Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.514 del 15/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17869-2016 proposto da:

V.L.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MAZZINI 4, presso lo studio dell’avvocato ALDO PINTO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO GUIDA;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE ASL N ***** BASSO MOLISE TERMOLI, GESTIONE LIQUIDATORIA, in persona del suo Commissario Liquidatore e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.B. MORGAGNI 2/A, presso lo studio dell’avvocato UMBERTO SEGARELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI ZINGARELLI;

– controricorrente –

e contro

ASSICURATORI DEI LLOYD’S RAPPRESENTANZA GENERALE ITALIA, AZIENDA SANITARIA LOCALE MOLISE ASREM;

– intimati –

avverso la sentenza n. 118/2016 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 24/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/07/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA MARIO che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo di ricorso p.q.r.;

udito l’Avvocato GUIDA ANTONIO;

udito l’Avvocato ZINGARELLI LUIGI.

FATTI DI CAUSA

Nel 2005, V.L.S. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Campobasso, le ASL di Larino e di Campobasso, chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in conseguenza dell’omessa diagnosi e cura di un ictus ischemico cerebrale, in occasione del ricovero prima, in data 12 maggio 2004, presso l’Ospedale di Larino, e poi, in data 14 maggio 2004, presso quello di Campobasso.

Si costituì in giudizio l’ASL n. ***** “Centro Molise”, chiedendo il rigetto della domanda e, comunque, chiamando in giudizio la compagnia di assicurazioni Lloyd’s, da cui essere garantita in caso di accertamento della responsabilità. Si costituirono poi, chiedendo il rigetto della domanda, la ASL n. ***** “Basso Molise” e la compagnia Assicuratori dei Lloyd’s – Rappresentanza Generale per l’Italia, quest’ultima spiegando intervento volontario anche per la ASL n. *****.

Il Tribunale di Campobasso, con la sentenza n. 508/2011, accolse la domanda nei confronti della ASL n. ***** “Basso Molise” e della compagnia assicuratrice, determinando la responsabilità a carico delle stesse nella percentuale del 20% e limitando il risarcimento al solo danno non patrimoniale. Respinse invece la domanda nei confronti della ASL n. ***** “Centro Molise”.

2. La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Campobasso, con la sentenza n. 118 del 24 maggio 2016 e notificata il 25 giugno 2016. La Corte d’appello ha preliminarmente rilevato il passaggio in giudicato della statuizione di primo grado nella parte in cui aveva accertato l’omessa diagnosi sia da parte dei sanitari dell’Ospedale di Larino, che da parte di quelli dell’Ospedale di Campobasso.

La Corte ha poi osservato che il CTU, nell’indicare la terapia da eseguire nei casi di ischemia cerebrale, aveva precisato che la stessa terapia deve essere effettuata nel prime tre ore, poichè diversamente, la sua efficacia nel ridurre le possibili sequele invalidanti diventa ininfluente.

Il Tribunale, quindi, recependo le valutazioni del CTU, aveva escluso l’incidenza causale nella produzione dell’aggravamento dell’invalidità dell’errore diagnostico commesso nell’ospedale di Campobasso, sulla base del dato decisivo che il paziente era giunto in quel nosocomio dopo i due pregressi giorni di ricovero in quello di Larino, allorchè si era ormai esaurita la fase acuta della patologia e se ne erano stabilizzati i postumi. Secondo la Corte, tale dato decisivo non era stato contestato in alcun modo dal danneggiato, il quale si era invece limitato a lamentare la erronea somministrazione, da parte dei sanitari di Campobasso, del farmaco Clexane (senza peraltro allegare quale sarebbe stato il corretto dosaggio di tale farmaco e la corretta durata della sua somministrazione e quali quelli in concreto attuati, onde consentire al giudicante di vagliare l’eventuale erroneità dell’operato dei medici) e la mancata adozione dell’accorgimento della mobilizzazione precoce del paziente (che invece era stata praticata).

