LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGLIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26572-2018 proposto da:
S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA AMERICO CAPPONI 16, presso lo studio dell’avvocato CARLO STACCIOLI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PFR IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI *****;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 08/08/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO CAMPISI
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto dell’8 agosto 2018, il Tribunale di Lecce ha respinto la domanda di S.A., nativo del *****, volta al riconoscimento della protezione internazionale o di quella umanitaria.
1.1. In estrema sintesi, quel tribunale ritenne insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato in favore del richiedente, non credibili le sue dichiarazioni e, comunque, i motivi addotti da lui a sostegno delle sue richieste inidonei a consentirne l’accoglimento.
g. Avverso il descritto decreto S.A. ricorre per cassazione affidandosi a quattro motivi, mentre il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:
I) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2, lett. e) ed f), nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 11, e art. 10 Cost.. – Mancato riconoscimento dello status di rifugiato”;
II) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2, lett. g) ed h), nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). – Mancato riconoscimento della protezione sussidiaria”;
III) “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. – Mancato riconoscimento della protezione umanitaria”;
IV) “Violazione del T.U. Immigrazione, art. 18”.
2. Il primo motivo è infondato.
2.1. Il tribunale pugliese, infatti, dopo aver delineato il quadro legislativo regolante il riconoscimento dello status di rifugiato, correttamente richiamando, in proposito, l’art. 10 Cost., 2, lett. e) ed f), ed del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 11, (attuativo della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con L. n. 722 del 1954), e le direttive comunitarie in materia (tra cui quella n. 2004/83), ed aver specificamente indicato quali sono, alla stregua del citato D.Lgs., art. 5, i soggetti (lo Stato, i partiti politici o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, nonchè soggetti non statuali ove quelli appena indicati, comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione adottando adeguate misure per impedire atti persecutori) da cui dovrebbero provenire le persecuzioni di cui al menzionato art. 2, ha osservato che “i fatti narrati dal richiedente, pur attenendo, in astratto, a persecuzioni per motivi di religione, non integrano, a causa della scarsa credibilità, per i motivi che di seguito verranno esposti, gli estremi per il riconoscimento dello status” suddetto (cfr. pag. 6 del provvedimento impugnato).
2.1.1. Il ricorrente assume, invece, che il tribunale non avrebbe spiegato le ragioni della ritenuta sua scarsa credibilità, malgrado “la copiosa documentazione in atti e la narrazione effettuata avanti alla Commissione territoriale sono ricche di dettagli relativi alle vicende che hanno condotto il ricorrente a richiedere la protezione all’Italia”(cfr. pag. 6 del ricorso).
2.1.2. Dalla semplice lettura del decreto impugnato emerge, però, che il tribunale ha fornito ampia motivazione delle ragioni per cui ha considerato poco credibile il racconto del richiedente, ribadendo, in parte qua, gli analoghi rilievi di contraddittorietà, vaghezza e genericità già evidenziati proprio dalla Commissione, riportando alla pag. 8 (cfr. in atti) il tenore letterale delle condivise osservazioni di quest’ultima. Si tratta, come appare evidente, di accertamenti in fatto, che non possono essere in questa sede messi in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti, il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, (cfr. Cass. n. 21142 del 2019; Cass. n. 3340 del 2019), qui nemmeno prospettato assolutamente generico, poi, risulta il richiamo alla “copiosa documentazione in atti”, della quale non si specifica, nè si riporta, l’eventuale contenuto. Nessuna violazione di legge può, allora, ascriversi, sul punto, al detto provvedimento.
3. Il secondo motivo è inammissibile.
3.1. Il tribunale, dopo aver escluso l’esistenza di qualsivoglia allegazione in ordine alle circostanze di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ha posto a fondamento della decisione riguardante la fattispecie di cui al medesimo art., lett. c), innanzi tutto, la valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni effettuate dallo straniero ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, vaghe e contraddittorie rispetto ai dettagli dei fatti ivi narrate, oltre che carenti di riferimenti circa l’incapacità o la non volontà delle autorità locali di offrire protezione a fronte di minacce o possibili aggressioni. Si tratta, come si è già detto, di accertamenti in fatto, qui non sindacabili salvo che ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (vizio, però, non prospettato).
