LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 05640/2018 proposto da:
D.V.P., elettivamente domiciliato in Roma alla via Tacito n. 50 presso lo studio dell’AVVOCATO PAOLO IORIO che lo rappresenta e difende unitamente all’AVVOCATO GIANFRANCO TANDURA;
– ricorrente –
contro
D.V.G., D.V.M.M., S.G., elettivamente domiciliati in Roma alla piazza Gondar n. 22 presso lo studio dell’AVVOCATO MARIA ANTONELLI che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati Raffaella Mario e Maurizio Paniz;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 01869/2017 della CORTE d’APPELLO di VENEZIA, depositata il 07/09/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/10/2019 da Cristiano Valle;
udito l’Avvocato Paolo Iorio per il ricorrente e l’Avvocato Maria Antonelli per i controricorrenti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Cardino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
D.V.P. impugna per cassazione, con tre motivi, la sentenza della Corte di Appello di Venezia n. 01869 del 07/09/2017, che quale giudice di rinvio – ai sensi dell’art. 622 c.p.p., a seguito di pronuncia di annullamento della sentenza di assoluzione della stessa Corte territoriale del 30/01/2014 per i reati di falsa testimonianza ascritto a D.V.G. e M.M. ed a S.G. e di quello di calunnia, ascritto alla sola D.V.M.M. (Cassazione Sez. VI n. 01941 del 22/12/2015) – ha condannato D.V.M.M. al pagamento della somma di Euro mille e D.V.G. e S.G. al pagamento di Euro trecento ciascuno in favore di D.V.P., per danno non patrimoniale,e tutti i predetti alla rifusione in favore di D.V.P. delle spese processuali, liquidate in Euro millecentosettanta per il giudizio penale di primo grado, in Euro duemilaventicinque per l’appello penale, in Euro tremiladiciassette per il giudizio penale in cassazione ed in Euro novecentoquindici per il giudizio civile di rinvio, ai sensi dell’art. 622 c.p.p., oltre IVA, CPA e rimborso spese generali come per legge.
D.V.G. e M.M. e S.G. hanno resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie nel termine di cui all’art. 378 c.p.c..
Il P.G. ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il presente giudizio di legittimità trae le mosse dai reati di falsa testimonianza e di calunnia, ritenuti come insussistenti, pur nel rilievo della maturata prescrizione tra il primo ed il secondo grado di giudizio, dalla Corte di Appello di Venezia, nei confronti di D.V.G. e M.M. e S.G. a seguito dell’assoluzione dell’imputato D.V.P. dal reato di cui all’art. 392 c.p.. Questi promosse giudizio di risarcimento dei danni a carico dei denuncianti la cui responsabilità venne affermata in prime cure. A seguito dell’assoluzione in appello D.V.P. incardinò ricorso per cassazione nella qualità di parte civile e questa Corte rinviò ai fini civili alla Corte di Appello di Venezia. La detta Corte territoriale, con la sentenza impugnata in questa sede, ha riconosciuto la sussistenza dei reati e il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, liquidandolo in complessivi Euro milleseicento, di cui mille a carico di D.V.M.M. e trecento ciascuno a carico di D.V.G. e S.G..
I motivi di ricorso del danneggiato D.V.P. concernono: il primo l’ammontare del risarcimento, affermando violazione dei criteri di congruità e adeguatezza della liquidazione sul danno non patrimoniale.
Il secondo mezzo afferma omesso esame di fatto decisivo consistente nel danno patrimoniale costituito dalle spese di difesa sostenute da D.V.P. nel processo scaturito dall’accusa calunniosa.
Il terzo motivo denuncia, infine, violazione dei parametri di liquidazione delle spese di giudizio in misura inferiore ai minimi tariffari e la mancata statuizione sugli importi anticipati a titolo di contributo unificato.
Il primo motivo è infondato.