Quanto alla determinazione della percentuale di responsabilità della ASI, n. 4, la Corte ha disatteso le critiche mosse alla sentenza di primo grado sotto il profilo motivazionale, evidenziando che il Tribunale aveva aderito sul punto alla valutazione effettuata dal CTU, secondo il quale un idoneo trattamento farmacologico riabilitativo attuato tempestivamente avrebbe consentito, nella generalità dei casi analoghi, di contenere i postumi invalidanti in misura apprezzabilmente inferiore, con un aggravamento direttamente correlato all’errore diagnostico stimabile, sulla base di un criterio probabilistico, nella misura del 20%. La Corte ha poi osservato che il V., nel censurare la parte della CTU relativa alla quantificazione della quota di responsabilità si contraddiceva e non sviluppava alcuna convincente argomentazione medico-legale, tale da accreditare la richiesta di porre a carico della struttura sanitaria il risarcimento integrale dell’invalidità subita dal V..

Con riferimento al danno patrimoniale, la Corte d’appello ha condiviso la decisione di rigetto assunta dal primo giudice, evidenziando che l’incapacità a continuare a svolgere l’attività lavorativa di falegname, o altre similari, si sarebbe comunque prodotta anche se la diagnosi e la terapia corretta fossero intervenute tempestivamente, tenuto conto della rilevante incidenza dei postumi direttamente riconducibili alla patologia ischemica (in misura pari al 45%).

La Corte di Campobasso ha poi ritenuto infondata la doglianza relativa all’omesso riconoscimento della rivalutazione monetaria, tenuto conto che il primo giudice aveva calcolato l’importo risarcitorio applicando le tabelle del Tribunale di Milano del 2011 e quindi determinando il quantum nel valore attuale alla data della sentenza.

Infine, quanto agli interessi, secondo la Corte era corretto il criterio utilizzato dal Tribunale, che ne aveva individuato il tasso, per il periodo compreso tra la data del fatto e la data della decisione, nella media dell’interesse legale nel medesimo periodo, stabilendo invece che per il periodo successivo, fino al soddisfo, spettassero al creditore gli interessi legali “sulla sorte determinata in valore attuale”.

La Corte ha quindi condannato il V. al rimborso delle spese processuali a favore di ciascuna delle parti appellate (tranne che dell’Azienda Sanitaria Regionale del Molise, nei cui confronti l’atto introduttivo dell’appello era stata notificato solo “in quanto occorra”).

3. Avverso tale sentenza propone ricorso in Cassazione V.L.S., sulla base di quattro motivi.

3.1. Resiste con controricorso la Gestione Liquidatoria della ASL n. ***** Basso Molise Termoli. Non hanno svolto difese gli intimati Assicuratori dei Lloyd’s – Rappresentanza Generale per l’Italia, ASL n. ***** Centro Molise Campobasso e Azienda Sanitaria Regionale del Molise (quest’ultima destinataria della notifica del ricorso solo al fine di garantire l’integrità del contraddittorio nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di appello).

3.2.Tutte le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione degli artt. 1218,1223 e 2697 c.c., degli artt. 1176 e 1372c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.”.

La Corte d’appello si sarebbe limitata a recepire e trascrivere la sentenza di prime cure e la CTU, senza nemmeno correggere l’affermazione contenuta nella decisione del Tribunale secondo cui, nella specie, si tratterebbe di responsabilità extracontrattuale.

Di conseguenza, la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto incombere sul V. l’onere di dimostrare la responsabilità dei sanitari dell’ospedale di Campobasso (e quindi della ASL n. *****) e la sussistenza di un danno biologico superiore alla percentuale del 20%.

Secondo le regole di riparto dell’onere della prova nell’ambito della responsabilità contrattuale, invece, all’attore competeva solo di provare il contratto relativo alla prestazione sanitaria del danno subito e di allegare che le strutture sanitarie erano state inadempienti avendo commesso errori di diagnosi di terapia. Competeva invece ai convenuti fornire la prova che tale inadempimento non vi era stato, poichè la diagnosi era stata corretta e la terapia appropriata, ovvero che, pur esistendo l’inadempimento, esso non era stato eziologicamente rilevante nell’azione risarcitoria proposta o non lo era stato in misura maggiore del 20%.

