Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.610 del 15/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1356/13 R.G. proposto da:

C.A., C.F. e C.M.G., in qualità di eredi di C.F., tutti rappresentati e difesi, giusta procura a margine del ricorso, dall’avv. Vincenzo Trungadi, con domicilio eletto presso l’avv. Maria Ida Orefice, in Roma, via Circonvallazione Clodia, n. 36, c/o lo Studio legale Vavalà;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria n. 42/4/12 depositata in data 16 maggio 2012 e sul ricorso iscritto al n. 1357/13 R.G. proposto da:

C.A., C.F. e C.M.G., in qualità di eredi di C.F., tutti rappresentati e difesi, giusta procura a margine del ricorso, dall’avv. Vincenzo Trungadi, con domicilio eletto presso l’avv. Maria Ida Orefice, in Roma, via Circonvallazione Clodia, n. 36, c/o lo studio legale Vavalà;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente-

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria n. 43/4/12 depositata in data 16 maggio 2012 udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 novembre 2019 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

RILEVATO

che:

C.F., secondo quanto emerge dalle sentenze impugnate, ricorreva, con separati ricorsi, avverso gli avvisi di accertamento, relativi agli anni d’imposta 2001 e 2002, con i quali l’Amministrazione finanziaria aveva recuperato maggiore IRPEF, dinanzi alla Commissione provinciale che, con distinte pronunce, li accoglieva parzialmente.

Le impugnazioni, separatamente proposte dal contribuente, venivano rigettate dall’adita Commissione regionale della Calabria.

I giudici regionali rilevavano, in particolare, che i motivi di appello formulati riflettevano dubbi già sollevati in primo grado e ampiamente chiariti dalla Commissione provinciale, dato che l’Amministrazione finanziaria poteva legittimamente accertare in via sintetica il reddito in presenza di indici rivelatori come i rilevanti incrementi patrimoniali riscontrati nel caso di specie; sottolineava altresì che i giudici di primo grado avevano fornito convincente motivazione che il ricorrente non avesse fornito la prova contraria della provenienza non reddituale dei medesimi incrementi patrimoniali.

Riteneva, quindi, che quanto deciso in primo grado era in linea con il libero convincimento del primo giudice che aveva “controllato l’attendibilità estrinseca e la concludenza della documentazione prodotta dal contribuente, pervenendo ad una decisione motivata e corretta”.

C.A., C.F. e C.M.G., nella qualità di eredi di C.F., hanno proposto avverso le suddette decisioni autonomi ricorsi per cassazione, affidandosi a due motivi.

Resiste con separati controricorsi l’Agenzia delle Entrate.

CONSIDERATO

che:

1. Preliminarmente, va disposta la riunione del ricorso iscritto al n. 1357/13 R.G. al ricorso n. 1356/13 R.G., di iscrizione più risalente, in ragione dei profili di connessione oggettiva e soggettiva dei due sottostanti giudizi.

Infatti, l’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 c.p.c., in quanto volto a garantire l’economia ed il minor costo dei giudizi, oltre alla certezza del diritto, risulta applicabile anche in sede di legittimità, in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi, in ossequio al precetto costituzionale della ragionevole durata del processo, cui è funzionale ogni opzione semplificatoria ed acceleratoria delle situazioni processuali che conducono alla risposta finale sulla domanda di giustizia, ed in conformità del ruolo istituzionale della Corte di cassazione, che, quale organo supremo di giustizia, è preposta proprio ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonchè l’unità del diritto oggettivo nazionale (Cass. Sez. U, n. 18125 del 13/09/2005).

