LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Nel procedimento n. 19041/18 RG proposto da:
N.J., el. dom.to in Roma, Viale Angelico 38, presso lo studio dell’avv. Roberto Maiorana che lo rappresenta e difende per procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, (cf *****), domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– intimato –
avverso il decreto n. 4042/18 del Tribunale di Bari, depositato il 14.5.18;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/11/2019 dal consigliere Dott. Giacomo Maria Stalla.
OSSERVA p. 1. N.J., n. il 15.3.92 in Nigeria, propone quattro motivi di ricorso per la cassazione del decreto n. 4042 del 14.5.18, con il quale il Tribunale di Bari – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea – ha respinto, nella costituzione del Ministero dell’Interno, il ricorso da lui proposto avverso la decisione della competente Commissione Territoriale di rigetto della sua istanza di protezione internazionale: status di rifugiato o, in subordine, protezione sussidiaria o permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Il Tribunale, previa ricostruzione dei tratti salienti della disciplina giuridica della protezione internazionale nelle sue varie articolazioni, ha in particolare rilevato che:
infondata era la domanda principale di riconoscimento dello status di rifugiato (art. 10 Cost.; L. n. 722 del 1954 di ratifica della Conv.Ginevra 28.7.51; Dir.CE 2004/83; D.Lgs. n. 251 del 2007), dal momento che i fatti narrati dal richiedente (ancorchè probatoriamente valutati secondo i criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 1 e 2 cit.) non riguardavano persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale, sicchè non potevano integrare gli estremi di cui all’art. 1 Conv.cit. ed al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e);
neppure sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)), dal momento che: a) il richiedente aveva dichiarato, avanti alla Commissione, di essere fuggito dal proprio paese d’origine (*****) nell’aprile 2012 (giungendo in Italia attraverso il Niger e la Libia) a seguito di vicende personali e familiari che l’avevano visto: – perseguitato e maltrattato dal patrigno che lo riteneva responsabile (in quanto considerato fin da piccolo uno stregone) della morte, nel parto, della madre e del nascituro; – intrattenere un rapporto omosessuale con un minore, da lui erroneamente creduto maggiorenne; dapprima ristretto nella prigione del palazzo a causa di rapporti omosessuali da lui intrattenuti e, quindi, di essere stato liberato dal principe impietositosi per la sua giovane età, e su promessa di non fare più ritorno nel luogo d’origine. Questo racconto doveva ritenersi inattendibile, incoerente e contraddittorio (decreto, pag. 3), segnatamente per quanto concerneva le modalità della morte della madre e della liberazione dalla prigionia per opera del principe; inoltre, il richiedente avrebbe realizzato una violenza sessuale su minore penalmente perseguibile nel paese d’origine con conseguente venir meno dei presupposti della protezione internazionale, trattandosi di reato contrario allo scopo ed ai principi delle Nazioni Unite (convenzione di Ginevra 1951, art. 1 lett. F; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 10); b) da primarie fonti informative (Human Rights Watch, MAE *****, Amnesty International 2016 2017, EASO giugno 2017) risultava che la regione di provenienza del richiedente (*****) presentasse possibilità di episodici scontri etnici legati al controllo dei giacimenti petroliferi, pur tuttavia si trattava di episodi repressi dal governo nigeriano e di portata non generalizzata, sicchè andava escluso che sussistesse per la persona, in ragione della sua sola provenienza geografica, un pericolo reale da conflitto armato e violenza indiscriminata;
quanto alla protezione mediante permesso di soggiorno per ragioni umanitarie (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 30 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6), non sussistevano solidi elementi di integrazione sociale in Italia (non rilevando lo svolgimento di lavori socialmente utili nè tantomeno il semplice attestato di partecipazione ad un corso di lingua italiana); neppure rilevava lo stato di salute del richiedente, dal momento che questi era stato ricoverato in ospedale per problemi cardiaci oltre un anno prima e senza necessità di alcuna terapia specifica.
Nessuna attività difensiva è stata posta in essere in questa sede dal Ministero degli Interni.
p. 2.1 Con i quattro motivi di ricorso si deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 3:
(primo motivo) errato esame circa un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalle condizioni di pericolosità e di violenza generalizzata esistenti in Nigeria. In particolare, contraddittorio sarebbe il ragionamento del tribunale che, da un lato, non ha escluso l’esistenza nell’area del delta del Niger di episodici scontri etnici e politici, salvo poi affermare che il ricorrente, in caso di ritorno in patria, non avrebbe corso alcun pericolo.