Di conseguenza, essendo mancata una valida prova liberatoria da parte della ASL n. *****, la stessa avrebbe dovuto essere condannata solidalmente all’ASL n. ***** al risarcimento del danno.

In ogni caso, il danno patito dal V. avrebbe dovuto essere posto quantomeno a carico della ASL n. ***** per intero.

Del resto, la giurisprudenza di legittimità avrebbe affermato che, laddove si prospetti la possibile incidenza di un fattore naturale sulla produzione dell’evento pregiudizievole, in mancanza di prova che il fattore naturale era in grado di escludere del tutto il nesso di causa, si deve ritenere che il danneggiante non abbia fornito la prova della causa a lui non imputabile, con conseguente riconducibilità del danno interamente alla condotta colpevole umana.

Nella specie, essendo acclarato che a produrre la tetraparesi del lato destro del corpo avevano concorso cause naturali ed errore umano, incombeva sulla struttura sanitaria l’onere di provare che se anche la diagnosi e la terapia fossero state corrette, l’evento si sarebbe comunque prodotto in quanto addebitabile unicamente e interamente a cause naturali.

4.1.1. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse nella parte in cui censura la mancata condanna della ASL n. *****.

La Corte d’appello, infatti, ha rigettato la domanda nei confronti della ASL n. 3 di Campobasso sulla base delle seguenti circostanze, ritenute decisive ed incontestate dal V.:

– secondo il CTU, la terapia da eseguire nei casi di ischemia cerebrale, per essere efficace, deve essere effettuata nelle prime tre ore dal manifestarsi dell’ischemia stessa;

– nel caso di specie, il paziente era giunto all’ospedale di Campobasso solo dopo due giorni, quando si era ormai esaurita la fase acuta della patologia e se ne erano stabilizzati i postumi.

Il ricorrente, con il motivo in esame, non contesta le suddette circostanze, nè afferma di averle contestate nei precedenti gradi di giudizio.

4.1.2. Laddove si chiede la revisione della misura del risarcimento da porre a carico della ASL n. *****, il motivo è invece infondato.

Si sostiene, con il motivo in esame, che il concorso di cause naturali e umane, ove non si ravvisi la causa esclusiva, non consentirebbe di elidere neppure in percentuale la pari efficienza eziologica dei fattori concorrenti, con conseguente diritto al riconoscimento dell’intero danno.

Ma in tal modo si confonde l’evento lesivo, rappresentato dall’ictus da valutarsi, con riferimento alla condotta colpevole, ai sensi dell’art. 41 c.p. e art. 1227 c.c. – con le sue conseguenza dannose, ossia con il grado di invalidità residuato, che va di converso valutato ai senso dell’art. 1223 c.c., e può essere dimensionato rispetto all’evento di danno avendo riguardo alla conseguenza invece riferibile ad altro fattore.

Ne consegue che, se l’azione o l’omissione colpevole concorra con la causa naturale nella produzione dell’evento lesivo, sul piano della causalità materiale sarà del tutto indifferente la presistenza, coesistenza o concorrenza della causa naturale stessa (in senso contrario, non condivisibilmente, Cass. 975/2009). Le conseguenze dannose della lesione, invece, valutate sul piano della causalità giuridica (criterio eziologico che indaga, appunto, sulla relazione tra la lesione e le sue conseguenze), andranno liquidate, nella loro effettiva e complessiva consistenza, attribuendo all’autore dell’illecito la (sola) percentuale di aggravamento della situazione preesistente (Cass. 15991/2011; Cass. 28986/2019).

