LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4433/2018 proposto da:
O.R., nato in *****, elettivamente domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Claudia Petrini;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di TRIESTE, depositato il 23/12/2017;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO.
FATTI DI CAUSA
1. – O.R., cittadino nigeriano, chiese il rinnovo della protezione umanitaria già accordatagli in data 8/3/2012.
La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Gorizia rigettò la sua istanza, in ragione di una sentenza penale di patteggiamento della pena inerente ad un reato in materia di stupefacenti.
Con decreto del 23/12/2017, emesso ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis il Tribunale adito confermò il provvedimento della Commissione territoriale.
3. – Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso O.R. sulla base di due motivi.
Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo, si deduce (ex art. 360 c.p.c., n. 3), la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 per avere il Tribunale omesso di valutare la situazione di vulnerabilità del richiedente ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.
Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.
Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, nella disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (applicabile ratione temporis – secondo quanto statuito da Cass., Sez. Un. 29459 del 13/11/2019 – per essere stata la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno proposta prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018, che ne ha sostituito il testo), costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso (Cass., Sez. 1, n. 13096 del 15/05/2019; Sez. 6 – 1, n. 23604 del 09/10/2017). Ha precisato questa Corte che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma caso per caso, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario considerare la specificità della condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente, da valutarsi anche in relazione alla sua situazione psicofisica attuale ed al contesto culturale e sociale di riferimento (Cass., Sez. 1, n. 13088 del 15/05/2019).
Il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari non può, pertanto, essere riconosciuto al cittadino straniero considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia oppure il contesto di generale e di non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass., Sez. 6 – 1, n. 17072 del 28/06/2018); essendo invece necessario operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine in raffronto alla situazione di integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale (Cass., Sez. Un., n. 29459 del 13/11/2019; Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018).
Nella specie, non sussistono le dedotte violazioni di legge, avendo la Corte territoriale puntualmente valutato la situazione del richiedente ed escluso la condizione di vulnerabilità dello stesso avuto riguardo alla sua situazione personale e a quella del paese di provenienza.
Invero il Tribunale per un verso ha chiarito che il richiedente non ha allegato alcunchè di specifico in punto di sussistenza di una ragione umanitaria per la sua permanenza in Italia e, per altro verso, ha sottolineato la mancata allegazione di elementi di fatto da cui possa rilevarsi la sua situazione di vulnerabilità, escludendo peraltro sulla base di appositi report internazionali – che la situazione del territorio della Nigeria dal quale proviene il richiedente sia tale rendere rischioso il suo rientro in patria.
La valutazione del Tribunale appare conforme a diritto, e prescinde dalla valutazione della natura ostativa o meno del reato per il quale il medesimo è stato condannato.
2. – Col secondo motivo, si deduce (ex art. 360 c.p.c., n. 3), la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 3, per avere il Tribunale ritenuto l’automatismo della causa ostativa derivante dalla sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. pronunciata nei confronti del richiedente per reati inerenti agli stupefacenti.
Il motivo è inammissibile, per carenza di interesse, in quanto non attacca una ratio decidendi autonoma che regge la sentenza impugnata, scrutinata nel precedente par. 1, avendo il Tribunale innanzitutto proceduto ad un accertamento in concreto della vulnerabilità del richiedente ed escluso la sussistenza delle ordinarie condizioni di legge per accedere al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.
Questa Corte ha peraltro affermato che la commissione di uno dei reati (nella specie, in materia di stupefacenti) previsti dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 4, comma 3, da parte del cittadino straniero presente nello Stato, integra una condizione impeditiva al rilascio del permesso di soggiorno (Cass., Sez. 1, n. 13972 del 24/06/2011); e la Corte costituzionale ha avuto occasione di confermare la legittimità costituzionale del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 4, comma 3, e art. 5, comma 5 “nella parte in cui fanno derivare automaticamente il rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno del cittadino extracomunitario dalla pronuncia, nei suoi confronti, di una sentenza di condanna per uno dei reati per i quali l’art. 381 c.p.p. prevede l’arresto facoltativo in flagranza, senza consentire che la pubblica amministrazione provveda ad accertare che il medesimo rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato” (Corte Cost., sent. n. 277 del 2014).
Anche la censura mossa avverso la seconda ratio decidendi autonoma che regge la pronuncia impugnata risulta, pertanto, inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.
3. – Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
4. – Sussistono i presupposti processuali perchè la parte ricorrente versi – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – un ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 (duemilacento) per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 20 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020