LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10036-2019 proposto da:
A.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GOLAMETTO 4, presso lo studio dell’avvocato ABBATE FERDINANDO EMILIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO ECONOMIA FINANZE *****;
– intimato –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 25/09/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/09/2019 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
A.F. propone ricorso articolato in due motivi avverso il decreto n. 2697/2018 reso il 25 settembre 2018 dalla Corte d’Appello di Perugia.
L’intimato Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto attività difensive.
Il decreto impugnato ha accolto la domanda di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 formulata nel febbraio 2010 da A.F. in relazione alla durata non ragionevole di un giudizio amministrativo instaurato davanti al TAR Lazio nel dicembre del 2001 e definito con decreto di perenzione dell’ottobre 2014. Trattandosi di giudizio di equa riparazione introdotto tra il 25 giugno 2008 e il 16 settembre 2010 con riferimento a giudizio amministrativo ancora pendente alla medesima data, e risultando depositata l’istanza di prelievo solo il 22 luglio 2008, la Corte d’Appello di Perugia è pervenuta all’impugnata statuizione di rigetto a ritenere indennizzabile soltanto la durata, eccedente i primi tre anni di pendenza del processo presupposto, di tre anni e sei mesi, liquidando l’importo di Euro 1.750,00, oltre interessi.
Su proposta del relatore, che riteneva che il primo motivo di ricorso potesse essere dichiarato manifestamente fondato, rimanendo assorbito il secondo motivo, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, e l’incostituzionalità del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2. La censura evidenzia come l’istanza di prelievo, una volta presentata, assolve ed esaurisce la propria funzione di presupposto processuale del procedimento di equa riparazione, sicchè, ai fini del computo della durata ragionevole, occorre aver riguardo all’intera durata del processo. Si invocano inoltre gli effetti della declaratoria di incostituzionalità del D.L. n. 112 del 2008, art. 54 (Corte cost, sentenza n. 34 del 6 marzo 2019).
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c. e art. 2233 c.c., comma 2, nonchè del D.M. n. 55 del 2014 e del D.M. n. 37 del 2018.
Il primo motivo di ricorso è fondato.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 34 del 6 marzo 2019 ha dichiarato incostituzionale il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, e successive modifiche, norma nella specie rilevante, non essendo applicabile a questo procedimento la previsione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, come introdotto dalla L. n. 208 del 2015 (atteso il regime transitorio dettato dalla stessa L. n. 89 del 2001, art. 6, comma 2-bis, in quanto il processo presupposto alla data del 31 ottobre 2016 aveva già superato i termini di durata ragionevole). Corte Cost. n. 34 del 2019, in particolare, ha ritenuto che il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito in L. n. 133 del 2008, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010 e dal D.Lgs.n. 195 del 2011, si ponesse in contrasto con la “costante giurisprudenza della Corte EDU”, atteso che l’istanza di prelievo, cui fa riferimento il citato art. 54, comma 2 (prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla L. n. 208 del 2015), non costituisce un adempimento necessario, ma una mera facoltà del ricorrente (ex art. 71 codice del processo amministrativo, comma 2, la parte “può” segnalare al giudice l’urgenza del ricorso), con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la non proporzionata sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia nè con l’obiettivo del contenimento della durata del processo, nè con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata.
Nell’interpretazione di questa Corte, era stato peraltro già affermato che l’innovazione introdotta dal D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, conv. in L. n. 133 del 2008, elevava la previa presentazione dell’istanza di prelievo a condizione di proponibilità della domanda di equa riparazione per i giudizi pendenti alla data (25 giugno 2008) di entrata in vigore del medesimo D.L. n. 112 del 2008, e ciò in rapporto all’intero svolgimento del giudizio presupposto. Intendendosi perciò che l’istanza di prelievo, una volta presentata (come nella specie avvenuto il 22 luglio 2008), assolvesse la propria funzione di presupposto processuale del procedimento di equa riparazione, senza alcuna necessità di una sua reiterazione per rinnovare la manifestazione di un permanente interesse della parte alla definizione del giudizio, e perciò dovendosi aver riguardo, ai fini del computo della durata ragionevole, all’intera durata del processo (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 11/04/2016, n. 7005; Cass. Sez. 6 – 2, 27/01/2017, n. 2172).
L’accoglimento del primo motivo, in conseguenza della dichiarazione di incostituzionalità del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, e della fondatezza della censura per violazione di legge, cui consegue il rinvio della causa per nuovo esame, comporta l’assorbimento dell’ulteriore mezzo di gravame sulla liquidazione delle spese di lite, in quanto la relativa censura è diretta contro una statuizione che, per il suo carattere accessorio, è destinata ad essere travolta dal disposto annullamento dalla pronuncia impugnata, dovendo procedere comunque il giudice di rinvio alla determinazione delle stesse spese tenendo conto dell’esito finale del giudizio.
Conseguono l’accoglimento del primo motivo di ricorso, l’assorbimento del secondo motivo e la cassazione del decreto impugnato, con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia, che, in diversa composizione, provvederà altresì a liquidare le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo motivo, cassa il decreto impugnato nei limiti della censura accolta e rinvia alla Corte d’Appello di Perugia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6-2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 18 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020