(secondo motivo) omesso/errato esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla commissione territoriale e relative allegazioni in giudizio, dalle quali doveva desumersi, ai fini della protezione sussidiaria, lo stato di debolezza che caratterizzava il richiedente, anche in base alle pregresse vicissitudini familiari ed allo stato di violenza e discriminazione generalizzata che, nel paese di provenienza, l’avrebbe posto in pericolo pur in assenza di un coinvolgimento personale specifico;
(terzo motivo) mancata concessione della protezione sussidiaria in ragione delle attuali condizioni sociopolitiche del paese di provenienza, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 così come attestate, in contrasto con quanto opinato dal primo giudice, dalle dettagliate informative Amnesty International, Easo, MAE, UNEP-NU;
(quarto motivo) erronea esclusione di permesso umanitario D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6 e ex art. 19 nonostante la giovane età del richiedente, il suo avvenuto inserimento in Italia, le difficilissime condizioni socioeconomiche e la ridottissima aspettativa di vita (53 anni) della Nigeria.
p. 2.2 Le doglianze non possono trovare accoglimento.
Il primo motivo di ricorso risulta finanche inammissibile, in quanto incentrato su un asserito errato esame fattuale di per sè non rilevante ai fini della richiesta cassazione; là dove occorreva invece eventualmente configurare un omesso esame adeguatamente censurato, però, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – e non n. 3) -.
Ad ogni modo, il motivo – quand’anche così riqualificato – risulta infondato, perchè il tribunale ha esaminato il fatto decisivo costituito dalle condizioni di pericolosità e di violenza generalizzata esistenti in Nigeria, argomentando il proprio convincimento – con indicazione delle fonti informative utilizzate – circa l’inesistenza di un pericolo per il solo fatto della presenza sul territorio; non vi è del resto stata alcuna logica contraddizione, quanto una valutazione bilanciata e mirata sulla regione di pertinenza (le cui problematiche di sicurezza, pur non disconosciute in assoluto, non sono state tuttavia ritenute rilevanti ai fini di causa).
Si recepisce, in proposito, il costante orientamento di legittimità di cui (tra le innumerevoli) in Cass. 9090/19; 11103/19, con richiamo a CGUE 30 gennaio 2014, C-285/12; 18 dicembre 2014, C-542/13. Indirizzo interpretativo al quale il tribunale si è conformato, così da escludere la paventata violazione di legge.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso – suscettibili di trattazione unitaria per la stretta connessione delle questioni giuridiche da essi poste – sono infondati.
Osserva il tribunale (decr. pag. 4), nell’escludere la possibilità di ogni forma di protezione D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 10: “il richiedente non ha nascosto durante l’intervista il suo modo di intendere la sessualità tra persone adulte e bambini: visto che lo con questo bambino quando avevo i soldi gli prendevo delle cose, lui è piaciuto a me ed lo sono piaciuto a lui. E’ qualcosa che mi piace”.
Il tribunale ha dunque fatto applicazione di quanto stabilito dalla disposizione da ultimo citata, secondo cui: “(…) 2. Lo straniero è altresì escluso dallo status di rifugiato ove sussistono fondati motivi per ritenere: (…) b) che abbia commesso al di fuori del territorio italiano, prima di esservi ammesso in qualità di richiedente, un reato grave ovvero che abbia commesso atti particolarmente crudeli, anche se perpetrati con un dichiarato obiettivo politico, che possano essere classificati quali reati gravi. La gravità del reato è valutata anche tenendo conto della pena prevista dalla legge italiana per il reato non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni; c) che si sia reso colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite, quali stabiliti nel preambolo e negli artt. 1 e 2 della Carta delle Nazioni Unite”.
Ai fini della protezione sussidiaria rileva l’analogo regime di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 16.
Va del resto rilevato come questa specifica ratio decisoria (pedofilia dichiarata e sua rilevanza ostativa ex lege) non sia stata neppure censurata in ricorso.
Infondato è anche il quarto motivo.
Il tribunale ha operato una valutazione comparativa e di inserimento in Italia, non essendo sufficiente, ad integrare la condizione di vulnerabilità, il solo fatto della deteriore situazione nel paese di origine Rileva, sul punto specifico, la recente conferma di legittimità di cui in Cass. SSUU nn. 29459-60-61/2019: “In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”.
Il tribunale ha inoltre argomentatamente escluso – con tipica delibazione fattuale – che la condizione di vulnerabilità soggettiva fosse in concreto riconducibile allo stato di salute (problemi cardiaci non necessitanti di specifica terapia) ed alla impossibilità di cura nel paese di appartenenza.
Ne segue il rigetto del ricorso. Nulla si provvede sulle spese, stante la mancata partecipazione al giudizio del Ministero.
P.Q.M.
LA CORTE
– rigetta il ricorso;
– v.to il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;
dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello spettante per il ricorso principale, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 26 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020