LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6785-2019 proposto da:
N.G. quale procuratrice speciale di M.G. e L.J., domiciliata in ROMA presso la Cancelleria della Corte di Cassazione e rappresentata e difesa dall’avv. PIETRANTONIO DE NUZZO giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente incidentale –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BARI, depositato il 20/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/09/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE La Corte d’appello di Bari, con decreto n. 4087 del 20/12/2018, ha rigettato l’opposizione proposta da N.G. avverso il decreto del Consigliere delegato con il quale era stata rigettata la domanda di equa riparazione promossa dall’istante in relazione alla irragionevole durata di un procedimento possessorio conclusosi con sentenza di rigetto della stessa Corte d’Appello n. 412/2017.
Il provvedimento impugnato, dopo avere chiarito che la N. aveva proposto opposizione solo nella qualità di procuratrice di M.G. e L.S., riteneva che la doglianza fosse infondata, in quanto ” nel giudizio presupposto era chiaramente emerso, nella fase sommaria, che non vi fossero le condizioni per l’accoglimento della domanda proposta in sede possessoria, per essere al momento del deposito del ricorso scaduto il termine annuale di proponibilità dell’azione….”.
Aggiungeva che nella successiva fase di merito l’impossibilità di conoscenza dello spoglio non era stata dimostrata nè i ricorrenti si erano cimentati nel farlo, limitandosi ad invocare la loro residenza all’estero e la scarsa frequentazione dei luoghi.
Quindi ” L’avere proseguito nell’azione possessoria proponendo finanche appello alla sentenza di primo grado…” denotava nella parte ricorrente la consapevolezza “della quantomeno sopravvenuta infondatezza dell’azione…”.
Ne derivava che i ricorrenti avevano abusato dello strumento processuale “continuando a coltivare una lite il cui esito negativo appariva ed era scontato”.
Avverso tale decreto N.G., nella qualità di procuratrice di M.G. e L.S. propone ricorso, esponendo, con l’unico motivo, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 3, commi 4 e 5, nonchè degli artt. 6, 13 e 41 della Cedu.
Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato affidato a quattro motivi.
Il ricorso principale lamenta l’erroneità della decisione gravata che non ha tenuto conto dell’andamento cronologico del processo presupposto.
Infatti, la domanda possessoria, introdotta nel 1998 era stata interessata da un’ordinanza interdittale di rigetto della richiesta solo in data 29/4/2003, a distanza di quasi cinque anni dal deposito del ricorso; inoltre era proseguito per il merito possessorio, allora previsto in via automatica per altri sette anni e sette mesi, sicchè solo in primo grado aveva avuto una durata di circa 13 anni, cui erano seguiti altri cinque anni per la definizione in appello.
La decisione gravata è pervenuta a riscontrare la temerarietà dell’azione solo in ragione del fatto che era stata rigettata già in fase interdittale sul presupposto della sua tardiva proposizione, omettendo di considerare che tale decisione era avvenuta già a distanza di tempo dall’introduzione del processo; inoltre il giudizio era proseguito per iniziativa dello stesso giudice, dovendosi comunque reputare che i ritardi del processo siano imputabili all’organizzazione giudiziaria.
Il motivo è infondato.
Rileva il Collegio che costituisce orientamento di questa Corte quello secondo cui (cfr. Cass. n. 24190/2017) l’indennizzo per irragionevole durata del processo, stante il carattere non tassativo dell’elenco di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quinquies, può essere negato a chi abbia agito o resistito temerariamente nel giudizio presupposto, anche in assenza di un condanna, all’esito dello stesso, per responsabilità aggravata, potendo il giudice del procedimento di equa riparazione, già prima della novella apportata dalla L. n. 208 del 2015, autonomamente valutare tale temerarietà, come evincibile dallo art. 2 cit., comma 2 quinquies, lett. f), che attribuisce carattere ostativo ad ogni altra ipotesi di abuso dei poteri processuali. Tale valutazione non è soggetta al sindacato di legittimità motivazionale, per effetto dei limiti introdotti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nè, ove svolta d’ufficio, è censurabile in cassazione per pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c., essendo, al contrario, doverosa, in quanto relativa ad un requisito negativo dell’esistenza del diritto (conf. Cass. n. 595/2019).
