla sua destinazione naturale a servizio della pubblica viabilità.

3. Preliminare all’esame del secondo motivo è la delibazione dell’eccezione di giudicato sollevata dal Condominio controricorrente.

In particolare, quest’ultimo ha depositato, in uno alla memoria ex art. 378 c.p.c., copia della sentenza del Tribunale di Roma 24829/2013, resa in data 11/12/2013 in altro giudizio tra le stesse parti, avente ad oggetto una annualità diversa. di C.O.S.A.P. (2003) per le medesime griglie oggetto della presente causa, munita del timbro attestante la mancata proposizione di appello apposto in data 11.11.2015. In base a tale pronuncia (e ad altre analoghe relative a diverse annualità, già invocate in controricorso, ma non munite di attestazione del passaggio in giudicato), il Condominio ha sollevato eccezione esterno relazione all’accertamento di non debenza del canone per l’occupazione del suolo.

La sentenza appena richiamata, a fronte delle identiche questioni di cui si discorre in qusta sede, ancorchè riferite a altra annualità (2003), ha affermato che, alla luce del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, non risultando essere stata rilasciata alcuna concessione in relazione all’occupazione in esame, nel caso concreto “il Comune non può pretendere somme a titolo di canone di concessione”.

Sul punto, va data continuità al principio secondo cui “qualora due “giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo”(Cass. Sez.U, 16/06/2006, n. 13916, Rv.589696).

Detto principio è stato dalle Sezioni Unite ritenuto da lato espressamente applicabile anche ai rapporti di durata, e dall’altro lato coerente con il concorrente principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, valido in materia tributaria, sul presupposto che l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (quali, ad esempio, la capacità contributiva o le spese deducibili) e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodo d’imposta (ad esempio, la questione giuridiche tese all’applicazione di una specifica disciplina), hanno carattere tendenzialmente permanente.

Il criterio, ribadito -sempre materia tributaria- da Cass. Sez. 20/06/2007, n. 14294, Rv.598054 (cui hanno dato continuità Cass. Sez. 5, 30/10/2013, n. 24433, Rv. 628862 – 01; Cass. Sez. 6-5, 26/09/2016, n. 18875, Rv. 641480 – 01; Cass. Sez. 6-2, 14/05/7018, n. 11600, Rv. 6485.31 01; Cass. Sez. 96/10/9018, n. – 27304, Rv. 651467 – 01; Cass. Sez. 5, 3/01/2019, n. 37, Rv. 652153 – 01), può trovare piena applicazione anche nella fattispecie, posto che il presupposto della debenza del C.O.S.A.P. consiste in ultima analisi in un accertamento di fatto, concernente le caratteristiche della griglia o intercapedine ed il suo originario inglobamento nel fabbricato privato, da un lato, e l’esistenza o meno di un titolo autorizzativo, dall’altro lato; accertamento che, è suscettibile di rimanere stabile nel tempo, ove non intervengono e non siano adeguatamente dedotti eventi atti a modificare il contesto fattuale o autorizzativo. Considerato che in relazione all’anno solare 2003, come sopra rilevato, la decisione del Tribunale di Roma n. 24829/2013, passata in giudicato, ha definitivamente accertato ” l’insussistenza del potere dell’ente impositore appellante di procedere alla riscossione del credito vantato in base alla cartella esattoriale oppostd’, non risultando essere stata rilasciata alcuna concessione in relazione all’occupazione in esame come invece richiesto dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, in mancanza di elementi di novità attinenti all’anno 2007 oggetto del presente giudizio (assenza originaria del presupposto impositivo, trattandosi di manufatti pacificamente realizzati senza una concessione all’uso particolare di un bene pubblico). e tenuto conto del principio tendenziale di stabilità, nei rapporti di durata, degli accertamenti compiuti in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione delle questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, posto dalle Sezioni Unite con le sopra richiamate sentenze n. 13916 del 16/06/2006 e n. 14294 del 20/06/2007, deve concludersi che va ravvisato, nel caso di specie, il giudicato esterno in relazione alla non debenza del C.O.S.A.P. per le griglie ed intercapedini di cui è causa, da parte del Condominio di ***** in Roma, anche per la diversa annualità (2007) di cui si discorre nel presente giudizio (per una fattispecie analoga in tema di preclusione del giudicato in relazione a diverse annualità del C.O.S.A.P., v. Cass. Sez. 2, 31/10/2019, n. 28148, non massimata).

