LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6624-2018 proposto da:
A.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato AMERIGA MARIA PETRUCCI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
– intimato –
avverso la sentenza n. 368/2017 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 17/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 02/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte d’Appello di Potenza ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dal cittadino nigeriano A.P..
A sostegno della decisione ha affermato che non viene indicato dal ricorrente in cosa si concreti l’atto di persecuzione, nel caso concreto. Non indica infine a quali motivi gli atti stessi devono essere ricondotti. Peraltro la storia narrata non è riconducibile a nessuno dei motivi ai quali gli atti di persecuzione devono essere ricondotti. Il ricorrente ha dichiarato che la ragione per la quale ha lasciato il paese di origine è un problema di famiglia con lo zio dopo la morte del padre che sarebbe stato ucciso. Lo zio gli avrebbe negato l’eredità perchè il padre non aveva fatto la cerimonia tradizionale che si usa fare dopo le esequie in relazione alla morte del nonno. Ha aggiunto di essere stato rapito, su commissione dello zio, mentre andava al catechismo perchè di religione cristiana e di essere stato liberato dopo due settimane.
In relazione alla situazione generale del paese le C.O.I portano ad escludere che nella parte meridionale della Nigeria vi sia una situazione di violenza indiscriminata. Non vi sono i presupposti per il permesso umanitario perchè non è ravvisabile nessuna situazione di vulnerabilità rientrante nei requisiti di legge, non essendo sufficiente la generica prospettazione di una situazione di precarietà.
Nel primo motivo viene contestato ex art. 360 c.p.c., n. 5 (ma la censura è svolta anche in relazione al vizio di violazione di legge) che l’esclusione della persecuzione sia stata fondata su una motivazione generica mentre dal racconto era emerso chiaramente il pericolo di essere ucciso dallo zio per ragioni ereditarie così come era accaduto a suo padre. La censura non supera il vaglio di ammissibilità perchè anch’essa generica e priva di indicazioni in relazione all’esistenza di una specifica ragione persecutoria non riconducibile alla vicenda privata narrata. Essa peraltro è diretta sostanzialmente a confutare la valutazione di merito svolta dalla Corte. Il secondo motivo svolge una censura del tutto generica rispetto al diniego della protezione sussidiaria che non colpisce le rationes individuate dalla Corte d’Appello per escluderla.
In conclusione il ricorso è inammissibile. Non vi è luogo a statuizione sulle spese processuali in mancanza di difese della parte intimata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Ricorrono i presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, in relazione all’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso principale, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2020