Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.505 del 14/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18586-2018 proposto da:

S.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 123, presso lo studio dell’avvocato LUCIANO GIANNINI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIULIA SERRAO CIRIACO;

– ricorrente –

contro

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ACHILLE PAPA 21, presso lo studio dell’avvocato CARLO BORELLO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 590/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 29/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO CIGNA.

RILEVATO

CHE:

Con atto 14-11-2007 S.V. propose opposizione al decreto con il quale gli era stato ingiunto dal Tribunale di Lamezia Terme il pagamento, in favore di M.F., della somma di Euro 16.013,04, oltre accessori, a titolo di compensi professionali relativi ad un progetto di lottizzazione ed annesso frazionamento in località “La Grazia”.

A sostegno dell’opposizione dedusse che l’obbligazione era stata estinta con l’integrale pagamento degli onorari ed eccepì la prescrizione ex art. 2956 c.c., della pretesa creditoria.

Con sentenza 933/2013 il Tribunale di Lamezia Terme accolse l’opposizione.

Con sentenza 590/2018 la Corte d’Appello di Catanzaro, in parziale accoglimento del gravame proposto dal M. ed in riforma dell’impugnata decisione, ha condannato S.V. al pagamento, in favore di M.F., della somma di Euro 16.013,04, oltre accessori e spese di lite; in particolare la Corte territoriale, dopo avere precisato che non era stato contestato che l’incarico professionale in questione era stato conferito al M. da S.I. e F. (danti causa di S.V.), ha, in primo luogo, evidenziato che in base alla documentazione agli atti doveva ritenersi accertato l’effettivo espletamento del detto incarico mentre alcuna prova sussisteva in ordine al dedotto pagamento dei relativi onorari; la Corte ha, poi, rigettato la sollevata eccezione di prescrizione (ritenuta assorbita dal primo Giudice), ritenendo non decorso il relativo termine; al riguardo ha rilevato che non era stata contestata la pattuizione (intercorsa tra S.I. e F., da una parte, ed il geometra M.F., dall’altra) in base alla quale il compenso professionale sarebbe stato pagato al momento della vendita di tutti i lotti destinati ad uso residenziale della convenzione d lottizzazione in questione, e che l’ultimo lotto era stato venduto nel luglio 2003 mentre il compenso professionale era stato richiesto con lett. racc. A.R. del 9-9-2005.

Avverso detta sentenza S.V. propone ricorso per Cassazione affidato a quattro motivi ed illustrato da successiva memoria.

Resiste con controricorso M.F..

Il relatore ha proposto la trattazione della controversia ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.; detta proposta, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata, è stata ritualmente notificata alle parti.

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo il ricorrente, denunziando -ex art. 360 c.p.c., n. 4- nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, sostiene l”irriducibile contradditorietà” dell’impugnata sentenza, per avere la stessa, da un lato, affermato che non era stato contestato il conferimento dell’incarico professionale, e, dall’altro, che detto conferimento era stato dimostrato “comunque per tabulas”; in particolare, al riguardo, sostiene l’insussistenza di alcuna prova in ordine al conferimento di incarico tra i soggetti coinvolti S.V. e M.F.).

Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando -ex art. 360 c.p.c., n. 3- violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., sostiene che la Corte territoriale abbia arbitrariamente attribuito alla documentazione depositata dal M. in sede di ricorso monitorio, carattere di “dimostrazione incontrovertibile di prova”, ritenendo in tal modo che quest’ultimo abbia assolto il suo onere probatorio.

Con il terzo motivo il ricorrente, denunziando -ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5- omessa e/o contraddittoria valutazione di un fatto decisivo risultante dagli atti di causa, sostiene che la Corte territoriale abbia accertato un fatto principale (l’eccezione di prescrizione presuntiva) o secondario (l’esistenza di un accordo scritto tra le parti ed uno specifico conferimento di incarico professionale) prescindendo dall’esame della prova da cui questi fatti emergono ed erroneamente dando rilievo alla “lettera raccomandata a.r. del 09 settembre 2005” come fonte di prova della dovutezza del pagamento e come atto idoneo ad interrompere la prescrizione.

Con il quarto motivo il ricorrente, denunziando -ex art. 360 c.p.c., n. 3- violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., sostiene che la Corte territoriale, nel momento in cui ha ritenuto che il S. non avesse mai contestato il conferimento al M. dell’incarico professionale e che quest’ultimo avesse assolto l’onere della prova sullo stesso incombente, abbia completamente travisato le risultanze processuali e violato quindi l’obbligo del giudice di valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento.

Il primo motivo è, in parte, infondato, non sussistendo all’evidenza alcuna contraddizione tra il riconoscimento dell’avvenuta non contestazione del conferimento dell’incarico e la prova “per tabulas” di siffatto conferimento, e, in parte, inammissibile, risolvendosi in una critica, non consentita in sede di legittimità, all’accertamento in fatto compiuto dalla Corte territoriale in ordine al conferimento dell’incarico.

Il secondo ed il quarto motivo, da valutare congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibili, in quanto sollecitano la rivalutazione delle risultanze istruttorie e, dunque, si risolvono, sub specie di violazione di legge, in una censura alla ricostruzione della “questio facti” al di fuori dei limiti indicati da Cass. S.U. 8053 e 8054/2014.

In ogni modo, in particolare, non sussiste la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale), che, come precisato da Cass. 11892 del 2016 e ribadito da Cass. S.U. 16598/2016, è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando (e non è il caso di specie) il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime.

Non sussiste, inoltre, neanche la violazione dell’art. 2697 c.c., che, come ribadito da Cass. S.U. 16598, si configura solo se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni”; nella fattispecie in esame, invece, la Corte territoriale, a seguito dell’ordinario procedimento di acquisizione e valutazione del materiale probatorio strumentale alla decisione (ed a prescindere se siffatto materiale sia stato acquisito sin dalla fase monitoria), ha ritenuto che il creditore (geometra M.F.) abbia raggiunta la prova (che sullo stesso incombeva) dei fatti (conferimento ed effettivo espletamento dell’incarico) dedotti a fondamento della domanda avanzata, sicchè non sussiste alcuna violazione degli ordinari criteri di ripartizione dell’onere probatorio.

Il terzo motivo è inammissibile, non essendo in linea con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che, come precisato da Cass. S.U. 8053 e 8054/2014, “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”; fatto storico (nel senso su precisato) omesso non specificamente indicato nel ricorso in esame.

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

Le spese di lite, relative al presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento d spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.500,00, oltre all spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Distrae le spese come sopra liquidate a favore del difensore del resistente.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020

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