Per effetto dell’operatività del suddetto giudicato esterno, rilevabile anche d’ufficio in questa sede, deriva il rigetto del ricorso principale, sia pure in base ad una motivazione parzialmente difforme rispetto a quella contenuta nella decisione impugnata.

4. Il Condominio controricorrente, a sua volta, ha censurato la sentenza impugnata “nella parte in cui non accoglie totalmente la domanda dell’appellato relativamente alle spese di lite così come precisata nelle conclusioni della comparsa di costituzione e risposta depositata in data 20/3/2013…”, ritenendola ” gravemente lesiva dei diritti e degli interessi del Condominio odierno resistente, oltre che erronea ed ingiusta, in quanto procede in modo arbitrario e fod’ettario alla liquidazione delle stesse, riducendone l’importo senza offrire alcuna motivazione”. Ed ha pertanto concluso chiedendo la vittoria “delle integrali spese, competenze ed onorari del giudizio di primo (come da nota spese giudiziaria depositata in data 23/ 5 / 2012) e di secondo grado (come da nota spese giudiziaria depositata in data 2311 /2014)’; oltre che del presente giudizio, “con aumento di un terzo per manifestare fondatezza delle presenti difese”.

4.1. Siffatta censura (e le conseguenti conclusioni, che implicano la cassazione sul punto della statuizione della sentenza impugnata), sebbene non espressamente qualificata dal controricorrente come ricorso incidentale) alla luce del tenore della sua formulazione deve intendersi proposta a tale fine (sulla necessità della proposizione del ricorso incidentale, da parte del controricorrente vittorioso in sede di legittimità, avverso la statuizione del giudice di appello che abbia compensato le spese, v. Cass. Sez. 6-5, 11/10/2018, n. 25357, Rv. 651433 – 01), atteso che il controricorso ben può valere (anche) come ricorso incidentale qualora contenga, come nella specie, i requisiti prescritti dall’art. 371 c.p.c. in relazione ai precedenti artt. 365, 366 e 369 ed in particolare la richiesta, anche implicita, di cassazione della sentenza (cfr. Cass. Sez. U., 7/12/2016, n. 25045, Rv. 641779 – 01).

Premesso che la sentenza impugnata ha liquidato in E. 700,00, ex DM 140/2012 “le spese di lite della presente fase di giudizio”, restando pertanto confermata la situazione del primo giudice, che aveva disposto la compensazione integrale delle spese, il ricorso incidentale così proposto risulta inammissibile sotto plurimi profili.

In primo (ed assorbente) luogo, deve trovare applicazione il principio, cui il Collegio intende dare continuità, secondo il quale la statuizione della sentenza che provvede sulle spese di giudizio costituisce un capo autonomo della decisione e, conseguentemente, l’impugnazione avverso di essa deve essere proposta in via autonoma e non per mezzo di impugnazione incidentale tardiva, che è, per tale ragione, inammissibile (Cass., Sez. 2, 18/09/2006, n. 20126, Rv. 592051 – 01; Cass., Sez. 5, 12/12/2011, n. 26507, Rv. 620948 – 01); ne deriva l’inammissibilità del riucorso incidentale proposto in questa sede dal Condominio in relazione al capo della sentenza di merito che ha statuito sulle spese processuali, trattandosi di ricorso incidentale tardivo in quanto notificato con il controricorso in data 18/6/2014, allorchè erano scaduti i termini di sessanta giorni per l’impugnazione principale avverso la sentenza n. 3163, depositata il 10/2/2014 e notificata a Roma Capitale il 25/3/2014 (data dalla quale è iniziato a decorrere il termine breve di impugnazione anche per il Condominio notificante: cfr Cass., Sez. 6-3, 07/05/2015, Rv. 635337 – 01).

