LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 928-2019 proposto da:
B.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA FROLDI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONE DI ANCONA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1250/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 06/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 22/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Ancona, con sentenza n. 1250/2018, ha respinto il gravame proposto da B.L., cittadino nigeriano, avverso la decisione di primo grado, che aveva, a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale, respinto la richiesta dello straniero di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.
In particolare, i giudici d’appello hanno rilevato che: la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, per sfuggire alle minacce, alla morte del padre, degli anziani del villaggio, che pretendevano che egli, secondo le tradizioni locali, si occupasse dell’idolo adorato dalla comunità) presentava diverse lacune e contraddizioni e comunque, quand’anche veritiera, non integrava i presupposti richiesti dalla legge per il riconoscimento dello status di rifugiato; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, la zona di ***** di provenienza non era interessata da conflitti armati interni; non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero.
Avverso la suddetta sentenza, B.L. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che resiste con controricorso).
E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380 – bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per avere la Corte d’appello omesso ogni attività istruttoria, al fine di verificare la veridicità dei fatti esposti dal richiedente in sede di audizione dinanzi alla Commissione territoriale; con il secondo motivo, si denuncia poi la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non avendo la Corte di merito vagliato attentamente la situazione della Nigeria, con riguarda al rischio di violenze anche mortali da parte del movimento di estremisti islamici Boko Haram, essendo il richiedente di religione cristiana.
2. La prima censura è inammissibile.
La Corte territoriale ha ritenuto del tutto generico e non credibile il rischio allegato, sia ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato sia ai fini della protezione sussidiaria, valutato anche il contesto attuale del paese d’origine.
Vero che nella materia in oggetto il giudice ha il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534); ma la Corte di merito ha attivato il potere di indagine nel senso indicato.
Inoltre, da ultimo si è ulteriormente chiarito (Cass. 27593/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (cfr. Cass. 27503/2018 e Cass. 29358/2018).
In sostanza, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la cooperazione istruttoria consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata, cosicchè solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. 17069/2018; Cass. 29358/2018).
In ogni caso, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività: il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso (si parla, genericamente, del rischio di subire persecuzioni in quanto cristiano).
3. La seconda censura è inammissibile.
Nella sentenza impugnata, la Corte d’appello ha rilevato che sulla base di fonti internazionali consultate la situazione della zona di provenienza della Nigeria, nel Sud del Paese, non è interessata da conflitti armati interni ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), giungendo dunque ad escluderla con valutazione di merito, che non è fatta oggetto di specifica doglianza sotto il profilo della violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo attuale.
4. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020