LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
A.R., rappresentato e difeso, per procura speciale allegata al ricorso, dall’avv. Rosario Maletta (fax n. 0984.393399, p.e.c.
avvrosariomaletta.pec.giuffre.it) e elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cola di Rienzo 92, presso lo studio dell’avv. Vincenzo De Nisco (fax 06/3210798; p.e.c.
vincenzodenisco.ordineavvocatiroma.org);
– ricorrente –
nei confronti di:
N.D., elettivamente domiciliata in Roma, in via G.
Pisanelli 2 presso l’avv. Daniele Ciuti (fax 06/36003474, p.e.c.
danieleciuti.ordineavvocatiroma.orq) dal quale è rappresentata e difesa, per mandato in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto n. 349/2016 della Corte di appello di Venezia emesso in data 17.10.2016 e depositato in data 7.3.2018 R.G. n. 2053/2018;
sentita la relazione in camera di consiglio del relatore cons.
Giacinto Bisogni.
RILEVATO
CHE:
1. I coniugi A.R. e N.D. erano pervenuti nel 1999 a un accordo sulla base del quale avevano richiesto e ottenuto l’emissione di una sentenza di divorzio congiunto che prevedeva l’attribuzione alla N. di un assegno mensile di 550 Euro. Successivamente il sig. A. aveva proposto ricorso L. n. 898 del 1970, ex art. 9, chiedendo al Tribunale di Padova la revoca della assegno per sopravvenuto incremento del patrimonio e del reddito della N. conseguente alla sua successione ereditaria paterna e al beneficio derivante dall’assistenza alla madre con lei convivente. Il Tribunale di Padova ha accolto parzialmente il ricorso del sig. A.R., e ha ridotto l’assegno a 350 Euro.
2. A.R. ha proposto appello che è stato dichiarato inammissibile per tardività della notifica alla controparte. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso per cassazione proposto dal sig. A. e ha cassato con rinvio la pronuncia di inammissibilità dell’appello.
3. In seguito alla riassunzione del giudizio da parte del sig. A. la Corte di appello di Venezia ha respinto la richiesta di revoca dell’assegno ritenendo che l’assenza di redditi da lavoro, l’età della sig.ra N., la sua dedizione alla assistenza della madre giustifichino la conferma della decisione di primo grado.
4. Ricorre per cassazione A.R. proponendo tre motivi di impugnazione con i quali deduce: a) violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla L. n. 898 del 1970, art. 9, e agli artt. 2 e 23 Cost. Secondo il ricorrente si sarebbe dovuto considerare l’intervenuto cambiamento della giurisprudenza (Cass. 11504/2017) sui presupposti del riconoscimento dell’assegno divorzile; b) violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 5 e art. 111 Cost.; il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo e cioè che la N. è dipendente della madre come badante; c) violazione di legge ex art. 360, n. 3, in relazione agli artt. 88,91,92,96 c.p.c. Il ricorrente censura la decisione della Corte di appello che ha compensato le spese relative a tutti i gradi del giudizio.
5. Propone controricorso N.D. che contesta l’applicabilità della nuova giurisprudenza in materia di assegno divorzile eccependo l’esistenza di un giudicato modificabile solo quanto alle modifiche sopravvenute delle condizioni economiche. La controricorrente nega di aver mai ricevuto alcun compenso dalla madre e rileva che quest’ultima ha testimoniato in questo senso sul punto. Contesta infine la ricorrenza di violazioni di legge quanto alla statuizione di compensazione delle spese processuali.
6. Le parti depositano memorie difensive.
RITENUTO
CHE:
7. Il primo motivo di ricorso è inammissibile e comunque infondato. Esso consiste piuttosto che in una rappresentazione di una violazione di legge nella richiesta di riesame del diritto della N. a percepire un assegno divorzile perchè la stessa non avrebbe mai avuto (e in particolare non l’avrebbe ora) una condizione di non autosufficienza economica. La prospettazione di circostanze idonee a determinare il venir meno del diritto all’assegno è tuttavia limitata a quanto già valutato nel primo grado dal Tribunale di Padova che ha, in relazione a tale valutazione, ridotto l’ammontare dell’assegno divorzile. La Corte di appello ha respinto la richiesta di revocare o ridurre ulteriormente l’assegno in considerazione di una valutazione complessiva delle condizioni sopravvenute favorevoli (la successione ereditaria) e sfavorevoli (la perdita del lavoro, la necessità di assistere la madre e l’età raggiunta dalla N. che impedisce di ipotizzare una persistente capacità lavorativa). A fronte di tale motivata statuizione di merito la richiesta di un riesame delle condizioni economiche delle parti è palesemente inammissibile e non trova giustificazione neanche sotto il profilo della applicazione della giurisprudenza invocata (Cass. 11504/17) che peraltro risulta a sua volta, almeno in parte, superata dalla pronuncia n. 18287/2018 delle Sezioni Unite di questa Corte.
8. Anche il secondo motivo è inammissibile perchè la circostanza della assistenza prestata dalla N. alla madre e quella dei vantaggi economici che ne sono derivati e potrebbero derivarne è stata presa in considerazione dai giudici del merito che hanno provveduto a ridurre notevolmente l’assegno divorzile fissato nel 1999 in somma corrispondente a 516,46 Euro e nel 2013 portato a 350,00 Euro mensili. La motivazione della Corte di appello richiama tali circostanze e le valuta espressamente nel confermare il diritto della sig.ra N. a percepire l’assegno nella misura ridotta di 350 Euro mensili. L’impugnazione non risponde pertanto ai requisiti richiesti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 9. Infine il terzo motivo è infondato non sussistendo la dedotta violazione di legge perchè la Corte di appello ha confermato ed esteso la compensazione delle spese processuali in applicazione del principio della reciproca soccombenza e in relazione al complessivo esito del giudizio.
10. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio di cassazione e la presa d’atto, in dispositivo, dell’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 3.100, di cui 100 per spese, oltre spese forfettarie e accessori di legge.
Dispone che in caso di pubblicazione della presente ordinanza siano omesse le generalità e gli altri elementi identificativi delle parti.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020