In linea puramente teorica, vanno in questa sede riaffermati, pertanto (Cass. 28986, cit.), i principi secondo i quali:

1) lo stato anteriore di salute della vittima di lesioni personali può concausare la lesione, oppure la menomazione che da quella è derivata;

2) la concausa della lesioni è giuridicamente irrilevante sul piano della causalità materiale;

3) la menomazione preesistente può essere concorrente o coesistente col maggior danno causato dall’illecito;

4) saranno “coesistenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti non mutano per il fatto che si presentino sole od associate ad altre menomazioni, anche se afferenti i medesimi organi; saranno, invece, “concorrenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti sono meno gravi se isolate, e più gravi se associate ad altre menomazioni, anche se afferenti ad organi diversi;

5) le menomazioni coesistenti sono di norma (e salvo specificità del caso concreto) irrilevanti ai fini della liquidazione; nè può valere in ambito di r.c. la regola sorta nell’ambito dell’infortunistica sul lavoro, che abbassa il risarcimento sempre e comunque per i portatori di patologie pregresse – con la conseguenza che la relativa liquidazione partirà dal valore o della tabella delle invalidità;

6) le menomazioni concorrenti vanno di norma tenute in considerazione:

a) stimando in punti percentuali l’invalidità complessiva dell’individuo (risultante, cioè, dalla menomazione preesistente più quella causata dall’illecito), e convertendola in denaro;

b) stimando in punti percentuali l’invalidità teoricamente preesistente all’illecito, e convertendola in denaro; lo stato di validità anteriore al sinistro dovrà essere però considerato pari al 100% in tutti quei casi in cui le patologie pregresse di cui il danneggiato era portatore non gli impedivano di condurre una vita normale;

c) sottraendo l’importo (b) dall’importo (a), partendo peraltro, e diversamente che nel caso sub 5), dal valore (b): esemplificando, rispetto ad una invalidità complessivamente accertata (come nel caso di specie) nella misura del 65%, e ad un corrispondente accertamento di una invalidità pregressa del 45%, il giudice liquiderà un valore monetario pari al 20%, partendo, come base di calcolo, dal valore tabellare corrispondente al 45% (criterio di liquidazione che non gli sarebbe consentito ove il frazionamento avvenisse con riferimento alla causalità materiale, il cui accertamento dovrebbe arrestarsi sulla soglia della relazione eziologica condotta-lesione, con conseguente applicazione della tabella nel range 0-20);

7) resta imprescindibile il potere-dovere del giudice di ricorrere all’equità correttiva ove la rigida applicazione del calcolo che precede conduca, per effetto della progressività delle tabelle, a risultati manifestamente iniqui per eccesso o per difetto.

Tanto premesso in linea puramente teorica, osserva il collegio che le critiche svolte nel primo mezzo sono – per quanto riguarda la mancata affermazione della responsabilità della ASL3, argomentata dal decidente sulla base del rilievo fattuale della irrilevanza eziologica dell’errore diagnostico del medici della ASL***** – di stretto merito. Esse in ogni caso ruotano intorno all’apodittico assunto secondo cui il carattere contrattuale della responsabilità imponeva di porre a carico dell’ente per intero i danni conseguenti all’ictus, senza confrontarsi con le questioni, per vero centrali, relative alla modalità di liquidazione del danno differenziale adottate dal decidente: senza, in particolare, nè esplicitare i criteri in concreto seguiti dal giudice di merito, nè gli effetti della loro eventuale erroneità, in ragione della doverosa adozione delle metodologie di calcolo innanzi evidenziate.

4.2. Con il secondo motivo di ricorso, il V. si duole, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della “violazione degli artt. 1218,1223 e 2697 c.c., degli artt. 1176 e 1372c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.” nella parte della sentenza che ha rigettato il motivo di appello relativo al danno patrimoniale.

Tale parte della sentenza, che andrebbe riesaminata in caso di accoglimento del primo motivo e di conseguente rideterminazione della responsabilità in misura superiore al 20%, sarebbe comunque illegittima in quanto violerebbe i principi che regolano la materia del risarcimento del danno patrimoniale.

Infatti la Corte d’appello non avrebbe effettuato alcun esame delle numerose prove fornite dal ricorrente in ordine all’impossibilità di continuare a svolgere la propria attività di falegname, ritenendo che tale disamina fosse superata sulla base del rilievo che comunque il V. non avrebbe potuto continuare a svolgere tale attività anche se la diagnosi e la terapia corretta fossero intervenute tempestivamente.