Nè la valutazione di temerarietà della controversia è preclusa al giudice della domanda di equo indennizzo in assenza di una condanna per responsabilità processuale aggravata nel giudizio presupposto, posto che (Cass. n. 9100/2016) l’indennizzo può essere negato a chi abbia agito o resistito temerariamente nel giudizio presupposto, anche in assenza della condanna per responsabilità aggravata, potendo il giudice del procedimento di equa riparazione, già prima delle modifiche di cui alla L. n. 208 del 2015, autonomamente valutare la temerarietà della lite, come si desume, peraltro, dalla lett. f), che attribuisce carattere ostativo ad ogni altra ipotesi di abuso dei poteri processuali (conf. Cass. n. 21131/2015).
Inoltre è stato ritenuto necessario distinguere le ipotesi in cui la temerarietà della lite si palesi ab initio (nelle quali effettivamente deve essere denegata in toto la domanda indennitaria) da quelle in cui la consapevolezza della temerarietà sopravvenga nel corso del giudizio.
In tal senso è costante principio di questa Corte quello secondo cui (cfr. da ultimo Cass. n. 8021/2018), l’infondatezza della domanda nel giudizio presupposto non è, di per sè, causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, all’uopo occorrendo che di tale infondatezza la parte abbia consapevolezza, originaria – allorchè proponga una lite temeraria – o sopravvenuta, – ma prima che il processo superi il termine di durata ragionevole – come nel caso di consolidamento di un orientamento giurisprudenziale sfavorevole, di dichiarazione di infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata a fondamento della pretesa o di intervento legislativo di precisazione, in senso riduttivo, della portata della norma invocata (conf. Cass. n. 9534/2018; Cass. n. 7483/2018).
Nella fattispecie, come si ricava dalle espressioni contenute nel provvedimento gravato e riportate virgolettate nella parte narrativa del presente provvedimento, la Corte d’Appello ha ravvisato la consapevolezza in capo alla ricorrente dell’assenza delle condizioni per l’accoglimento della domanda già all’atto dell’introduzione della fase sommaria, essendo emerso già al momento del deposito del ricorso che risultava scaduto il termine annuale di proponibilità dell’azione, e che il provvedimento di rigetto dell’interdetto possessorio del 29/4/2003, sebbene intervenuto, come segnalato dalla stessa ricorrente a ben cinque anni circa dalla proposizione del ricorso, non aveva fatto altro che confermare l’evidenza di una situazione di palese e manifesta infondatezza della domanda, già riscontrabile ab origine.
Le ulteriori considerazioni sviluppate nel decreto confortano il giudizio già espresso circa la valutazione di sostanziale ed originaria temerarietà della pretesa azionata, e cioè risalente alla stessa introduzione della domanda possessoria.
Trattasi all’evidenza di una valutazione riservata al giudice di merito e non suscettibile di rivalutazione in sede di legittimità, dovendosi pertanto pervenire al rigetto del ricorso Il rigetto del ricorso principale impone poi l’assorbimento del ricorso incidentale del Ministero articolato in quattro motivi (volto a contestare l’inapplicabilità al procedimento di cui alla L. n. 89 del 2001, della sospensione feriale de termini), in quanto chiaramente proposto per l’eventualità che fosse stato reputato fondato il ricorso principale.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ancorchè il ricorso principale sia stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, e sia rigettato, non sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater, dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, trattandosi di procedimento esente dal versamento del detto contributo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, e assorbito il ricorso incidentale, condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 1.500,00 oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020