Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.684 del 15/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3937-2019 proposto da:

V.E., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA ADRIANA 11, presso lo studio dell’avvocato UGO GIURATO, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE 80415740580;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato il 23/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/09/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso, successivamente riassunto dinanzi alla Corte d’Appello di Perugia, a seguito di incompetenza dichiarata dalla Corte d’Appello di Roma inizialmente adita, la ricorrente chiedeva che le venisse liquidato l’equo indennizzo per la durata non ragionevole di un processo amministrativo intrapreso in data 27/11/1992 dinanzi al Tar del Lazio e definito con decreto di perenzione del 10/11/2011, attesa la mancata presentazione di una nuova istanza di fissazione d’udienza.

La Corte d’appello di Perugia, con decreto n. 3488 del 23/10/2018, condannò il Ministero dell’Economia e delle Finanze a pagare in favore della ricorrente la somma di Euro 7.625,00 cadauno, ravvisata la durata non ragionevole del processo a quo per anni quindici e mesi tre, nonchè le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 485,00, oltre spese di bollo, liquidate in Euro 8,00, ed accessori, distratte in favore dei difensori antistatari.

Avverso tale decreto V.E. propone ricorso, esponendo, con l’unico motivo, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., art. 2233 c.c., comma 2, e delle previsioni di cui al D.M. n. 55 del 2014, in quanto la Corte di merito aveva liquidato il rimborso spese di lite al disotto del minimo legale.

L’Amministrazione non ha svolto difese in questa fase.

Il motivo è fondato.

Come già rilevato da questa Corte, e proprio con specifico riferimento alla liquidazione delle spese di lite nelle procedure di cui alla L. n. 89 del 2001 (Cass. n. 1018/2018), l’opinione secondo la quale il decreto del Ministero della Giustizia n. 55 del 10/3/2014, nella parte in cui stabilisce un limite minimo ai compensi tabellarmente previsti (art. 4) non può considerarsi derogativo del Decreto n. 140, emesso dallo stesso Ministero il 20/7/2012, il quale, stabilendo in via generale i compensi di tutte le professioni vigilate dal Ministero della Giustizia, al suo art. 1, comma 7, dispone che “In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa”, non è condivisibile in quanto il D.M. n. 140, risulta essere stato emanato allo scopo di favorire la liberalizzazione della concorrenza e del mercato, adempiendo alle indicazioni della UE, a tal fine rimuovendo i limiti massimi e minimi, così da lasciare le parti contraenti (nella specie, l’avvocato e il suo assistito) libere di pattuire il compenso per l’incarico professionale.

Viceversa, il giudice resta tenuto ad effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal D.M. n. 55, il quale non prevale sul D.M. n. 140, per ragioni di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità, poichè, diversamente da quanto affermato dall’Amministrazione resistente, non è il D.M. n. 140, evidentemente generalista e rivolto a regolare la materia dei compensi tra professionista e cliente a prevalere ma il D.M. n. 55, il quale detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa.

Tornando al caso in esame la liquidazione effettuata dalla Corte locale in complessivi Euro 485,00 si pone al di sotto dei limiti imposti dal D.M. n. 55 (2.414,00 di cui Euro 540,00 per la fase di studio, Euro 438,00 per la fase introduttiva, Euro 526,00 per la fase istruttoria, Euro 910,00 per la fase decisionale, tenuto conto del valore della causa (da Euro 5.200,00 a Euro 26.000,00) e pur applicata la riduzione massima, in ragione della speciale semplicità dell’affare (art. 4 cit.).

Il provvedimento impugnato deve quindi essere cassato con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso e cassa la decisione impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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