LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2858-2019 proposto da:
M.Y., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINO NOVELLO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI SIRACUSA;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di CALTANISSETTA, depositato il 29/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 22/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Caltanissetta, con decreto n. 2491/2018, ha respinto la richiesta di M.Y., cittadino pakistano, a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.
In particolare, i giudici del Tribunale hanno rilevato che: la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, a causa del timore di essere ucciso da un gruppo di terroristi talebani, dopo che egli li aveva denunciati alla Polizia, sventando un attentato) presentava diverse lacune e contraddizioni; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, la zona di provenienza del richiedente, il Kashmir, non era interessata da violenza indiscriminata o conflitti interni (secondo il rapporto EASO 2017); non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo, stante l’inattendibilità del racconto del richiedente, ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero e considerato che nel Paese d’origine viveva comunque la sua famiglia, cosicchè lo stesso, in caso di rimpatrio, non sarebbe rimasto privo del tutto di riferimenti.
Avverso il suddetto decreto, M.Y. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva).
E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380 – bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente lamenta: con il primo motivo, la violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per avere il Tribunale ritenuto non credibile il racconto del richiedente e per non avere adeguatamente adempiuto al proprio dovere di integrazione probatoria officiosa; con il secondo motivo la violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per non avere il giudice di primo grado riconosciuto la protezione sussidiaria all’odierno ricorrente, pur in presenza dei presupposti previsti dalla legge; con il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32, per non avere il tribunale riconosciuto, all’odierno ricorrente, il permesso di soggiorno per motivi umanitari.
2. La prima censura è inammissibile.
Il Tribunale ha ritenuto del tutto generico il rischio allegato, sia ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato sia ai fini della protezione sussidiaria, valutato anche il contesto attuale del paese d’origine.
Vero che nella materia in oggetto il giudice ha il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534); ma il Tribunale ha attivato il potere di indagine nel senso indicato.
Inoltre, da ultimo si è ulteriormente chiarito (Cass. 27593/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (cfr. Cass. 27503/2018 e Cass. 29358/2018).
In sostanza, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la cooperazione istruttoria consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata, cosicchè solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. 17069/2018; Cass. 29358/2018).
3. La seconda censura è del pari inammissibile.
Il motivo contiene una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione dal Tribunale territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento.
Il ricorrente ha dichiarato di provenire dal Pakistan e l’accertamento officioso in ordine alla situazione esistente in tale zona di provenienza è stato fatto dal Tribunale, sulla base del rapporto Easo del 2017.
Il Tribunale infatti ha ritenuto che doveva escludersi l’esistenza dei presupposti per accordare la protezione sussidiaria, con motivazione coerente ed esaustiva, rilevando che l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine escludevano il diritto alla protezione invocato.
Si tratta di una valutazione in fatto, della quale il ricorrente si limita a sollecitare un diverso apprezzamento.
La motivazione del provvedimento impugnato risulta invece congrua ed immune da vizi poichè, da un lato, contiene l’esame della situazione esposta dal richiedente, cittadino del Pakistan, e dei motivi per cui non è stato ritenuto credibile; dall’altro, fa corretto governo dei principi elaborati da questa Corte in materia di riconoscimento della protezione sussidiaria.
4. Il terzo motivo è infondato. L’omessa pronuncia è all’evidenza insussistente, avendo il Tribunale espressamente respinto la relativa richiesta, ed il ricorrente non prospetta neppure alcuna situazione di vulnerabilità, già allegata nel merito e non tenuta in considerazione dal Tribunale.
5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
PQM
La Corte respinge il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020