3.1.1. Il riferimento alla non credibilità della vicenda privata alla base della decisione di espatriare già osta a ravvisare la pertinenza degli attuali riferimenti all’istituto della cooperazione istruttoria, ai fini di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (cfr., ex multis, Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 387 del 2019, in motivazione; Cass. n. 31481 del 2018; Cass. n. 16295 del 2018), dovendosi, peraltro, ricordare che, ad avviso di questa Corte, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ore occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte (cfr. Cass. n. 30105 del 2018).
3.1.2. Ad ogni modo, può osservarsi che l’esame della situazione del Paese di origine (nella specie il *****, zona del distretto di *****) è stato fatto, sebbene sinteticamente, da parte del giudice del merito in senso escludente la situazione di violenza indiscriminata da conflitto armato, con riferimenti finanche alle fonti di conoscenza; donde l’assetto circa l’infondatezza della domanda è stato sorretto da congrua motivazione anche per tale via, per modo da doversi reputare la doglianza come semplicemente finalizzata a sovvertirne l’esito.
3.1.3. Il profilo della mancanza di attendibilità delle dichiarazioni del richiedente a proposito dei fatti di vita privata non risulta specificamente ed adeguatamente censurato, sicchè esso diventa dirimente, poichè – come questa Corte ha già chiarito – la suddetta mancanza di attendibilità rende di per sè inaccoglibile l’istanza di protezione, non sussistendo elementi sui quali concretamente basare una decisione in senso positivo (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 387 del 2019, in motivazione; Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 27438 del 2016; Cass. n. 21668 del 2015).
4. Infondati, infine, sono anche il terzo ed il quarto motivo, scrutinabili congiuntamente perchè chiaramente connessi.
4.1. In proposito, infatti, è sufficiente ribadire che, alla stregua della giurisprudenza di legittimità già richiamata (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 387 del 2019; Cass. n. 16925 del 2018; Cass. 27438 del 2016), l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente, affermata dai giudici di merito, costituisce motivo sufficiente per negare anche la protezione di cui trattasi. La corrispondente domanda, peraltro, è stata rigettata dal tribunale anche sulla base di una concorrente ratio censurata in modo affatto inadeguato – in ordine all’assenza di fattori soggettivi di vulnerabilità dell’odierno ricorrente e di un suo serio percorso integrativo in Italia. Tanto consente di prescindere, in questa sede, non solo da ogni altra considerazione circa la lamentata violazione del T.U. Immigrazione, art. 18, (assorbita, comunque, dalla ritenuta non credibilità di quanto riferito dal dichiarante, ricordandosi, peraltro, che, come affermato, ancora di recente, da Cass. n. 231 del 2019, il tema della generale violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza, benchè costituisca un necessario elemento da prendere in esame nella definizione della posizione del richiedente, deve, però, necessariamente correlarsi alla sua vicenda personale, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 2007, art. 5, comma 6, che nel predisporre uno strumento duttile quale il permesso umanitario, demanda al giudice la verifica della sussistenza dei “seri motivi” attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali, ad esempio, le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio Paese e le circostanze di vita che anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo Paese, con onere in capo al medesimo quantomeno di allegare i suddetti fattori di vulnerabilità. (Cfr. Cass. n. 4455 del 2018), ma anche da ogni riferimento alla questione relativa alla sopravvenienza del D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018, (nemmeno recando, comunque, la prospettazione del motivo in esame alcun riferimento alle specifiche previsioni di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, commi 1 e 1.1, come modificato dal citato D.L. n. 113 del 2018).
5. Il ricorso, dunque, va respinto, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017), e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2020