LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23400-2017 proposto da:
D.F.B., M.L., in proprio e per contro della figlia minorenne M.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COURMAYER 79, presso lo studio dell’avvocato GIANFRANCO MAZZULLO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati ENRICO NAMOR, STEFANO SBAIZ VANDELLI;
– ricorrenti –
B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato CORINNA MARZI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIETRO RAGOGNA;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 503/2017 del TRIBUNALE di PORDENONE, depositata il 30/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELE POSITANO.
RILEVATO
che:
con atto di citazione del 28 luglio 2016, B.A. proponeva appello avverso la sentenza del Giudice di pace di Pordenone del 16 febbraio 2016 relativa al giudizio instaurato nei confronti di D.F.B. e M.L., in proprio e per conto della figlia minore M.E.. Il primo giudice aveva accolto la domanda di risarcimento del danno da vacanza rovinata, ai sensi art. 47 del Codice del Turismo, proposta dai genitori della minore, condannando il B. al pagamento della somma di Euro 1000 in favore di ciascuno di essi. I coniugi Maestra avevano dedotto di avere prenotato, presso l’agenzia di viaggi di cui il convenuto era titolare, un soggiorno di tre notti presso un hotel quattro stelle in Trentino Alto Adige, denominato Wiesenhof, in Lagundo (Merano), apprendendo, in un secondo momento, che non vi era stata alcuna prenotazione poichè la stessa si riferiva all’omonimo hotel, ma a tre stelle, situato nella differente località di Sesto in Val Pusteria. Avevano dedotto l’inadempimento di B. per avere effettuato una prenotazione errata pur essendo stata originariamente pattuita la prenotazione presso l’hotel di Merano;
il Giudice di pace aveva accolto la domanda ritenendo configurabile l’ipotesi di danno da vacanza rovinata e determinando il pregiudizio subito in considerazione del servizio differente (la struttura prescelta era classificata quattro stelle e dotata di centro wellness);
il Tribunale di Pordenone, con sentenza del 30 giugno 2017, riteneva fondato il ricorso proposto dal B., rilevando l’applicabilità al caso di specie del D.Lgs. n. 79 del 2011, art. 47, ricorrendo la combinazione dei due elementi dell’offerta ai clienti sia dell’alloggio, che dei servizi accessori, ma escludendo la prova, sia della originaria pattuizione del soggiorno presso la struttura di Merano, sia della sussistenza di un pregiudizio grave e serio patito dall’attore;
avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione D.F.B. e M.L., in proprio e per conto della figlia minore M.E., affidandosi a tre motivi che illustrano con memoria ex art. 380 bis c.p.c..
Resiste con controricorso B., che spiega ricorso incidentale fondato su un motivo.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 1218 c.c., del D.Lgs. n. 79 del 2011, artt. 35, 36, 37,38 e art. 47, del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 35 e dell’art. 1370 c.c., in ordine alla ripartizione dell’onere della prova e all’interpretazione del contratto. In particolare, contrariamente a quanto osservato dal Tribunale, il titolo in base al quale i coniugi Maestra avrebbero agito era certamente rappresentato dal contratto di compravendita di pacchetto turistico e, ai sensi del D.Lgs. n. 79 cit., art. 36 e ss., l’agente di viaggio era obbligato a fornire per iscritto al cliente ogni necessaria indicazione, tra cui l’indirizzo degli alberghi. Sotto altro profilo era onere del venditore, e non degli acquirenti, dimostrare che il contratto presentava le caratteristiche richieste. In ogni caso, il contratto rientrerebbe tra quelli previsti dal Codice del Consumo (D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 35) e, nel dubbio, avrebbe dovuto essere interpretato a favore del consumatore, anche con specifico riferimento al luogo di svolgimento del soggiorno. Al contrario, erroneamente, il giudice di appello pone a carico degli acquirenti l’onere della prova delle specifiche indicazioni originariamente fornite all’agente;
