LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –
Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6751-2014 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
BIEFFE SRL;
– intimato –
avverso la sentenza n. 504/2013 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 12/08/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/11/2019 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.
RITENUTO
CHE:
La Bieffe s.r.l., in qualità di parte acquirente, impugnò l’avviso di rettifica e liquidazione, emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle Entrate, in relazione al valore dichiarato nell’atto di compravendita, registrato il *****, di un terreno con annessi fabbricati, sito in Comune di *****, e l’adita Commissione tributaria provinciale di Roma respinse il ricorso con decisione poi riformata dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza n. 504/01/13, pronunciata il 21/5/2013 e depositata il 12/8/2013, accolse la tesi della contribuente secondo cui, tenuto conto dell’anno (2007) a cui risaliva la compravendita, l’edificabilità dell’area, ancorchè destinata ad essere riqualificata, non era affatto attuale, e l’Agenzia delle Entrate non aveva assolto l’onere della prova del maggior valore considerato ai fini della determinazione della base imponibile, così come peraltro ritenuto dalla medesima CTR con altra sentenza (n. 236/01/12), pronunciata nei confronti della parte alienante e prodotta dalla società appellante all’udienza di discussione.
Ricorre l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza, con due motivi, mentre l’intimata non ha svolto attività difensiva.
CONSIDERATO
CHE:
Con il primo motivo, la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 1306 e 2909 c.c., giacchè la CTR non ha considerato che non era consentita l’estensione della decisione favorevole di cui alla suindicata sentenza di appello, pronunciata nella causa autonomamente intentata dalla parte venditrice degli immobili, con cui è stato ritenuto congruo il valore dichiarato in atto per la cessione dei terreni, pronunciata nei confronti dell’acquirente del terreno per cui è causa, trattandosi di sentenza non definitiva.
La censura non appare fondata atteso che la sentenza impugnata si basa non già sulla rilevata autorità del giudicato favorevole formatosi nei confronti, dei venditori, coobbligati in solido, essendo, nel caso di specie, astrattamente consentita l’estensione del giudicato, in quanto nei confronti della società acquirente – ancorchè non fosse rimasta inerte di fronte alla accertamento dell’Ufficio ed avesse opposto l’avviso di rettifica e liquidazione notificatole dall’Agenzia delle Entrate – non si era formata alcuna decisione definitiva avente autonoma efficacia nei suoi confronti, bensì sul mero richiamo ad un precedente giudiziario, condiviso negli argomenti giustificativi, sul rapporto tributario.
Sta di fatto che la sentenza n. 236/01/12 della CTR del Lazio, pronunciata nei confronti dei venditori del terreno, e di contenuto favorevole alle tesi della contribuente, su ricorso dell’Agenzia delle Entrate, risulta essere stata cassata da questa Corte di legittimità, con rinvio delle cause per nuovo esame alla medesima CTR, in diversa composizione (ord. n. 11042/2018), per cui non sussiste la relativa preclusione impeditiva della ulteriore prosecuzione del giudizio.
Con il secondo motivo, lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed in via subordinata, motivazione insufficiente e contraddittoria, nonchè omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, giacchè la CTR, per un verso, ha accertato che l’area in oggetto sarebbe stata sicuramente riqualificata e, per altro verso, si assume che l’Ufficio non ha fornito la prova dell’attualità della vocazione edificatoria, già alla data di stipula del contratto di compravendita, obliterando l’indice di edificabilità indicato dall’Agenzia del Territorio.
La censura è fondata nei limiti e per le ragioni di seguito precisati.
Questa Corte ha avuto occasione di precisare che “In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia.” (Cass. n. 23940/2017).
Orbene, nel caso di specie, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata dopo il giorno 11 settembre 2012 e trovando applicazione anche al giudizio tributario le disposizioni sul ricorso per cassazione di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, (S.U. n. 8053/2014), sussiste il dedotto vizio di motivazione – che va valutato sulla scorta dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella nuova formulazione restrittiva – in quanto difetta, nella sentenza della CTR, l’esposizione delle ragioni che hanno indotto il giudice del gravame ad aderire alla tesi della società contribuente, sulla edificabilità dell’area, in base alla generica affermazione che, al momento del trasferimento della proprietà del terreno ed avuto riguardo alla disciplina urbanistica allora vigente, la trasformazione dell’area non era “attuale” ma “prossima ventura”.
Va, tuttavia, ricordato il principio, reiteratamente espresso da questa Corte, in relazione al momento dell’accertamento della edificabilità di una area, elemento che rileva ai fini della determinazione del valore venale del bene, secondo cui “In tema di imposte sui redditi, ai fini dell’applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67, comma 1, lett. b), l’edificabilità dell’area trasferita va desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi, come si ricava dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni, dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, (con riferimento all’ICI), e dal D.L. 4 aprile 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, (contenente una definizione di area edificabile in materia di IVA, di imposta di registro, di imposte sui redditi e di ICI), che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 2, comma 1, lett. b).” (Cass. n. 4116 del 2014; SS.UU. n. 25505 e 25506/2006).
E’ di tutta evidenza che il giudice di appello non ha affatto affrontato la questione centrale – e decisiva – della causa cioè il rilievo, ai fini qui considerati, del mero inserimento dell’area sottoposta a rettifica nel Piano Regolatore Generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi, atteso che già l’avvio del procedimento per la formazione dello strumento urbanistico è sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, pur con tutti i necessari distinguo, riferiti alle zone e alla necessità di ulteriori passaggi procedurali.
All’accoglimento del secondo motivo di ricorso segue la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa alla CTR del Lazio, in diversa composizione, per il riesame, la quale provvederà al governo delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla CTR del Lazio, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V sezione civile, il 7 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020