LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
S.A., elettivamente domiciliato in Foggia, Via da Zara n. 3, presso lo studio dell’avvocato Vittorio Sannoner che lo rappresenta e difende in giudizio per procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, (cf *****), domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ex lege;
– controricorrente –
avverso il decreto n. 2369/18 del Tribunale di Bari, depositato il 7/3/18;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/11/2019 dal consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.
OSSERVA p. 1. S.A., n. a *****, (ammesso al patrocinio a spese dello Stato), propone tre motivi di ricorso per la cassazione del decreto n. 2369 del 7.3.18, con il quale il Tribunale di Bari – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea – ha respinto, nella costituzione del Ministero dell’Interno, il ricorso da lui proposto avverso la decisione della competente Commissione Territoriale di rigetto della sua istanza di protezione internazionale: status di rifugiato o, in subordine, protezione sussidiaria o permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Il Tribunale, previa ricostruzione dei tratti salienti della disciplina giuridica della protezione internazionale nelle sue varie articolazioni, ha in particolare rilevato che:
infondata era la domanda principale di riconoscimento dello status di rifugiato (art. 10 Cost.; L. n. 722 del 1954 di ratifica della Conv.Ginevra 28.7.51; Dir.CE 2004/83; D.Lgs. n. 251 del 2007), dal momento che i fatti narrati dal richiedente (ancorchè probatoriamente valutati secondo i criteri di cui D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 1 cit.) non riguardavano persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale, sicchè non potevano integrare gli estremi di cui all’art. 1 Conv.cit. ed al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e);
neppure sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)), dal momento che: a) il richiedente aveva dichiarato, avanti alla Commissione, di provenire dal Dipartimento di Bignona-Casamance (Senegal), di aver lasciato il suo Paese per paura di essere ucciso dai ribelli presenti in zona e da suo fratello, i quali pretendevano che si arruolasse tra le loro fila; nel 2013, a causa del suo rifiuto, era stato picchiato e sequestrato ma, riuscito a fuggire, era tornato a casa ed aveva ripreso gli studi; nel 2016 suo fratello aveva nuovamente preteso che egli si arruolasse tra i ribelli e, per questo motivo, era stato costretto a seguire questi ultimi, venendo rinchiuso in una stanza dalla quale era stato fatto fuggire da un compagno; decideva quindi di non tornare a casa, ma di giungere in Italia attraverso la Libia. Questo racconto appariva generico, inattendibile e contraddittorio, “non essendo plausibile che lo stesso, scappato nel 2013 dal luogo dove era rinchiuso dai ribelli ovvero presumibilmente dal campo di addestramento e rifugio dei combattenti, possa avere continuato a vivere tranquillamente nella sua città per anni, completando gli studi, senza che i ribelli e suo fratello si preoccupassero di attentare alla sua vita, nonostante egli fosse %onoscenza del luogo dove si addestravano e rifugiavano. Ancor meno plausibile è che lo abbiano riportato in quei posti, con la forza, solo a distanza di tre anni, in occasione dei festeggiamenti per il Ramadan 2016 allorchè il fratello, incontrandolo casualmente in famiglia, tornò ad insistere per il suo arruolamento. Parimenti inverosimile era che il ricorrente fosse stato lasciato da solo durante la sua breve prigionia e che nessuno vigilasse, tanto che il suo amico, senza alcuna difficoltà, potè liberarlo consentendogli la fuga. A suo dire, nemmeno il fratello venne a sapere della sua fuga. Le sue dichiarazioni appaiono quindi meramente strumentali stereotipate, illogiche e contraddittorie”; b) da primarie fonti informative (Freedom House, COI 2016-2017 EASO, MFDC) risultava che la regione di provenienza del richiedente (*****) si fosse ormai stabilizzata; in Senegal erano presenti episodi di banditismo, però localizzati in aree di frontiera con *****, oltre che un conflitto classificato di bassa intensità e con episodi sporadici; ciò anche in considerazione della politica stabilizzatrice adottata dar presidente Macky Sali; tutto questo imponeva di escludere che sussistessero i presupposti di concessione della misura;
quanto alla protezione mediante permesso di soggiorno per ragioni umanitarie (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 30, e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6), il richiedente non aveva offerto allegazioni tali da differenziare la sua posizione da quella degli altri concittadini quanto a pregiudizio che egli avrebbe subito in caso di rientro nel paese d’origine; nè era stata offerta alcuna prova, suscettibile di valutazione comparativa, circa la sua integrazione sociale e lavorativa in Italia, tale non essendo la mera produzione di contratti di lavoro di brevissima durata e scaduti.
Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.
p. 2.1 Con i tre motivi di ricorso si deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), rispettivamente, violazione e falsa applicazione:
del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per non avere il tribunale valutato le allegazioni del richiedente secondo i parametri prescritti da questa disposizione quanto, in particolare, a tempestività della domanda di protezione internazionale; massimo sforzo fornito dal richiedente nel circostanziare i fatti narrati; diversità di bagaglio culturale.
Del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) per non avere il tribunale adeguatamente soppesato la grave situazione di violenza generalizzata e non controllata ancora esistente in *****, con speciale riguardo alla zona di provenienza di *****, così come risultante dal rapporto di Amnesty International;
del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 6, per non avere il tribunale residualmente ravvisato quantomeno una situazione di vulnerabilità soggettiva, considerando inoltre il livello di inserimento in Italia così come risultante dall’attività lavorativa di bracciante agricolo svolta nell’anno 2017 (*****).
p. 2.2 I motivi sono infondati.
Per quanto concerne la prima doglianza, il tribunale si è fatto carico dei criteri D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3. comma 5, cit., argomentando il proprio convincimento di inattendibilità (su riportato) attraverso un articolato ragionamento critico, volto ad evidenziare gli specifici punti di radicale inverosimiglianza e contraddittorietà del racconto; tale ragionamento ha tenuto conto dei parametri normativi di valutazione della prova tipici del presente procedimento. Nè risulta violato l’obbligo di cooperazione istruttoria, in quanto non operante in caso – appunto di ritenuta radicale inattendibilità e lacunosità di allegazione (Cass. nn. 16925/18; 11267/19; 4892/19 ed innumerevoli altre).
Piuttosto, si è trattato di una tipica valutazione di merito della situazione rappresentata dal richiedente e della sua incongruità logica, il cui esito – compiutamente motivato – non è rivedibile nella presente sede di legittimità (Cass. nn. 3340/19; 32064/18; 30105/18 ed innumerevoli altre); neppure, d’altra parte, essa è stata censurata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Per quanto concerne la seconda doglianza, il ricorrente non ha tenuto in debito conto il fatto che, al contrario di quanto esposto, il giudizio del tribunale è stato reso proprio con riferimento alla pertinente zona del *****, e sulla base di fonti informative ben individuate e specificamente indicate; anche in tal caso il relativo convincimento, in quanto integrante apprezzamento di fatto, poteva essere censurato solo nei limiti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), vizio qui non dedotto.
Per quanto concerne la terza doglianza, il tribunale ha operato una valutazione comparativa e di inserimento in Italia, sul corretto presupposto che non sia a tal fine sufficiente, a concretare la condizione di vulnerabilità soggettiva riconducibile alla protezione umanitaria, il solo fatto della deteriore situazione nel Paese di origine. Questa conclusione trova recente conferma di legittimità in Cass. SSUU nn. 29459-60-61/2019, secondo cui (sul punto specifico): “In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”.
Nel caso di specie, il giudice di merito ha applicato proprio questo criterio comparativo, infine addivenendo al convincimento di inidoneità del solo elemento dell’attività lavorativa come bracciante agricolo prestata dal richiedente nel 2017 a fungere quale elemento di riscontro di effettivo inserimento ed integrazione in Italia.
Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente alle spese di lite, liquidate come in dispositivo.
Con riguardo all’istanza depositata dal difensore del ricorrente nella quale, allegandosi il provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, è stata chiesta la liquidazione delle spese e degli onorari per l’attività difensiva svolta nel presente giudizio (D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 74 segg.), si richiama l’indirizzo di cui in Cass. 22550/16, con ulteriori richiami (competenza del giudice del merito).
PQM
LA CORTE
– rigetta il ricorso;
pone a carico della parte ricorrente le spese del presente procedimento, che liquida in Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito;
– v.to il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;
– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 26 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020