con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2727 c.c., in ordine all’uso delle presunzioni semplici. Il Tribunale nell’identificare il luogo dove avrebbe dovuto essere ubicato l’albergo che l’agente si è impegnato di prenotare, non avrebbe valutato tutti gli elementi che la difesa degli attori aveva sottoposto al giudicante. In particolare, la famiglia Maestra si era recata nei pressi di Merano, e non a Sesto e l’agente di viaggio aveva indicato un parco acquatico per la figlia degli attori, distante da Merano una decina di chilometri e non 130 km da Sesto Moso, e, in una delle e-mail, le parti avrebbero fatto riferimento al dispiacere “per l’equivoco creato”;
con il terzo motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 79 del 2011, art. 47, in tema di risarcimento del danno da vacanza rovinata. Il Tribunale avrebbe erroneamente svilito il pregiudizio subito senza valutare adeguatamente il disappunto e lo stress degli attori i quali, giunti nella serata del 3 gennaio nei pressi di Merano, non avrebbero trovato la stanza prenotata e, nonostante i contatti con l’agente, sarebbero stati costretti a percorrere oltre 150 km di strada disagevole nella giornata successiva, per raggiungere una struttura alberghiera di qualità inferiore rispetto a quella scelta, tanto da decidere successivamente di rientrare a casa. Erroneamente il giudice di appello avrebbe osservato che la famiglia Maestra si sarebbe comunque goduta quasi integralmente la vacanza, trascorsa per la prima notte nell’albergo da loro scelto e che la scelta di rientrare con un giorno di anticipo era stata una determinazione spontanea. Rilevano i ricorrenti che, nel caso di specie, sussisterebbero i due presupposti richiesti dalla giurisprudenza di legittimità: la gravità della lesione e la serietà del pregiudizio, ricorrendo l’ipotesi dell’inadempimento grave ai sensi dell’art. 1454 c.c. (rappresentato dall’errore nella prenotazione dell’albergo) incidente su un periodo di vacanza di soli tre giorni, che ha richiesto spostamenti in auto oltremodo disagevoli, soprattutto per la minore;
con il ricorso incidentale si deduce la nullità della sentenza del Tribunale di Pordenone ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., nella parte in cui il giudice di merito avrebbe omesso di esaminare la domanda restitutoria formulata da B.A.. In particolare in sede di gravame incidentale, sarebbe stata richiesta la condanna degli appellanti “in solido tra loro, alla ripetizione dell’importo di Euro 3000 corrisposto dall’appellante all’esito del giudizio di primo grado”. A seguito dell’impugnazione avversaria, ricorrerebbe l’interesse di B.A. ad ottenere una pronuncia sul punto, poichè la condanna restitutoria non può essere eseguita prima del passaggio in giudicato della sentenza. A tal fine si formula specifica istanza ai sensi dell’art. 384 c.p.c. affinchè, in accoglimento del ricorso incidentale, venga disposta la condanna di D.F.B. e M.L., in proprio e per conto della figlia minore E., alla restituzione in favore di B.A. dell’importo di Euro 3000 corrisposto da quest’ultimo all’esito del giudizio di primo grado;
preliminarmente va rilevato che il ricorso è stato proposto nei termini. Parte ricorrente deduce che la sentenza del 30 giugno 2017 sarebbe stata notificata in data 4 luglio 2017, senza allegare la prova della notificazione della sentenza. Il ricorso, notificato in data 29 settembre 2017, supera -però- la prova di resistenza rispetto alla data di deposito della sentenza del Tribunale;
l’esame del terzo motivo risulta preliminare. La censura è inammissibile. Sebbene formalmente prospettato quale violazione di legge, il motivo consiste in una censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, incidendo sulla ricostruzione del materiale probatorio, non consentita dal nuovo testo di tale norma e consistendo nella prospettazione di una soluzione alternativa e fattuale ritenuta più appagante da parte ricorrente, rispetto a quella adottata dal giudice di appello. Con la doglianza, infatti, sotto l’apparente deduzione di violazione di legge, in realtà, si intende contestare la valutazione dei profili di gravità e serietà del danno non patrimoniale che si assume subito;
