Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.519 del 15/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12591-2018 proposto da:

CURATELA DEL FALLIMENTO ***** S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del curatore p.t. Avv. M.G., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’Avv. VINCENZO RESCIGNO;

– ricorrente –

contro

MEDIOCREDITO ITALIANO S.P.A., in persona del Direttore Generale e legale rappresentante Dott. T.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AMEDEO CRIVELLUCCI 21, presso lo studio dell’avvocato ANDREA LAMPIASI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FERNANDO GABETTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 859/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/10/2019 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE IGNAZIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANDREA LAMPIASI.

FATTI DI CAUSA

1. – La Curatela del Fallimento “***** s.r.l. in liquidazione” (dichiarato con sentenza del 19/04/2012 dal Tribunale di Nocera Inferiore) convenne in giudizio la Leasint S.p.A. al fine di sentirla condannare alla restituzione dei canoni riscossi in forza del contratto di leasing n. ***** stipulato inter partes il *****, concernente un fabbricato industriale, del quale, successivamente, era stata accertata e dichiarata la risoluzione dal Tribunale di Milano, con sentenza n. 6137/06 per inadempimento dell’utilizzatore.

1.2.- L’adito Tribunale di Milano, nel contraddittorio con la Mediocredito Italiano S.p.A. (quale incorporante la Leasint S.p.A.), con sentenza dell’ottobre 2015, rigettò la domande proposta dal Fallimento ***** s.r.l. in liquidazione, rilevando, in particolare, il difetto di prova circa l’avvenuta retrocessione del bene oggetto del contratto di leasing e, pertanto, l’inapplicabilità della disciplina di cui all’art. 1526 c.c. invocata dall’utilizzatore.

2.- Avverso tale decisione interponeva gravame la Curatela del Fallimento ***** s.r.l. in liquidazione, che la Corte di appello di Milano respingeva con sentenza resa pubblica in data 19 febbraio 2018.

2.1.- La Corte territoriale, a fondamento della decisione, osservava che: a) l’onere della prova in ordine alla restituzione del bene oggetto di leasing gravava sull’utilizzatore, in analogia a quanto previsto dall’art. 1591 c.c. in tema di locazione e, comunque, in forza dei principi espressi dalle Sezioni Unite (n. 13533 del 2001) materia contrattuale; b) le argomentazioni attoree circa la possibilità di desumere la disponibilità del bene da parte della Mediocredito dai tentavi posti in essere da quest’ultima per riallocarlo erano “inconferenti”, “trattandosi invero di mere trattative per una possibile vendita dell’immobile alla società ***** che tuttavia non andavano a buon fine”; c) nel caso di specie non era applicabile, in favore dell’utilizzatore, la disciplina prevista all’art. 1526 c.c., difettandone il presupposto indispensabile (anche in riferimento all’art. 72 quater L. Fall. e all’art. 12 delle condizioni generali del contratto inter partes) rappresentato dalla restituzione del bene oggetto di leasing; d) era infondata l’eccezione di nullità della clausola penale prevista all’art. 12 c.g.c., posto che l’utilizzatore non aveva provato una ingiustificata locupletazione da parte del concedente, rappresentando tale clausola una predeterminazione del danno risarcibile nell’ipotesi di risoluzione per inadempimento dello stesso utilizzatore.

3.- Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Curatela del Fallimento ***** s.r.l. in liquidazione, affidando le sorti dell’impugnazione a sette motivi, illustrati da memoria, avverso i quali resiste con controricorso Mediocredito Italiano S.p.A. (già Leasint S.p.A.).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 1526 e 1460 c.c., nonchè del R.D. n. 267 del 1942, art. 93 (e successive modificazioni) e degli artt. 324 e 342 c.p.c., per aver la Corte territoriale pronunciato su un’eccezione di inadempimento – riconsegna dell’immobile estranea alle difese articolate da Mediocredito Italiano S.p.A., la quale, in primo grado, avrebbe allegato la mancata riconsegna del bene al solo fine di giustificare il ritardo nella riallocazione del fabbricato.

