LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGLIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29597-2018 proposto da:
K.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO FASCIA;
– ricorrente –
contro
MINISTIRO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONLE DI *****;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato il 26/09/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO CAMPISE.
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto del 26 settembre 2018, il Tribunale di Brescia ha respinto la domanda di K.M., nativo della *****, volta al riconoscimento della protezione internazionale o di quella umanitaria.
1.1. In estrema sintesi, quel tribunale ritenne non credibili le sue dichiarazioni e, comunque, che i motivi addotti da lui a sostegno delle sue richieste non ne consentivano l’accoglimento.
2. Avverso il descritto decreto, K.M. ricorre per cassazione affidandosi ad un unico, articolato, motivo, mentre il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La formulata doglianza, che prospetta “Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; Violazione di legge: del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), e art. 2, lett. e) e g); del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19 comma 1; L. 24 luglio 1954, n. 722”, è, nel suo complesso, inammissibile.
1.1. Invero, il vizio motivazionale invocato, da scrutinarsi alla stregua dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata un decreto reso il 26 settembre 2018), non sussiste, investendo la censure sotto questo profilo, piuttosto che l’omesso esame di “fatti”, “l’omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia” (cfr. pag. 2 del ricorso): ci si duole, dunque, non già di fatti storici (della cui deduzione nel giudizio di merito venga dato conto nel rispetto del canone dell’autosufficienza del ricorso per cassazione) il cui esame, omesso nel decreto impugnato, avrebbe portato ad una diversa ricostruzione dei fatti di causa, ma, sostanzialmente, di profili di insufficienza motivazionale (quanto alla ivi ritenuta non credibilità dell’odierno ricorrente ed al rispetto, o meno, in *****, della libertà religiosa) non più denunciabili in questa sede.
1.2. Per il resto, rileva il Collegio che, innanzitutto, come ancora recentemente chiarito da Cass. n. 31481 del 2018 e Cass. n. 16295 del 2018, in tema di valutazione della credibilità soggettiva del richiedente e di esercizio, da parte del giudice, dei propri poteri istruttori officiosi rispetto al contesto sociale, politico e ordinamentale del Paese di provenienza del primo, la valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, benchè sfornita di prova (perchè non reperibile o non richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine (cfr. Cass. Cass. n. 21668 del 2015; Cass. n. 5224 del 2013. Principio affatto analogo è stato, peraltro, ribadito dalla più recente Cass. n. 17850 del 2018). Infatti, le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 16295 del 2018; Cass. n. 7333 del 2015). Ad avviso di questa Corte, peraltro, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte (cfr. Cass. n. 30105 del 2018).
1.2.1. Nella specie, il tribunale bresciano ha espresso un giudizio assolutamente negativo sulla credibilità del richiedente sulla base di plurimi elementi (cfr., amplius, pag. 4-6 del decreto impugnato) ritenuti rilevatori dell’inverosimiglianza ed incoerenza della sua narrazione, in maniera del tutto conforme ai parametri cui l’autorità amministrativa e, in sede di ricorso, quella giurisdizionale, sono tenute ad attenersi ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Si tratta, come appare evidente, di accertamenti in fatto, che non possono essere in questa sede messi in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti (qui, invece, insussistenti per quanto si è già detto), il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, (cfr. Cass. n. 21142 del 2019; Cass. n. 3340 del 2019).
1.2. In relazione, poi, all’asserita mancata valutazione del generale contesto politico e ordinamentale del Paese di provenienza, deve rilevarsi che, in ogni caso, la riferibilità soggettiva ed individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo del rifugio politico e della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. a) e b), escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status.
1.2.1. Peraltro, il provvedimento oggi impugnato ha, sebbene sinteticamente, esaminato (cfr. pag. 7), la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente onde la doglianza in esame è insuscettibile di accoglimento, in quanto, sostanzialmente, volta ad ottenere la ripetizione del giudizio di fatto, attività qui preclusa in virtù della funzione di legittimità, considerato, altresì, che la stessa ritenuta non credibilità dell’odierno ricorrente è, di per sè, idonea al rigetto delle sue richieste e che, come si è già detto, la mancanza di attendibilità delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale comporta che neppure sorga il dovere di ricerca di riscontri d’ufficio (cfr. Cass. n. 17850 del 2018; Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 21668 del 2015; Cass. n. 5224 del 2013).
1.3. L’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente, affermata dai giudici di merito, costituisce, dunque, ragione sufficiente per negare anche la protezione sussidiaria, che, come ancora recentemente chiarito da Cass. n. 16925 del 2018, deve ovviamente poggiare su specifiche e plausibili ragioni di fatto (cfr. Cass. 27438 del 2016), legate alla situazione concreta ed individuale del richiedente.
1.4. Infondata, infine, è anche la critica del decreto impugnato per aver disatteso la richiesta di positivo accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.
1.4.1. In proposito, infatti, è sufficiente ribadire che, alla stregua della giurisprudenza di legittimità già richiamata (cfr. Cass. n. 16925 del 2018; Cass. 27438 del 2016), l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente, affermata dai giudici di merito, costituisce motivo sufficiente per negare anche la protezione di cui trattasi, nè miglior sorte, peraltro, toccherebbe alla richiesta di protezione umanitaria alla stregua del testo del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, come recentemente novellato dal D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018, non recando la prospettazione del corrispondente motivo di ricorso alcun riferimento alle specifiche previsioni di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, commi 1 e 1.1, come modificato dal citato D.L. n. 113 del 2018.
2. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronunce sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017), e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2020