LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGLIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29328-2018 proposto da:
S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GAETANO BOSCO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI *****;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1379/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 20/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO CAMPESE.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza del 20 marzo 2018, la Corte di appello di Milano respinse il gravame di S.M., nativo della *****, contro l’ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., del 28 febbraio 2017, resa dal tribunale di quella stessa città, reiettiva del ricorso da lui proposto avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per la Protezione Internazionale di ***** che gli aveva negato il diritto allo status di rifugiato, o alla protezione sussidiaria, o, in estremo subordine, alla protezione umanitaria.
1.1. In sintesi, quella corte, precisato che l’appello era stato circoscritto alla richiesta di riconoscimento della protezione umanitaria, confermò la decisione del giudice di prime cure ritenendo che i motivi addotti dall’appellante a sostegno della sua richiesta non ne consentivano l’accoglimento.
2. Avverso la descritta sentenza S.M. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:
I) violazione di legge, nella parte in cui la decisione impugnata, dopo aver richiamato le norme in forza delle quali può essere riconosciuta la protezione umanitaria ed enucleato i presupposti per il suo accoglimento, aveva omesso di rapportarli alla concreta situazione dell’odierno ricorrente sottoposta al suo esame;
II) omesso esame, ad opera della corte distrettuale, di un fatto decisivo ed oggetto di discussione tra le parti, individuato nell’attuale situazione della *****;
III) omesso esame di fatto decisivo ed oggetto di discussione tra le parti, laddove la medesima corte non aveva valutato le circostanze da cui emergeva la prova di un concreto inserimento sociale dell’appellante.
2. Il primo motivo non merita accoglimento.
2.1. Invero, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr. Cass., SU., n. 10313 del 2006; in senso conforme: Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013) di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
2.2. Nella specie, peraltro, la corte milanese, con una motivazione coerente con i principi dettati in tema di onere della prova, oltre che priva di vizi logici, siccome basata sulla puntuale e dettagliata descrizione e ponderazione di indici concreti, è giunta alla conclusione che il quadro probatorio desumibile dalla documentazione prodotta in atti, complessivamente valutato, fosse inidoneo a far ritenere raggiunta la prova della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento, in favore dell’appellante, della invocata protezione umanitaria; nè potrebbe sostenersi, fondatamente, che l’argomentare della corte distrettuale abbia trascurato alcuni dati dedotti da S.M., per la semplice ragione di averli ritenuti, esplicitamente, o implicitamente, irrilevanti, spettando ad essa il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. L’odierno assunto del ricorrente, si risolve, dunque, nel tentativo, da parte sua, di opporre alla ricostruzione dei fatti definitivamente sancita nella decisione impugnata, una propria alternativa loro interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).
3. Parimenti infondato è il secondo motivo.
3.1. Occorre, innanzitutto, considerare che la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 20 marzo 2018), ha avuto l’effetto di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza (o di altro provvedimento decisorio) per “mancanza della motivazione”, ipotesi configurabile allorchè la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione ovvero formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (cfr. Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017).
3.2. Nella specie, il complessivo argomentare della corte distrettuale consente, agevolmente, di escludere la sussistenza di ciascuna delle ipotesi appena descritte.
3.3. Il novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, esclude, poi, la sindacabilità, in sede di legittimità, della correttezza logica della motivazione di idoneità probatoria di determinate risultanze processuali, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di contraddittorietà o insufficienza della motivazione. Invero, oggetto del vizio di cui alla citata norma è oggi esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Deve trattarsi, dunque: i) di un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); ii) di un preciso accadimento ovvero di una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass., SU, n. 5745 del 2015); iii) di un dato materiale, di un episodio fenomenico rilevante, e delle relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); iv) di una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014). Non è tale, viceversa, l’argomentazione o deduzione difensiva (cfr. Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015), nè lo sono gli elementi istruttori, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).
3.3.1. Il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere “decisivo”, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, favorevole al ricorrente rimasto soccombente (non bastando, invece, la prognosi che il fatto non esaminato avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione diversa: si vedano già Cass. n. 22979 del 2004; Cass. n. 3668 del 2013; la prognosi in termini di “certezza” della decisione diversa è richiesta, ad esempio, da Cass., SU, n. 3670 del 2015).
3.3.2. Alla stregua dei principi tutti fin qui esposti, il motivo in esame si rivela infondato, atteso che il provvedimento oggi impugnato ha, sebbene sinteticamente, esaminato (cfr. pag. 5) la situazione del Paese di provenienza del richiedente (la *****), menzionando anche le fonti a tal fine consultate, sicchè non sussiste l’omesso esame così come lamentato.
4. Infondato è anche il terzo motivo.
4.1. Richiamato, infatti, il circoscritto perimetro del vizio motivazionale come oggi denunciabile ex art. art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame del fatto storico (integrazione sociale) prospettato con la doglianza in esame non sussiste, avendone la corte distrettuale dato conto alle pag. 5-6 della sua motivazione (ininfluente rivelandosi, pertanto, il fatto che essa non abbia eventualmente scrutinato tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti. Cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).
4.2. Peraltro, la stessa corte ha giudicato – affatto correttamente (cfr. ex aliis, Cass. n. 17072 del 2018) – il mero fatto della integrazione suddetta come elemento, in sè, insufficiente al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, sicchè l’odierna censura del ricorrente comunque non investirebbe un fatto decisivo per il giudizio.
4.3. Miglior sorte, da ultimo, nemmeno toccherebbe all’odierno ricorso alla stregua del testo del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, come recentemente novellato dal D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018, non recando la prospettazione dei corrispondenti motivi alcun riferimento alle specifiche previsioni di cui del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, commi 1 e 1.1, come modificato dal citato D.L. n. 113 del 2018.
5. Il ricorso, dunque, va respinto, senza necessità di pronunce sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017), e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2020