La Corte territoriale avrebbe, altresì, errato sia a non rilevare che i crediti opposti da parte appellata andavano accertati nelle forme del rito fallimentare, sia a non rilevare che detta parte aveva rinunciato all’eccezione riconvenzionale, per non essere la stessa oggetto di appello incidentale, ma solo riproposta ai sensi dell’art. 346 c.p.c..

1.1.- Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

E’ principio consolidato quello per cui al leasing traslativo (qualificazione del contratto che, nella specie, non è stata fatta oggetto di specifica impugnazione) si applica la disciplina della vendita con riserva della proprietà, sicchè, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, quest’ultimo ha diritto alla restituzione delle rate riscosse solo dopo la restituzione della cosa, mentre il concedente ha diritto, oltre al risarcimento del danno, a un equo compenso per l’uso dei beni oggetto del contratto (Cass. n. 21895/2017; Cass. n. 13418/2008; Cass. n. 18195/2007).

Invero, l’obbligo di restituzione della cosa è da ritenere fondamentale nell’equilibrio del contratto, perchè in tal modo, per un verso, il concedente, rientrato nel possesso del bene, potrà trarne ulteriori utilità nel proseguo; per altro verso, solo dopo l’avvenuta restituzione è possibile determinare l’equo compenso a lui spettante per il godimento garantito all’utilizzatore nel periodo di durata del contratto, salva la prova del danno ulteriore.

La Corte territoriale, nel confermare la statuizione di primo grado di rigetto della domanda attorea di rimborso dei canoni versati, ai sensi dell’art. 1526 c.c., in difetto della prova circa l’avvenuta restituzione alla concedente del fabbricato industriale oggetto del contratto di leasing, ha fatto corretta applicazione del principio anzidetto, senza incorrere in violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto l’avvenuta restituzione dell’immobile integrava non già eccezione in senso stretto, ad iniziativa di parte, bensì fatto costitutivo della stessa domanda attorea, che, quindi, doveva essere oggetto di allegazione e prova da parte della curatela fallimentare (cfr. Cass. n. 3381/2015).

Ne deriva, altresì, che le ulteriori censure di parte ricorrente sono inammissibili, in quanto non attingono siffatta ratio decidendi che sorregge la sentenza impugnata.

Ciò, dunque, ancor prima del rilievo di un ulteriore profilo di inammissibilità, ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, poichè le censure medesime si infrangono contro i principi di diritto di seguito ribaditi.

Quanto a quella con cui è lamentata la mancata adozione del rito fallimentare, giova, infatti, rammentare che, nel giudizio promosso dalla curatela per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto può eccepire in compensazione, in via riconvenzionale, l’esistenza di un proprio controcredito verso il fallimento, non operando al riguardo il rito speciale per l’accertamento del passivo previsto dagli artt. 93 e ss. L. Fall., atteso che tale eccezione – diversamente dalla corrispondente domanda riconvenzionale, il cui petitum riguarda, invece, una pronuncia idonea al giudicato a sè favorevole, di accertamento o di condanna all’importo in tesi spettante alla medesima parte, una volta operata la compensazione – è diretta esclusivamente a neutralizzare la domanda attrice ed ad ottenerne il rigetto, totale o parziale (Cass. n. 14418/2013 e Cass., n. 25609/2015).

Quanto, poi, alla doglianza con cui si assume la necessità di appello incidentale, si deve ricordare che, in tema di impugnazioni, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345 c.p.c., comma 2, (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2), nè sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure (come nella specie), chiarendosi, altresì, che, in tal caso, la mancanza di detta riproposizione (nella specie invece effettuata) rende irrilevante in appello l’eccezione, se il potere di sua rilevazione è riservato solo alla parte, mentre, se competa anche al giudice, non ne impedisce a quest’ultimo l’esercizio ex art. 345 c.p.c., comma 2" (Cass., S.U., n. 11799/2017, ulteriormente confermata da Cass. n. 24658/17 e Cass. n. 21264/18).