Tale affermazione sarebbe oltremodo penalizzante per la vittima, poichè comporterebbe automaticamente l’esclusione del danno patrimoniale nel caso in cui la quota di responsabilità attribuita alla condotta umana sia inferiore a quella dovuta ad altre cause.

Al contrario, una volta accertata l’esistenza del danno patrimoniale sulla base delle prove fornite dall’attore, esso andrebbe liquidato come quello non patrimoniale, nella stessa percentuale di colpa attribuita al responsabile.

4.2.1. Il motivo è infondato.

Poichè il danno evento cagionato dalla condotta dei sanitari di Larino è rappresentato dalla perdita dell’integrità da circa il 45% al 65%, correttamente la decisione impugnata ha escluso dalle conseguenze risarcibili la perdita della capacità lavorativa specifica, che si sarebbe prodotta già solo per via dei postumi invalidanti dell’ischemia, anche in assenza di errore medico. Inoltre richiede una insindacabile valutazione circa la mancanza di prova del danno patrimoniale.

4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione degli artt. 1218,1223 e 1224 c.c.”.

La sentenza sarebbe erronea nella parte in cui ha attribuito gli interessi legali successivi alla sentenza di primo grado solo sulla sorte capitale e non sulla sorte capitale maggiorata degli interessi legali.

Sarebbe infatti principio consolidato quello secondo cui, con la sentenza definitiva, si determina la conversione del debito di valore in debito di valuta con il riconoscimento da tale data degli interessi legali sulla somma complessiva dovuta alla data della sentenza, costituita da capitale, rivalutazione ed interessi.

4.3.1. Il motivo è infondato.

La sentenza ha applicato i principi enunciati da Cass. S.U. 1712/1995 e Cass. 492/2001 e si pone in linea con la successiva giurisprudenza conforme (ex multis Cass. 21396/2014. Pertanto è principio pacifico quello secondo cui, successivamente alla data di pubblicazione della sentenza, gli interessi legali maturano “sull’importo costituito dalla sommatoria di capitale e accessori” (cfr. anche Cass. civ., SS.UU., 10-072017, n. 16990). Non è vero dunque che la Corte territoriale ha applicato gli interessi sulla sola sorte capitale determinata nel valore attuale ma li ha applicati sulla sorte capitale in valore attuale e cioè maggiorata della rivalutazione monetaria e degli interessi compensativi.

4.4. Con il quarto motivo, si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 4 commi 2 e 4”, nella parte della sentenza in cui è stata disposta la condanna del ricorrente alle spese, per lo stesso importo, in favore sia della compagnia assicuratrice sia dell’ASL n. *****, nonostante tali parti fossero state difese dal medesimo professionista, il quale aveva redatto atti identici.

In base al comma 2 della norma richiamata, poichè entrambe le parti avevano la medesima posizione processuale, la Corte d’appello avrebbe dovuto liquidare per le stesse un unico onorario maggiorato del 20%. In subordine, doveva essere applicato il comma 4 del medesimo articolo.

4.4.1. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

Infatti, manca il presupposto richiesto sia in relazione al comma 1 che al comma 2 della norma invocata, rappresentato dalla identità della posizione processuale delle parti rappresentate dal medesimo legale. Contrariamente a quanto afferma il ricorrente, la compagnia assicuratrice non è portatrice del medesimo interesse della ASL assicurata.

I Lloyd’s, invece, hanno assunto in giudizio una posizione autonoma, che avrebbe potuto anche non essere adesiva rispetto a quella della struttura sanitaria.

Il motivo non rispetta i canoni previsti dall’art. 366, n. 6 previsto da Cass. n. 18190/2015. In tema di spese processuali, è inammissibile il ricorso per cassazione che si limiti alla generica denuncia dell’avvenuta violazione del principio di inderogabilità della tariffa professionale per l’importanza del giudizio presupposto e per la complessità delle questioni giuridiche trattate, atteso che, in applicazione del principio di autosufficienza, devono essere specificati gli errori commessi dal giudice e precisate le voci della tabella degli onorari e dei diritti che si ritengono violate.

5. In considerazione della complessità della questione le spese devono essere compensate tra tutte le parti.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Spese compensate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 13 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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