Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.66 del 07/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4785-2019 proposto da:

A.K.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO II 4, presso lo studio dell’avvocato ARTURO SALERNI, rappresentato e difeso dall’avvocato FULVIO TUTTOLOMONDO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di PALERMO, depositata il 17/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

FATTI DI CAUSA

Il Giudice di Pace di Palermo, con ordinanza n. 816/2018, ha respinto l’opposizione di A.K.B.” cittadino del Ghana, avverso il decreto di espulsione dell’11/8/2018 emesso dal Prefetto di Palermo, rilevando che il provvedimento impugnato risultava comunque essere stato tradotto in lingua inglese, una delle lingue indicate dall’art. 13 T.U.I., oltre che in italiano, e che ricorrevano i presupposti di cui al T.U.I., D.P.R. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. b), in quanto lo straniero risultava essersi trattenuto nel territorio dello Stato senza avere chiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto (essendo il permesso di soggiorno per lavoro autonomo scaduto).

Avverso la suddetta ordinanza, A.K.B., propone ricorso per cassazione, notificato a mezzo PEC il 10/2/2019, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che si costituisce al solo fine di partecipare all’eventuale udienza pubblica), E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la mancata valutazione del fatto che il termine per la presentazione di domanda di rinnovo del permesso di soggiorno non è perentorio, nonchè la violazione del D.P.R. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. b), travisamento dei fatti, carenza ed illogicità manifesta della motivazione ed omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, non avendo il Giudice di pace verificato la posizione specifica dello straniero, essendo la tardiva presentazione della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno soltanto “un indice rivelatore nel quadro della valutazione complessiva della situazione personale in cui versa il ricorrente”; con il secondo motivo, si lamenta poi la mancata valutazione del vizio di mancata traduzione del provvedimento di espulsione del ricorrente, nonchè la violazione dell’art. 13 T.U.I, travisamento dei fatti, carenza ed illogicità manifesta della motivazione ed omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, laddove la lingua parlata dallo straniero, l’unica lingua a lui nota, tipica della Regione del Ghana, era il dialetto “efutu twi” ed essa era “facilmente suscettibile di essere posta alla base di un provvedimento espulsivo informatizzato”.

2. La prima censura è inammissibile.

La pronuncia del Giudice di Pace, investito del solo controllo della legittimità del provvedimento a carattere vincolato (Cass. 12976/2016; Cass. 5467/2016; Cass. 22606/2015; Cass. 17408/2015), è motivata sulla piena legittimità del decreto di espulsione del Prefetto, avendo rilevato che il Prefetto aveva accertato l’illegittima presenza del ricorrente sul territorio nazionale.

Il ricorrente, quanto al primo motivo, aveva l’onere – non assolto nella specie – di indicare specificamente le critiche avverso la causa espulsiva contestata dal Prefetto, confermata o modificata o sostituita con altra dal giudice di Pace, risultando altrimenti il motivo di ricorso inammissibile.

3. La seconda censura è invece fondata.

Il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, prevede che la notifica del decreto di espulsione all’interessato è effettuata ai sensi del Regolamento, art. 3, commi 3 e 4, emanato con D.P.R. n. 394 del 1999, il quale prevede che il provvedimento doveva essere comunicato allo straniero, mediante consegna a mani proprie o notificazione del provvedimento scritto e motivato, contenente l’indicazione delle eventuali forme di impugnazione, effettuate con modalità tali da assicurare la riservatezza del contenuto dell’atto, e debba essere accompagnato, se lo straniero non comprende la lingua italiana, da una sintesi del suo contenuto, redatta anche mediante appositi formulari sufficientemente dettagliati, in una lingua a lui comprensibile o, se ciò non è possibile per indisponibilità di personale idoneo alla traduzione del provvedimento in tale lingua, in una delle lingue inglese, francese o spagnola, secondo la preferenza indicata dall’interessato.

Questa Corte ha già statuito (Cass.14733/2015; conf. Cass.13323/2018; Cass. 8369/2019) che “è nullo il provvedimento di espulsione tradotto in lingua veicolare per l’affermata irreperibilità immediata di traduttore nella lingua conosciuta dallo straniero, salvo che l’amministrazione non affermi, ed il giudice ritenga plausibile, l’impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità ovvero l’inidoneità di tale testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta”.

In tema di espulsione amministrativa dello straniero, grava, invero, sull’amministrazione l’onere di provare l’eventuale conoscenza della lingua italiana o di una delle lingue c.d. veicolari da parte del destinatario del provvedimento di espulsione, quale elemento costitutivo della facoltà di notificargli l’atto in una di dette lingue, ed è compito del giudice di merito accertare in concreto se la persona conosca la lingua nella quale il provvedimento espulsivo sia stato tradotto, a tal fine valutando gli elementi probatori del processo (Cass., 15/05/2018, n. 11887). Si è anche chiarito (Cass. 2953/2019) che ” l’omessa traduzione del decreto di espulsione nella lingua conosciuta dall’interessato, o in quella c.d. veicolare, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, comporta la nullità del provvedimento espulsivo, salvo che lo straniero conosca la lingua italiana o altra lingua nella quale il decreto è stato tradotto, circostanza accertabile anche in via presuntiva e costituente accertamento di fatto censurabile nei ristretti limiti dell’attuale disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5".

Il Giudice di Pace si è limitato a dare atto della traduzione del provvedimento espulsivo in lingua italiana ed in lingua inglese, senza motivare sull’impossibilità, ove dedotta dall’amministrazione, di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità, ovvero l’inidoneità di tale testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta; il giudice di merito non ha riportato le ragioni dell’affermata impossibilità per l’Amministrazione di far predisporre un testo in tale lingua, e soprattutto non vi è accertamento alcuno in concreto, da parte del Giudice di pace, circa l’eventuale conoscenza della lingua veicolare, o della lingua italiana, da parte dello straniero.

4. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del secondo motivo del ricorso, inammissibile il primo, va cassata l’ordinanza impugnata e, decidendo nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, va annullato il provvedimento di espulsione portato davanti al Giudice di Pace di Palermo. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno iquidate, giusta istanza, in favore del procuratore dichiaratosi antistatario.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, inammissibile il primo, cassa l’ordinanza impugnata e, decidendo nel merito, annulla il provvedimento di espulsione portato davanti al Giudice di Pace di Palermo; condanna l’Amministrazione intimata al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, e delle spese di merito, che liquida in Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, con attribuzione al difensore dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 7 gennaio 2020

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