2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1591 e 1526 c.c. in relazione all’art. 12 preleggi, per aver erroneamente la Corte territoriale applicato al caso di specie quanto disciplinato nell’art. 1591 c.c. e, pertanto, posto in capo all’utilizzatore l’onere della prova dell’avvenuta restituzione dell’immobile, anzichè, porlo in capo al concedente, il cui unico interesse era quello di ottenere i canoni oggetto di contratto piuttosto che il cespite.

2.1.- Il motivo è infondato.

Come già rilevato in parte in sede di scrutinio del primo motivo di ricorso, la Corte territoriale, ponendo a carico dell’utilizzatore l’onere della prova della restituzione del bene oggetto del contratto di leasing, ha fatto corretta applicazione del principio, enunciato (tra le altre) da Cass. n. 3381/2015, secondo cui, in tema di leasing traslativo, in caso di inadempimento dell’utilizzatore, il concedente ha sempre diritto alla restituzione del bene, spettando al primo provare di aver provveduto alla restituzione.

Peraltro, l’applicazione di siffatto principio, nei termini anzidetti, non è scalfita dalle considerazioni soltanto ad abundantiam, non incidenti sulla ratio decidendi, che la Corte territoriale ha ripreso dalla sentenza di primo grado in ordine alla necessità di previa restituzione del bene anche in rapporto alla disciplina recata dall’art. 72-quater L. Fall. e dall’art. 12 delle condizioni generali del contratto inter partes.

3. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1526 e 2697 c.c. in relazione all’art. 2729 c.c., per aver la Corte territoriale errato nel ritenere non provata da parte dell’odierna ricorrente la retrocessione alla Mediocredito Italiano S.p.a. del sito industriale oggetto del contratto di leasing, quando, invece, ciò risultava evidente sulla base dell’istruttoria svolta nel corso del giudizio di merito.

4. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto non provata la retrocessione del fabbricato industriale quando, invece, dall’istruttoria emergeva come circostanza pacifica.

5. – Con il quinto mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per aver erroneamente la Corte di merito non tenuto conto: a) del provvedimento di rigetto della domanda di rivendica dell’immobile da parte della Mediocredito emesso dal Giudice Fallimentare per non aver mai avuto il fallimento la disponibilità dell’immobile; b) della richiesta di collaborazione per accedere all’immobile; c) dell’aver la Mediocredito incaricato un perito di verificare il rilascio delle certificazioni da parte del Comune.

5.1. – Il terzo, quarto e quinto motivo, da scrutinarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, sono inammissibili.

Le doglianze di parte ricorrente, lungi dal prospettare effettivi errores in iudicando, sono orientate a criticare la valutazione delle emergenze probatorie riservata al giudice del merito e da questi effettuata (cfr. sintesi al p. 2.1. dei “Fatti di causa”, cui si rinvia).

Non è dato, infatti, apprezzare alcuna violazione della regola sul riparto dell’onere probatorio (art. 2697 c.c.), nè del c.d. principio di non contestazione (art. 115 c.p.c.), giacchè le doglianze muovono da una diversa interpretazione, diversa da quella fornita dal giudice di appello, delle difese di Mediocredito in ordine alle trattative sulla vendita dell’immobile concesso in leasing, da cui non si dà contezza alcuna che si affermasse avvenuta la restituzione di detto bene.

Di qui, inoltre, anche l’inconferenza della postulata violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., giacchè (come evidenziato da Cass., SU, 1785/2018, in motivazione) la critica della ricorrente non è riconducibile al concetto di falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma è orientata sia ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo, sia a prospettare una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito; in sostanza, le censure si risolvono in realtà in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti, e dunque sollecitano su di questa un controllo sulla motivazione del giudice.

