LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1189-2019 proposto da:
O.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO ROMAGNOLI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONE DI ANCONA;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2672/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 27/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 22/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Ancona, con sentenza n. 2672/2018, ha respinto il gravame proposto da O.E., cittadino nigeriano, avverso la decisione di primo grado, che aveva, a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale, respinto la richiesta dello straniero di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.
In particolare, i giudici d’appello, respinto il rilievo procedurale mosso dall’appellante (che lamentava di essere stato ascoltato da un solo componente della Commissione territoriale), essendo il giudizio in oggetto rivolto non all’annullamento del provvedimento della Commissione territoriale ma alla verifica della sussistenza del diritto invocato alla protezione internazionale, hanno rilevato che: la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, per sfuggire alle minacce dei fulani, assoldati dal genitore della fidanzata, di fede mussulmana, contrario all’unione dei due ragazzi) concerneva fatti del tutto privati e famigliari, privi di rilievo; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di primo grado aveva correttamente vagliato la situazione della Nigeria e l’appellante non aveva specificamente censurato le argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato; non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero, peraltro non essendo state dall’appellante in alcun modo censurate le relative argomentazioni del giudice di primo grado.
Avverso la suddetta sentenza, O.E. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva).
E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380 – bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 12, comma 1 bis, per avere la Corte d’appello omesso di vagliare l’eccezione in rito sollevata, in ordine alla mancata audizione del richiedente da parte del plenum della Commissione; con il secondo motivo, si denuncia poi, ex art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, rappresentato dall’avere ritenuto motivi di natura privatistica le vicissitudini che hanno costretto l’ O. a lasciare la Nigeria.
2. La prima censura è infondata.
Questa Corte ha già statuito che “in tema di richiesta di protezione internazionale, l’omissione dell’avvertenza allo straniero in merito alla possibilità di essere sentito dall’organo collegiale, anzichè da un singolo componente della speciale commissione amministrativa territoriale, non dà luogo alla nullità dell’audizione, che è pienamente consentita anche in forma monocratica, a meno che il difetto dell’avvertenza di legge – di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 12, comma 1 bis, – abbia cagionato al richiedente asilo una specifica e sicura lesione dei suoi diritti fondamentali, circostanza che deve essere allegata in modo puntuale, e denunciata in sede di prima impugnazione giurisdizionale” (Cass. 19040 del 2018; conf. Cass. 18718/2019).
Peraltro, come già rilevato da questa Corte (Cass. 17305/2019), il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 12, comma 1 bis, prevede la possibilità, non già l’obbligo per il ricorrente di essere ascoltato dinanzi all’intera commissione, su richiesta dell’interessato. Stante la natura di tale facoltà, non si può dedurre una violazione del diritto di difesa del ricorrente che sia stato ascoltato da un solo membro anzichè dall’intero collegio componente la Commissione territoriale.
Deve escludersi, nella specie, in quanto neanche dedotto, che la audizione svolta sia stata carente in relazione al concreto esercizio del diritto di difesa.
3. La seconda censura è inammissibile perchè propone, peraltro in modo del tutto generico, una rivalutazione dei fatti esaminati insindacabilmente dal giudice del merito, in alternativa a quella eseguita in sentenza (con motivazione ampia ed adeguata), al di fuori dei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5.
La Corte d’appello ha ritenuto generico il racconto del richiedente, in quanto egli, dopo avere descritto le minacce subite da parte del padre della sua fidanzata, di fede mussulmana, non aveva Saputo spiegare “le ragioni per le quali gli sarebbe stata negata la protezione da parte delle autorità del Paese d’origine”.
4. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.
Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020