LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –
Dott. BOTTA Raffaele – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28325/2014 R.G. proposto da:
Enel Produzione S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Giovanni Paisiello 33, presso lo studio “Di Tanno e Associati – Studio Legale Tributario”, rappresentata e difesa dagli avv. ti Enrico Pauletti e Rosamaria Nicastro giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende per legge;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Regionale della Lombardia (Milano), Sez. 33, n. 105/33/13 del 12 novembre 2012, depositata il 7 ottobre 2013, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 novembre 2019 dal Consigliere Dott. Botta Raffaele.
FATTO E DIRITTO
1. La controversia concerne l’impugnazione della rettifica dei valori attribuiti dalla società contribuente nella denuncia DOCFA relativa alla centrale idroelettrica di Monastero in provincia di Sondrio: gli avvisi di accertamento in rettifica, con attribuzione delle relative rendite, erano contestati con separati ricorsi per illegittimità della procedura di accatastamento in violazione dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 336; illegittimità della procedura di accatastamento per difetto dell’autonomia funzionale e reddituale delle opere idrauliche; illegittima inclusione di quest’ultime fra i beni suscettibili di attribuzione di rendita; eccessività delle rendite attribuite. Anche i successivi avvisi di liquidazione erano oggetto di impugnazione;
2. Tutti i ricorsi erano respinti in primo grado. I giudizi di appello erano invece riuniti e i relativi ricorsi introduttivi erano parzialmente accolti con la sentenza in epigrafe, avverso la quale la società contribuente propone ricorso per cassazione con quattro motivi. Resiste l’amministrazione con controricorso;
3. Con i primi tre motivi di ricorso, che possono esser esaminati congiuntamente, la società contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione: a) della L. n. 331 del 2004, art. 1, comma 336, perchè nella specie non sarebbero stati esistenti i presupposti per avviare quella speciale procedura; b) del R.D. n. 1572 del 1931, art. 18 e del R.D. n. 1775 del 1933, artt. 45 e s.s. in quanto le opere idrauliche valorizzate nell’accertamento erano gestite in concessione per sfruttamento della risorsa idrica e non potevano quindi esser ricompresi tra i beni suscettibili di attribuzione della rendita catastale; c) del R.D.L., art. 5, in quanto ad avviso della ricorrente nessun reddito può essere riconosciuto alle opere idrauliche;
4. Si tratta di censure infondate in quanto secondo l’orientamento di questa Corte “in tema di classamento di immobili e con riferimento all’attribuzione della rendita catastale alle centrali idroelettriche, il D.L. 31 marzo 2005, n. 44, art. 1 quinquies, convertito dalla L. 31 maggio 2005, n. 88 (che fornisce l’interpretazione autentica del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, art. 4, convertito dalla L. 11 agosto 1939, n. 1249), includendo nella stima gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili caratterizzati da una connessione strutturale con l’edificio, tale da realizzare un unico bene complesso, e prescindendo dalla transitorietà di detta connessione nonchè dai mezzi di unione a tal fine utilizzati, impone di tener conto, nel calcolo della rendita, anche del valore delle turbine e delle opere idrauliche di superficie e di sottosuolo, che configurano elementi essenziali della centrale, non separabili senza una sostanziale alterazione del bene” (Cass. n. 3500 del 2015; in senso conforme Cass. 3277 del 2019);
5. Con il quarto motivo di ricorso, la parte ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, per questo intendendo il supposto omesso esame di una serie di documenti depositati in atti come “mezzi probatori”;
6. Il motivo non è fondato. Invero “l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. n. 27415 del 2018), come è accaduto nel caso di specie in cui il giudicante, proprio sulla base degli elementi apportati dalla società contribuente, ha deciso di rettificare i valori accertati dall’Ufficio, applicando motivatamente specifici coefficienti di abbattimento;
7. Pertanto il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente alle spese della presente fase del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese della presente fase del giudizio che liquida in complessivi Euro 6.000,00 oltre spese forfettarie e oneri di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2019.
Depositato in cancelleria il 15 gennaio 2020