Nè, ancora, è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo, discusso tra le parti, secondo il paradigma dell’art. 360 c.p.c., vigente n. 5 giacchè le circostanze addotte dalla società ricorrente, oltre a non rivestire carattere di decisività (mancando di evidenziare in modo inequivoco l’avvenuta restituzione – quando e come – dell’immobile concesso in leasing) sono piuttosto espressione di valutazioni basate su una lettura alternativa delle risultanze probatorie rispetto a quella a cui è giunto il giudice del merito.

In siffatta prospettiva, del resto, si risolve, infine, anche la censura di violazione dell’art. 116 c.p.c., non essendo dedotto che il giudice abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove in assenza di una deroga normativamente prevista, oppure, al contrario, abbia valutato secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. n. 11892/2016).

6. – Con il sesto mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 in relazione agli artt. 1384 e 1526 c.c. e dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per aver erroneamente la Corte territoriale ritenuto inapplicabile al contratto di leasing traslativo inter partes la disciplina inderogabile di cui all’art. 1526 c.c. e, quindi, non provata, da parte dell’utilizzatrice, l’iniquità della clausola penale ivi inserita, alla strega della quale parte concedente non avrebbe solo il diritto di riacquisire la disponibilità del bene e ritenere integralmente i canoni già incamerati, ma anche quello di pretendere il pagamento dei canoni a scadere dopo la risoluzione e del prezzo di opzione.

7. – Con il settimo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1526 e 2697 c.c., dell’art. 12 preleggi, nonchè dell’art. 132 c.p.c., n. 4”, per aver la Corte territoriale, con motivazione contraddittoria, escluso l’iniquità della clausola penale affermando, per un verso, la presenza nella rata di canone versata di una quota di trasferimento e, per altro verso, la non configurabilità di una illecita locupletazione a favore della concedente nel caso di cumulo tra l’incameramento delle rate versate e di tutti i canoni scaduti e a scadere, senza il passaggio di proprietà del bene in capo a colui che li ha versati.

7.1.- Gli ultimi due motivi, da scrutinarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, sono infondati.

In tema di leasing traslativo, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, la clausola penale che attribuisca al concedente, oltre all’intero importo del finanziamento, anche la proprietà e il possesso del bene è manifestamente eccessiva in quanto attribuisce vantaggi maggiori di quelli conseguibili dalla regolare esecuzione del contratto, dovendo il giudice effettuare, ai fini della sua riducibilità ex art. 1384 c.c., una valutazione comparativa tra il vantaggio che detta clausola assicura al contraente adempiente e il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto (Cass. n. 20840/2018).

Tale principio – affermato in fattispecie in cui la clausola penale non prevedeva in favore dell’utilizzatore il versamento del ricavato della vendita del bene oggetto del leasing – si correla armonicamente con la regula iuris (enunciata da Cass. n. 15202/2018), secondo cui, sempre in materia di leasing traslativo, nell’ipotesi di risoluzione anticipata per inadempimento dell’utilizzatore, le parti possono convenire, con patto avente natura di clausola penale, l’irrepetibilità dei canoni già versati da quest’ultimo prevedendo la detrazione, dalle somme dovute al concedente, dell’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito, essendo tale clausola coerente con la previsione contenuta nell’art. 1526 c.c., comma 2.

Nel caso di specie, come risulta dalla sentenza impugnata (p. 6) e dallo stesso ricorso (pp. 15/16), la clausola penale di cui all’art. 12 delle condizioni generali di contratto prevedeva che in favore dell’utilizzatore venisse accreditato “l’importo che la Concedente avrà ricavato, al netto di tasse e spese, dalla vendita o dalla ricollocazione dell’immobile o da indennizzi assicurativi o da risarcimenti di terzi”.

La decisione della Corte territoriale, quindi, non solo non si presta alla censura di insanabile contraddittorietà, ma risulta coerente con i principi anzidetti, avendo rilevato, nel contesto della evidenziata portata della clausola penale, il difetto di prova circa un arricchimento ingiustificato da parte del concedente in leasing dell’immobile.

8. – Il ricorso va, dunque, rigettato e la parte ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 4 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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