LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4183-2019 proposto da:
T.M.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIO FAA’ DI BRUNO 15, presso lo studio dell’avvocato MARTA DI TULLIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONE DI SIRACUSA;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di CALTANISSETTA, depositato il 24/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa IOFRIDA GIULIA.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Caltanissetta, con decreto n. 2696/2018, ha respinto la richiesta di T.M., cittadino pakistano, a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.
In particolare, i giudici del Tribunale hanno rilevato che: la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, a causa del timore di essere arrestato, essendo ricercato dalla Polizia dopo avere partecipato ad una manifestazione di protesta del partito JKLF, in cui militava, movimento indipendentista del Kashmir) presentava diverse lacune e contraddizioni; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, la zona di provenienza del richiedente, il Kashmir, non era interessata da violenza indiscriminata o conflitti interni (secondo il rapporto EASO 2017 e 2018); non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero.
Avverso il suddetto decreto, T.M. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva).
E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.II ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 1 e art. 3, comma 3, lett. a) e b), per avere il Tribunale omesso ogni attività istruttoria, al fine di verificare la veridicità dei fatti esposti dal richiedente in sede di audizione dinanzi alla Commissione territoriale, non procedendo alla valutazione di “tutti i fatti pertinenti il Paese d’origine”; con il secondo motivo, si denuncia poi la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, avendo il Tribunale escluso che ricorressero i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, ritenendo non credibile e generico il racconto, malgrado il richiedente avesse reso dichiarazioni del tutto compatibili con la situazione del Paese d’origine; con il terzo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e art. 4, avendo il Tribunale ritenuto erroneamente, ai fini della chiesta protezione sussidiaria, la zona di provenienza del richiedente non di particolare pericolosità, senza considerare la situazione politico-sociale del Pakistan. 2. Le prime due censure, da trattare unitariamente in quanto connesse, sono inammissibili.
Il Tribunale ha ritenuto del tutto generico il rischio allegato, sia ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato sia ai fini della protezione sussidiaria, valutato anche il contesto attuale del paese d’origine.
Vero che nella materia in oggetto il giudice ha il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534); ma il Tribunale ha attivato il potere di indagine nel senso indicato.
Inoltre, da ultimo si è ulteriormente chiarito (Cass. 27593/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (cfr.Cass. 27503/2018 e Cass. 29358/2018).
In sostanza, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la cooperazione istruttoria consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata, cosicchè solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. 17069/2018; Cass. 29358/2018).
In ogni caso, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività: non solo il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso (si parla, genericamente, del rischio di subire persecuzioni).
Ad ogni modo il ricorrente ha dichiarato di provenire dal Pakistan e l’accertamento officioso in ordine alla situazione esistente in tale zona di provenienza, ai fini della protezione sussidiara D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), è stato fatto dal Tribunale, sulla base del rapporto Easo del 2017-2018.
3. La terza censura è del pari inammissibile.
Il motivo contiene una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione dal Tribunale territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento.
Il Tribunale infatti ha ritenuto che doveva escludersi l’esistenza dei presupposti per accordare la protezione sussidiaria, con motivazione coerente ed esaustiva, rilevando che le minacce a carattere meramente privatistico e l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine escludevano il diritto alla protezione invocato. Il Tribunale invero ha escluso, sulla scorta di fonti ufficiali di conoscenza appositamente menzionate, che la situazione interna fosse in quello Stato caratterizzata da violenza indiscriminata in condizione di conflitto armato. Si tratta di una valutazione in fatto, della quale il ricorrente si limita a sollecitare un diverso apprezzamento.
4. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibie il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.
Depositato in cancelleria il 7 gennaio 2020