2. Passando all’esame dei motivi dei ricorsi, va precisato che essi si presentano identici in entrambi i ricorsi.

3. Con il primo motivo i ricorrenti censurano la decisione gravata per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Sottolineando che nel giudizio di appello avevano eccepito l’erroneità della sentenza di primo grado perchè i giudici, esaminando la documentazione prodotta a conforto di quanto esposto nel ricorso introduttivo, non avevano indicato con chiarezza quella ritenuta inidonea a superare la presunzione di legge, lamentano che i giudici d’appello non hanno spiegato di quali somme e di quali documenti si deve tenere conto ai fini della decisione e da quali si deve prescindere, ma si sono limitati a confermare la sentenza di primo grado con una enunciazione di principio che prescinde dal caso concreto, nè hanno considerato che i fatti addotti sin dal primo grado di giudizio non sono stati contestati dall’Ufficio e, pertanto, devono ritenersi provati e che, in ogni caso, la documentazione prodotta dimostra il possesso di redditi esenti pari a quasi il doppio del valore contestato dall’Agenzia come spese per incrementi patrimoniali.

Assumono, quindi, che se i giudici di primo grado avessero correttamente valutato le risultanze probatorie acquisite agli atti, avrebbero accertato che era stata dimostrata l’illegittimità dell’accertamento impugnato, avendo il contribuente provato di avere, unitamente al coniuge, la disponibilità di redditi esenti per un totale di Euro 639.013,40 a fronte di spese per incrementi patrimoniali, nel periodo 2000-2004, per Euro 350.284,00.

4. Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 e art. 35, comma 3, e degli artt. 112 e 277 c.p.c., ribadiscono che la documentazione prodotta avrebbe dovuto condurre all’integrale annullamento dell’accertamento impugnato e che, in ogni caso, in primo grado, sia pure in linea subordinata, era stata richiesta la riduzione dell’imponibile accertato e la disapplicazione delle sanzioni.

I giudici di secondo grado avrebbero quindi dovuto sostituire alla dichiarazione del contribuente ed alla pretesa dell’Ufficio la determinazione giudiziale del quantum dovuto.

5. Il primo motivo è fondato, con assorbimento del secondo motivo.

5.1. Occorre premettere che costituisce orientamento consolidato quello per cui “in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cosiddetto redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, giacchè codesti restano individuati nei decreti medesimi. Ne consegue che è legittimo l’accertamento fondato sui predetti fattori-indice, provenienti da parametri e calcoli statistici qualificati, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione sull’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore” (Cass. n. 9539 del 19 aprile 2013; Cass. n. 5365 del 7 marzo 2014; Cass. 10 agosto 2016, n. 16912; Cass. 31 ottobre 2018, n. 27811).

Si è altresì affermato, con riferimento alla determinazione sintetica del reddito complessivo netto in base ai coefficienti presuntivi individuati dai decreti ministeriali, che la prova contraria ammessa dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, richiedendo la dimostrazione documentale non solo della sussistenza di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche del possesso di tali redditi da parte del contribuente, implica un riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero nucleo familiare, per tale intendendosi esclusivamente la famiglia naturale, costituita dai coniugi conviventi e dai figli (Cass. n. 5364 del 2014 cit.).

5.2. L’assunto dei ricorrenti muove dall’esatto rilievo che, a fronte delle presunzioni di reddito scaturenti dall’accertamento sintetico, il contribuente può fornire la prova contraria, che deve essere sottoposta a verifica da parte del giudice nella sua complessità, senza ricorrere ad affermazioni generiche e sommarie.

Tale accertamento spetta esclusivamente al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se risulti sufficientemente motivato.

5.3. Nella sentenza impugnata la Commissione regionale, dopo avere precisato che l’Amministrazione finanziaria può legittimamente accertare sinteticamente il reddito del contribuente in presenza di spese per rilevanti incrementi patrimoniali, afferma in maniera apodittica che, “quanto accertato e deciso nel primo grado del giudizio è in linea con il libero convincimento del giudice nella prudente valutazione delle prove” e che “nel caso trattato, contrariamente a quanto genericamente e erroneamente sostenuto dall’appellante, il primo Giudice ha controllato l’attendibilità estrinseca e la concludenza della documentazione prodotta dal contribuente, pervenendo così ad una decisione motivata e corretta”.

