LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –
Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3912/2018 R.G., proposto da:
I.M., rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Fabio Benincasa, con studio in Napoli, elettivamente domiciliato presso l’Avv. Alessandro Voglino, con studio in Roma, giusta procura in margine al ricorso introduttivo del presente procedimento;
– ricorrente –
contro
l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, ove per legge domiciliata;
– controricorrente –
Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania – Sezione Staccata di Salerno il 23 giugno 2017 n. 5817/9/2017, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 21 novembre 2019 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.
RILEVATO
che:
I.M. ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania – Sezione Staccata di Salerno il 23 giugno 2017 n. 5817/9/2017, che, in controversia su impugnazione di avviso di classamento e attribuzione di rendita catastale a seguito di procedura “DOCFA”, ha respinto l’appello della contribuente con condanna della medesima alla rifusione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha rilevato la correttezza del predetto classamento, sul presupposto che: a) la variazione di classamento non era tardiva per la natura ordinatoria (e non decadenziale) del termine assegnato all’ufficio impositore dal D.M. 19 aprile 1994, n. 701, art. 1, comma 3; b) la contribuente era stata posta in grado di esercitare (in sede giudiziale) il diritto di difesa in ordine alle valutazioni ed estimazioni dell’ufficio impositore; c) la variazione di classamento (con il ripristino dell’originaria categoria “A/7”) era giustificata dalla destinazione e dalle caratteristiche dell’immobile. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con memoria difensiva.
CONSIDERATO
che:
Con il primo motivo, si deduce la nullità della sentenza impugnata per carenza e contraddittorietà della motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, come requisito di validità del provvedimento giurisdizionale. A dire della ricorrente, essa sarebbe “platealmente manchevole degli elementi minimi costitutivi di una pronuncia giurisdizionale”.
Con il secondo motivo, si denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 e della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per essersi limitata ad affermare che l’accertamento dell’ufficio impositore (all’esito di procedura “DOCFA”) “appare congruamente motivato con l’indicazione del criterio astratto in virtù del quale è stato rilevato il maggior valore ed emesso nel pieno rispetto dei principi afferenti al contraddittorio tra le parti”. Secondo la ricorrente, “l’atto di classamento non contiene il riferimento ad alcun criterio sulla base del quale sarebbe stato determinato il valore della rendita in completa difformità a quanto dichiarato dal contribuente, se non il riferimento apodittico a “metodologie comparative” delle quali, però, non viene fornito alcun concreto elemento”.
Con il terzo ed ultimo motivo, si eccepisce la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.M. 19 aprile 1994, n. 701, art. 1, commi 2 e 3, del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, artt. 7 e 30 e dell’art. 2697 c.c., “in violazione dell’art. 360 c.p.c.”, per il generico richiamo a “metodologie comparative” alla base della variazione di classamento, senza specificare alcunchè in ordine alle comparazioni effettuate.
RITENUTO CHE:
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
La sentenza di secondo grado appare prima facie provvista di congrua ed adeguata motivazione, essendo stato giustificato il rigetto dell’appello con una argomentata e dettagliata confutazione delle ragioni poste a fondamento della revisione in minus del classamento degli immobili (da categoria “A/3” e classe “U” a categoria “A/7” e classe “6”), con riguardo al tempo di esercizio della rettifica, alla garanzia del diritto di difesa per la contribuente e all’apprezzamento delle caratteristiche dell’immobile.
Per cui, valutando la coerenza e la completezza delle argomentazioni addotte a sostegno del rigetto del gravame, non si può dire che la relativa motivazione sia mancante, contraddittoria o apparente.
Invero, in materia di contenuto della sentenza, affinchè sia integrato il vizio di “mancanza della motivazione” agli effetti di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, occorre che la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero che essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (in termini: Cass., Sez. 3, 18 settembre 2009, n. 20112). In definitiva, la sentenza impugnata deve consentire l’individuazione delle ragioni esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, ascrivibili al giudicante, sulle quali la decisione è fondata (Cass., Sez. 6, 5 novembre 2015, n. 22652).
Nella specie, a ben vedere, la Commissione Tributaria Regionale ha esaustivamente esposto le ragioni di adesione all’operato dell’ufficio impositore, non limitandosi a riportarne acritica mente e pedissequamente le conclusioni.
2. Anche il secondo motivo si appalesa infondato.
In relazione alla motivazione degli atti di classamento, costituisce giurisprudenza consolidata di questa Corte il principio secondo cui “in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della procedura disciplinata dal D.L. n. 16 del 1993, art. 2, convertito in L. n. 75 del 1993 e dal D.M. n. 701 del 1994 (cd. procedura DOCFA), l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento può ritenersi soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati, mentre, in caso contrario, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso” (Cass., Sez. 5, 31 ottobre 2014, n. 23237; Cass., Sez. 5, 16 giugno 2016, n. 12497; Cass., Sez. 6, 7 dicembre 2018, n. 31809; Cass., Sez. 6, 7 ottobre 2019, n. 25006).