In secondo luogo, la censura è inammissibile per la genericità della sua formulazione, non essendo stata indicata alcuna violazione di ltwe in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, e non essendo stata invocata alcuna altra ipotesi tra quelle tassativamente tipizzate dall’art. 360 c.p.c., comma 1,.

Inoltre, con particolare riferimento alle spese di primo grado, il Condominio sembra dolersi della entità della loro liquidazione, là dove però tali spese sono state compensate dal primo giudice, sicchè il sindacato della Corte di cassazione sulla relativa pronuncia potrebbe solo accertare, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass., Sez. 6-3, 17/10/2017, n. 24502, Rv. 646335 – 01).

Quanto infine alle spese di secondo grado, liquidate ex D.M. n. 140 del 2012 (come espressamente precisato nella decisione impugnata), il ricorrente incidentale censura la sentenza del tribunale per non aver fornito alcuna adeguata motivazione delle riduzioni operate sulle singole voci, pur in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte.

Deve in proposito osservarsi che, come affermato da questa Corte, ai sensi del D.M. n. 140 del 2012, la disciplina secondo cui i parametri specifici per la determinazione del compenso sono, “di regola”, quelli di cui alla allegata tabella A (la quale contiene tre importi pari, rispettivamente, ai valori minimi, medi e massimi liquidabili, con possibilità per il giudice di diminuire o aumentare “ulteriormente” il compenso in considerazione delle circostanze concrete) va intesa nel senso che l’esercizio del potere discrezionale del giudice contenuto tra i valori minimi e massimi non è soggetto a sindacato in sede di attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice medesimo decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo necessario, in tal caso, che siano controllabili sia le ragioni Sello scostamento dalla “forcella” di tariffa, sia le ragioni che ne giustifichino la misura (Cass., Sez L, 10/05/2019, n. 12537, Rv. 653760 – 01).

Nella specie il ricorrente incidentale non ha dedotto alcuna violazione dei valori minimi portati dalla richiamata tabella, sicchè risulta irrilevante la doglianza relativa alla mancanza di motivazione, peraltro fondata su una giurisprudenza antecedente all’introduzione della liquidazione per compensi delle spese processuali.

5. Le spese del presente giudizio di legittimità possono essere compensate in ragione della reciproca soccombenza tra le parti.

6. In relazione alla responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., invocata dal Condominio, va ribadito come la proposizione di un ricorso per cassazione (che, a differenza di quello per regolamento di giurisdizione, non sospende il processo nè impedisce l’esecuzione della sentenza d’appello), anche se infondato e meramente dilatorio, non può essere produttiva del danno processuale previsto dalla indicata norma, atteso che la parte avversaria non è costretta ad attendere l’esito del giudizio d’impugnazione e può nel frattempo soddisfare le proprie pretese mettendo in esecuzione la sentenza di merito, sempre che non si verta in una di quelle particolari ipotesi nelle quali la sentenza può essere eseguita dopo il suo passaggio in cosa giudicata (Cass., Sez. 2, 05/07/1990, n. 7052, Rv. 468114 – 01; Cass, Sex. U., 05/07/2019, n. 18079, Rv. 654442 – 01).

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, mentre il ricorso incidentale è dichiarato inammissibile, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2000, art. 13, comma 1 quater, inserito della L. n. 228 del 2012, dalla art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale importo unificato pari a quello per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte:

– Rigetta il ricorso principale;

– Dichiara inammissibile il ricorso incidentale;

– Compensa tra lwe parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, dalla 5 sezione civile della Corte di cassazione, il 11 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 24 febbraio 2020

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