Così argomenta, tuttavia, senza alcun concreto riferimento al materiale probatorio prodotto dal contribuente al fine di contrastare l’accertamento sintetico e senza illustrare le ragioni per cui abbia ritenuto, concordemente a quanto ritenuto dai giudici di primo grado, che il contribuente non avesse fornito “appieno” la prova contraria della provenienza non reddituale degli incrementi patrimoniali.

Tutto ciò comporta che il contenuto decisorio risulta inidoneo a individuare il percorso argomentativo seguito dalla Commissione regionale per la formazione del suo convincimento e, di conseguenza, non consente di effettuare un controllo sull’operato dei giudici (Cass. Sez. U, n. 16599 del 5/8/2016).

Ed infatti l’accertamento delle prove fornite e la loro valutazione devono essere sorretti, in sentenza, da una motivazione immune da vizi e, in particolare, da una motivazione sufficiente e, al fine di verificare la sufficienza della motivazione, è necessario accertare se, in relazione ad un determinato oggetto, la sentenza sia fornita, oltre che del contenuto di specie statico, cioè del giudizio come risultato dell’attività dell’acquisizione della conoscenza intorno all’oggetto, di un adeguato contenuto di specie dinamico, cioè della narrazione del passaggio del giudice dalla condizione iniziale di ignoranza alla condizione finale di conoscenza espressa nel giudizio.

In altri termini, il giudice tributario non può limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perchè questo è il solo contenuto “statico” della decisione, ma deve anche descrivere il processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione d’iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto “dinamico” della decisione stessa (Cass. 23 gennaio 2006, n. 1236; Cass. n. 15964 del 29 luglio 2016; Cass. n. 32980 del 20 dicembre 2018).

La Commissione regionale, partendo da considerazioni estremamente generiche, conclude, con un salto logico-giuridico assoluto, per l’infondatezza della tesi difensiva del contribuente omettendo di esplicitare qualsiasi riferimento ai riscontri offerti, che vengono in modo autosufficiente richiamati nel ricorso per cassazione.

Ne discende che, essendo la motivazione sufficiente solo se è munita sia di contenuto di specie dinamico sia di contenuto di specie statico, quella formulata dalla Commissione regionale nella sentenza in questa sede impugnata è sicuramente insufficiente, risultando pretermesso l’esame di diversi decisivi elementi di fatto, individuati in modo puntuale dal ricorrente in seno al mezzo di impugnazione, che avrebbero potuto condurre ad una diversa decisione, e precisamente 1) la riscossione nell’anno 1999 di titoli Fondo Gener Comit per Euro 24.089,34 2) nell’anno 2002 la vendita di immobile con l’atto del 12 luglio 2002 mod. 69 serie IV n. 1523, nel quale lo stesso contribuente figurava quale dante causa (venditore) e non quale avente causa (compratore), per cui il prezzo pagato per l’acquisto (Euro 31.000,00) non poteva essere considerato indice di capacità contributiva, nonchè la concessione di un fido e la riscossione di titoli postali della moglie 3) nell’anno 2003 la vendita di un bene ereditario e l’incasso di un libretto postale intestato alla moglie 4) nell’anno 2004 l’incasso da fondo monetario Euro Nextra, la concessione di un fido bancario, nonchè prelevamenti su libretto di risparmio BCI 5) nell’anno 2005 l’accensione di un mutuo per Euro 204.800,00.

6. In conclusione, va accolto il primo motivo dei ricorsi, assorbito il secondo, con conseguente cassazione delle sentenze impugnate e rinvio alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione, perchè proceda a nuovo esame e provveda alla regolamentazione delle spese dei giudizi di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, riunito al presente il ricorso iscritto al n. 1357/13 R.G., accoglie, quanto al ricorso n. 1356/13 R.G., il primo motivo del ricorso e dichiara assorbito il secondo motivo; quanto al ricorso n. 1357/13 R.G., accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbito il secondo motivo; cassa le sentenze impugnate e rinvia le cause alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese dei giudizi di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 15 gennaio 2020

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