LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 35603-2018 proposto da:
Y.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO BARONE;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONE DI CASERTA;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 26/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 22/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Napoli, con decreto n. 8114/2018, ha respinto la richiesta di Y.A., cittadino pakistano, a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.
In particolare, i giudici del Tribunale hanno rilevato che: la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, per ragioni economiche) presentava diverse lacune e contraddizioni (in particolare in relazione alla provenienza dalla regione del Kashmir); quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, la zona di provenienza, verosimile, del richiedente, il *****, non era interessata da violenza indiscriminata o conflitti interni (secondo il rapporto EASO 2018); non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero. Avverso il suddetto decreto, Y.A. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva).
E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380 – bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis, per avere il Tribunale omesso ogni attività istruttoria, al fine di verificare la veridicità dei fatti esposti dal richiedente in sede di audizione dinanzi alla Commissione territoriale; con il secondo motivo, si denuncia poi la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7,8 e 11 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, laddove il Tribunale ha escluso che ricorressero i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, malgrado vi fosse un fondato timore di subire, in caso di rimpatrio, atti di persecuzione sufficientemente gravi, in difetto di elementi di segno contrario o di contraddizioni con le informazioni generali provenienti dal paese; con il terzo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), avendo il Tribunale ritenuto erroneamente, ai fini della chiesta protezione sussidiaria, la zona di provenienza del richiedente non di particolare pericolosità, senza considerare la situazione politico-sociale del Pakistan e le gravi violazioni dei diritti umani, positivamente vagliata da altra giurisprudenza di merito ai fini della chiesta protezione sussidiaria.
2. La prima censura è inammissibile.
Il Tribunale ha ritenuto del tutto generico il rischio allegato, sia ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato sia ai fini della protezione sussidiaria, valutato anche il contesto attuale del paese d’origine.
Vero che nella materia in oggetto il giudice ha il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534); ma il Tribunale ha attivato il potere di indagine nel senso indicato.
Inoltre, da ultimo si è ulteriormente chiarito (Cass. 27593/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (cfr. Cass. 27503/2018 e Cass. 29358/2018).
In sostanza, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la cooperazione istruttoria consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata, cosicchè solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. 17069/2018; Cass. 29358/2018).
In ogni caso, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività: non solo il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso (si parla, genericamente, del rischio di subire persecuzioni).
Ad ogni modo il ricorrente ha dichiarato di provenire dal Pakistan e l’accertamento officioso in ordine alla situazione esistente in tale zona di provenienza, ai fini della chiesta protezione sussidiaria, è stato fatto dal Tribunale, sulla base del rapporto Easo del 2018.
3. La seconda e la terza censura sono inammissibili.
I motivi contengono una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione dal Tribunale territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento.
Il Tribunale infatti ha ritenuto che doveva escludersi l’esistenza dei presupposti per accordare la protezione dello status di rifugiato, in difetto di qualunque allegazione di una forma di persecuzione, nel senso delineato dalla normativa in materia. In riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, il Tribunale ha correttamente ritenuto, con motivazione coerente ed esaustiva, che l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine escluda il diritto alla protezione invocato. Il tribunale invero ha escluso, sulla scorta di fonti ufficiali di conoscenza appositamente menzionate, che la situazione interna fosse in quello Stato caratterizzata da violenza indiscriminata in condizione di conflitto armato.
Si tratta di una valutazione in fatto, della quale il ricorrente si limita a sollecitare un diverso apprezzamento.
4. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.
Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020