Tuttavia, giova ricordare che, sempre con riguardo a procedure “DOCFA”, questa Corte ha anche ritenuto che l’atto con cui l’amministrazione disattende le indicazioni del contribuente circa il classamento di un fabbricato deve contenere un’adeguata – ancorchè sommaria – motivazione che delimiti l’oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria. Ciò è reso tanto più necessario in considerazione delle incertezze proprie del sistema catastale italiano che si riflettono sull’atto (classamento) con cui l’amministrazione colloca ogni singola unità immobiliare in una determinata categoria, in una determinata classe di merito e le attribuisce una “rendita” (Cass., Sez. 6, 6 febbraio 2014, n. 2709; Cass., Sez. 5, 19 marzo 2015, n. 5580). Analogamente, si è espresso il principio che in caso di mancato recepimento delle indicazioni del contribuente circa il classamento di un fabbricato l’atto deve contenere un’adeguata – ancorchè sommaria – motivazione, che delimiti l’oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria (Cass., Sez. 6, 13 febbraio 2014, n. 3394; Cass., Sez. 5, 19 marzo 2015, n. 5580).
Nella specie, i dati forniti dalla contribuente sono stati disattesi con riferimento all’effettiva consistenza dell’immobile, essendo stato accertato – in sede di rettifica un maggior numero di vani (cioè, 33) rispetto a quello denunciato (cioè, 20). Per quanto riguarda, invece, la categoria e la classe, si è ripristinata la situazione preesistente (categoria “A/7” e classe “6”), conservando i dati proposti dalla stessa contribuente con precedente denuncia di variazione n. 29911/1997 del 9 luglio 1997 (in occasione di un riclassamento per la diversa distribuzione degli spazi interni). Peraltro, costituendosi nel giudizio di primo grado, l’amministrazione ha spontaneamente rideterminato la consistenza (con conseguente riduzione della rendita) dell’immobile, prendendo atto e facendo emenda dell’errore segnalato dalla contribuente mediante perizia tecnica di parte.
Pertanto, non si può dire che la ricorrente sia stata pregiudicata o vulnerata nell’esercizio del diritto di difesa nel giudizio tributario, essendo stata in grado di contestare da subito l’erronea determinazione della consistenza dell’immobile. Ed altrettanto vale per l’attribuzione della categoria e della classe, essendosi limitata l’amministrazione a ripristinare il classamento originario sulla base dei dati forniti in precedenza dalla stessa contribuente, che non risultano aver subito medio tempore variazioni o alterazioni (con riguardo alle caratteristiche costruttive, tecnologiche e ornamentali) al momento dell’instaurazione dell’ultima procedura “DOCFA”.
Parimenti, alla luce di tale rilievo, la valutazione dell’amministrazione non esigeva un onere di specifica e analitica motivazione in ordine alla comparazione con immobili similari che la contribuente aveva sollecitato nel giudizio di merito mediante la produzione di perizia tecnica di parte. Per cui, il giudice di appello ha correttamente ritenuto – in conformità alle argomentazioni già illustrate dal giudice di prime cure – che l’amministrazione avesse pienamente soddisfatto l’obbligo di motivare il provvedimento di classamento.
3. Da ultimo, anche il terzo motivo (la cui formulazione, pur in mancanza di espressa specificazione, appare, comunque, riconducibile in astratto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) si rivela infondato.
Invero, come è stato messo in risalto dal giudice di secondo grado, la revisione del classamento proposto dalla contribuente è stata fondata sulla constatazione (desumibile anche dagli elementi offerti con la domanda proposta nella procedura “DOCFA”) che, almeno dall’anno 2007, l’immobile non aveva subito modifiche delle caratteristiche intrinseche ed estrinseche, che sono pur sempre riportabili al classamento originario secondo le stesse risultanze della perizia tecnica di parte. Per cui, tale rilievo è assorbente di ogni argomento potenzialmente evincibile dalla comparazione con altri immobili.
Aggiungasi che il raffronto con altri immobili similari costituisce un valido supporto probatorio affinchè il giudice possa decidere sul ricorso contro l’avviso di classamento catastale, ma non impedisce allo stesso giudice di procedere a differente classificazione dell’immobile stesso in relazione agli immobili addotti in via comparativa, in presenza di altre prove documentali comprovanti la natura e le caratteristiche del bene (peraltro, nel caso di specie, desumibili da precedente istanza di variazione proposta dalla contribuente) che impongano differente classificazione in relazione agli immobili indicati in comparazione (Cass., Sez. 5, 10 aprile 2003, n. 5625). Per cui, l’eventuale indicazione di unità omogenee esaurisce i suoi effetti sotto il profilo meramente istruttorio, in quanto rappresenta un mero parametro di riferimento utilizzabile ai fini della formazione del convincimento del giudice adito, il quale può, però, attingere ad ogni altro elemento acquisito agli atti di causa (Cass., Sez. 5, 7 luglio 2004, n. 12446; Cass., Sez. 5, 11 ottobre 2006, n. 21725).
Ad ogni buon conto, il censurato riferimento a non meglio precisate “metodologie comparative” rappresenta la mera ripetizione di una formula standardizzata nelle premesse fattuali dell’atto impositivo, la cui superfluità ed ultroneità è palesata dall’assoluta irrilevanza nella illustrazione delle ragioni poste a fondamento della revisione del classamento catastale.
4. Pertanto, alla stregua delle argomentazioni suesposte, il ricorso deve essere rigettato.
5. Nulla per le spese del giudizio di legittimità. Invero, l’amministrazione non ha sostanzialmente svolto attività difensiva, limitandosi il relativo “controricorso” ad una laconica enunciazione della mera richiesta di rigetto del ricorso per cassazione, senza alcuna illustrazione (ancorchè sintetica) delle ragioni contrarie al suo accoglimento.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese del giudizio di legittimità; dà atto dell’obbligo, a carico della ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020