non avendo parte ricorrente correttamente censurato i profili relativi alla prova del danno, anche gli altri motivi perdono rilevanza. Il secondo motivo, in ogni caso, riguarda profili già valutati espressamente dal Tribunale e censura la discrezionalità del giudice di merito nell’applicazione dei presupposti della prova per presunzioni: è inammissibile la censura relativa alla mancata applicazione della prova per presunzioni, non rispettosa dei parametri di deduzione richiesti (Cass. Sezioni Unite n. 1785 del 2017);
come ribadito in motivazione da Cass. S.U. 24/1/2018 n. 1785, la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, suppone un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito – assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato – risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza. Occorre, dunque, una preliminare attività di individuazione del ragionamento asseritamente irrispettoso di uno o di tutti i predetti paradigmi, compiuto dal giudice di merito. Quindi, la critica di c.d. falsa applicazione si deve innestare su tale profilo evidenziando in modo chiaro che quel ragionamento è stato erroneamente sussunto sotto uno o sotto tutti quei paradigmi;
di contro la critica al ragionamento presuntivo svolto dal giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo (sicchè il giudice di merito è partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell’applicare il ragionamento presuntivo), o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perchè quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729, comma 1 (e ciò tanto se questa prospettazione sia basata sulle stesse circostanze fattuali su cui si è basato il giudice di merito, quanto se basata altresì su altre circostanze fattuali). In questi casi la critica si risolve in realtà in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti, e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio e ci si pone su un terreno che non è quello dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1), ma è quello che sollecita un controllo sulla motivazione del giudice relativa alla ricostruzione della quaestio facti. Terreno che, come le Sezioni Unite, (Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno avuto modo di precisare, vigente il nuovo art. 360 c.p.c., n. 5, è percorribile solo qualora si denunci che il giudice di merito ha omesso l’esame di un fatto principale o secondario, che avrebbe avuto carattere decisivo per una diversa individuazione del modo di essere della detta quaestio ai fini della decisione, occorrendo, peraltro, che tale fatto venga indicato in modo chiaro e non potendo esso individuarsi solo nell’omessa valutazione di una risultanza istruttoria (da ultimo, in motivazione, Sez. U -, Sentenza n. 1785 del 24/01/2018, Rv. 647010 – 01);
la motivazione censurata con il primo motivo, pur astrattamente errata, è superata, per quanto si è detto, dall’infondatezza dei rilievi relativi alla sussistenza di un danno non patrimoniale ulteriore rispetto a quello patrimoniale riconosciuto ed oggetto (il primo) del terzo e secondo motivo di ricorso;
il ricorso incidentale è fondato, ricorrendo l’ipotesi di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., riguardo alla domanda di restituzione, ritualmente dedotta ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6 (pagine 5 e 6 del controricorso e Cass. n. 12371 del 2014);
la sentenza impugnata va cassata sul punto e decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., in difetto di necessità di ulteriori accertamenti, ed in accoglimento del ricorso incidentale, va disposta la condanna di D.F.B. e M.L., in proprio e per conto della figlia minore E., alla restituzione in favore di B.A. dell’importo di Euro 3000 corrisposto da quest’ultimo all’esito del giudizio di primo grado;
le spese del giudizio di legittimità vanno compensate attesa la precisazione riferita al primo motivo ed in considerazione dell’accoglimento del ricorso incidentale e conseguente decisione nel merito.
P.T.M.
Rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna i ricorrenti, nella qualità, alla restituzione in favore di B.A. dell’importo di Euro 3000,00.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13 cit., comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della sesta sezione civile-3, il 21 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020