Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.750 del 16/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6022-2018 proposto da:

S.I., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato DANIELA GASPARIN;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, C.F. *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5153/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata l’11/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 02/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO.

La Corte d’Appello di Milano, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda di protezione internazionale proposta dal cittadino straniero, di nazionalità senegalese, S.I..

Il ricorrente ha narrato di essersi deciso a lasciare il proprio paese nel 2015 perchè nel 2006 i fratelli della madre avevano cercato di costringerlo a fare un sacrificio rituale presso un albero di baobab e al suo rifiuto, (il ricorrente ha dichiarato di essere musulmano) lo avevano aggredito. Egli, nel 2015, aveva dato fuoco al baobab per vendicarsi dei maltrattamenti subiti per nove anni e, di conseguenza, aveva ricevuto telefonate di minacce di morte da parte di uno degli zii.

La Corte, coerentemente con quanto affermato in primo grado, ha ritenuto che le vicende narrate fossero di natura privata e s’inserissero in rapporti di parentela non riconducibili alle forme di persecuzione caratterizzanti il rifugio politico. Ugualmente ha escluso che il rientro possa esporre il ricorrente alla pena di morte o a trattamenti inumani o degradanti. Manca, inoltre, nel paese una situazione di violenza indiscriminata tale da integrare la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c). Viene esclusa, infine, anche la configurabilità all’attualità di una situazione di conflitto a bassa intensità a seguito dell’insediamento del Presidente M.S. come da C.O.I. aggiornate. Inoltre la Corte evidenzia la genericità della prospettazione dei motivi di appello che non consente alcuna individualizzazione delle censure perchè il gravame è articolato per categorie astratte ed, infine, la scarsa credibilità del racconto stesso che incide negativamente sulla domanda di protezione umanitaria in relazione all’allegazione di situazioni effettive di vulnerabilità.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero. Ha depositato controricorso il Ministero dell’interno.

Nel primo motivo viene censurata la riconducibilità ad una vicenda privata e non a persecuzione religiosa della ragione dell’allontanamento dedotta dal ricorrente. Nel secondo motivo, partendo dal medesimo assunto si censura l’omesso assolvimento all’obbligo di cooperazione istruttoria. Le censure sono inammissibili sia perchè la persecuzione religiosa è stata esclusa sulla base di un insindacabile accertamento relativo ai fatti narrati sia perchè non è stata censurata la ratio del difetto di credibilità, pure indicata nella pronuncia impugnata, in virtù della quale la Corte territoriale ha legittimamente omesso di svolgere accertamenti officiosi sulla mancata protezione delle autorità statuali.

In relazione alla censura relativa alla protezione umanitaria, ritenuta fondata su di una motivazione meramente apparente e comunque inficiata dall’omesso esame di un fatto decisivo, deve rilevarsi che la Corte d’appello ha ampiamente ed esaurientemente affrontato i profili oggettivi e soggettivi del riconoscimento del diritto escludendone la sussistenza ed, in particolare, non ha ritenuto credibile la narrazione esposta che ne doveva costituire il sostegno allegativo. Anche in relazione alla situazione generale ed al conflitto a bassa intensità sociale è stata fornita puntuale giustificazione. Non è precisato, peraltro, quale sia il fatto decisivo di cui è stato omesso l’esame rispetto a quelli acquisiti in giudizio e analizzati nella sentenza impugnata.

Il ricorso in conclusione è inammissibile. Segue l’applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali da liquidarsi in Euro 2.100 per compensi oltre spese prenotate a debito.

Ricorrono i presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, in relazione all’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso principale, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2020

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