Esso si risolve in una diversa prospettazione delle risultanze di causa, ma non vale a supplire la carenza di allegazioni in tema di criteri cui ancorare il risarcimento dei danni, quali, ad esempio, lo sconvolgimento delle ordinarie abitudini di vita del soggetto, l’eco avuta dalla vicenda, concernente reati di calunnia e falsa testimonianza nell’ambito al quale si rapporta la persona calunniata e nei cui confronti la falsa testimonianza era stata consumata. Il ricorrente, lamenta, infatti, una incongrua quantificazione dei danni, che la Corte distrettuale ha effettuato ponendo a carico di D.V.M.M. la somma di Euro mille in moneta attuale, in quanto la stessa era ritenuta responsabile sia del delitto di calunnia che di quello di falsa testimonianza, del quale erano ritenuti responsabili anche D.V.G. e S.G., condannati al pagamento della somma di Euro trecento ciascuno.
La Corte di merito ha, sul punto, adeguatamente motivato il proprio convincimento, rilevando che non erano stati portati alla cognizione giudiziale elementi adeguati volti a configurare il danno non patrimoniale nella misura, complessivamente superiore ai sessantamila Euro, prospettata da D.V.P..
Il primo mezzo è, pertanto infondato.
Il secondo motivo è inammissibile.
Le spese difensive sopportate da D.V.P. nel processo penale nel quale è stato assolto sono state coperte dal giudicato penale, di cui alla sentenza n. 27541 della Cassazione (Sez. VI del 13/07/2011) con la conseguenza che la questione non può essere utilmente riproposta in questa sede, ossia nel giudizio civile di rinvio riveniente da annullamento di altra sentenza penale della stessa Corte territoriale, nel quale la cognizione, come correttamente rilevato dalla sentenza in scrutinio, è limitata ai soli capi civili concernenti il risarcimento dei danni conseguenti ai reati di calunnia e falsa testimonianza conosciuti dal giudice penale.
Il terzo motivo è, soltanto parzialmente, fondato.
La liquidazione delle spese del giudizio penale in primo grado è stata effettuata in misura inferiore ai minimi di legge, di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, recante “Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi della L. 31 dicembre 2012, n. 24, art. 13, comma 6”.
La censura, nello stesso terzo motivo, relativa agli importi anticipati a titolo di contributo unificato è superata dal rilievo (Cass. n. 18529 del 10/07/2019 Rv. 654658 – 01) secondo il quale: “In tema di spese processuali, qualora il provvedimento giudiziale rechi la condanna alle spese e, nell’ambito di essa, non contenga alcun riferimento alla somma pagata dalla parte vittoriosa a titolo di contributo unificato, la decisione di condanna deve intendersi estesa implicitamente anche alla restituzione di tale somma, in quanto il contributo unificato, previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 costituisce un’obbligazione “ex lege” di importo predeterminato, che grava sulla parte soccombente per effetto della stessa condanna alle spese, la cui statuizione può conseguentemente essere azionata, quale titolo esecutivo, per ottenere la ripetizione di quanto versato in adempimento di quell’obbligazione”.
La sentenza in esame deve, pertanto, essere cassata limitatamente all’importo delle spese difensive del primo grado del giudizio penale.
La causa, in quanto non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, può essere decisa nel merito, con liquidazione delle spese del giudizio penale di primo grado in complessivi Euro millenovecentoventisei, sulla base dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, applicando le diminuzioni di legge e tenuto conto della rilevanza minimale delle questioni trattate e dell’attività espletata.
Sul detto importo sono dovuti gli accessori di legge.
Sussistono idonee ragioni, da ravvisarsi nell’accoglimento soltanto in minima parte di uno dei motivi di ricorso (Corte Cost. n. 77 del 19 aprile 2018 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo modificato dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 13, comma 1, recante Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile, convertito, con modificazioni, nella L. 10 novembre 2014, n. 162, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni), per disporre integrale compensazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
PQM
Accoglie il terzo motivo di ricorso relativamente alle spese del giudizio penale di primo grado;
cassa la sentenza impugnata in relazione a quanto di ragione e decidendo nel merito liquida le spese del processo penale di primo grado in complessivi Euro 1.926,00 oltre accessori di legge;
compensa le spese di questo giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione III civile, il 15 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020