Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Ordinanza n.7644 del 01/04/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sez. –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36065/2018 proposto da:

*****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BASSANO DEL GRAPPA 24, presso lo studio dell’avvocato MICHELE COSTA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIULIO PASQUINI, STEFANIA CAVALLO;

– ricorrente –

contro

REGIONE VENETO, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONELLA CUSIN, EZIO ZANON;

– controricorrente –

e contro

COMUNE GARDA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 123/2018 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 30/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/02/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA

Il ***** propone ricorso per cassazione articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 123/2018 del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, depositata il 30 luglio 2018.

Resiste con controricorso la Regione Veneto, mentre rimane altresì intimato, senza svolgere attività difensive in questa sede, il Comune di Garda.

Il *****, con sede in *****, inoltrò all’Ufficio del Genio Civile di Verona, in data 26-28.10.1989, richiesta di rilascio di autorizzazione idraulica in sanatoria per un edificio residenziale plurifamiliare posto in vicinanza di un corso d’acqua denominato “*****”, giacchè parzialmente ricadente entro la fascia di vincolo idraulico del medesimo corso d’acqua.

Dopo il parere idraulico favorevole del Servizio Forestale regionale di Verona ed il parere favorevole della Commissione Tecnica regionale decentrata LL.PP. di Verona, e però a seguito del parere contrario della Commissione Tecnica regionale decentrata, il Direttore della Sezione Bacino *****, emise il Decreto 28 luglio 2015, n. 345, con cui deliberò di non accogliere l’istanza di rilascio dell’autorizzazione idraulica in sanatoria.

Il ***** chiese al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche l’annullamento di tale decreto, deducendone l’illegittimità per eccesso di potere sotto il profilo della carenza di istruttoria e di contraddittorio, sviamento, incongruità, travisamento, erronea valutazione dei fatti, irragionevolezza, disparità di trattamento, insufficienza della motivazione, violazione della L. n. 241 del 1990, artt. 1 e 3 e del R.D. n. 523 del 1904, art. 96, lett. f. Il condominio ricorrente, tra l’altro, sostenne di aver maturato un legittimo affidamento al rilascio della sanatoria, in quanto titolare di una licenza edilizia risalente al 1967; censurò il decreto impugnato perchè semplicisticamente motivato mediante richiamo all’orientamento giurisprudenziale in tema di impossibilità di concedere sanatorie agli edifici ricadenti entro la fascia dei dieci metri di rispetto idraulico; contestò che, nella fattispecie, si fosse in presenza di una notevole massa d’acqua fluente o di intralci al suo libero deflusso; criticò il mancato rilievo dato nel decreto alla lunghezza della procedura, ai pareri favorevoli conseguiti dalla pratica ed alla stessa relazione presentata dal condominio, a seguito della comunicazione di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 10 bis.

La sentenza n. 123/2018 del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha respinto il ricorso del *****, giudicando infondati i motivi di doglianza, alla luce della ratio del divieto di costruzione nella fascia di dieci metri dagli argini dei corsi d’acqua, di cui al R.D. 25 luglio 1904, n. 523, art. 96, lett. f, della natura assoluta ed inderogabile di tale divieto di edificazione entro la fascia di servitù idraulica, della conseguente irrilevanza del tempo trascorso dall’abuso, come della quantità d’acqua effettivamente fluente. Tali opere non sarebbero perciò suscettibili di sanatoria della L. n. 47 del 1985, ex artt. 32 e 33, ed D.L. n. 269 del 2003, ex art. 32, comma 27. La sentenza n. 123/2018 del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha pure negato rilievo alle prescrizioni del Piano regolatore comunale, stante la prevalenza delle norme statali, dovendosi intendere la deroga contenuta nel citato art. 96, lett. f), per il caso di “discipline vigenti nelle diverse località”, applicabile nel solo caso in cui lo strumento urbanistico contenga una norma esplicitamente dedicata alla regolamentazione delle distanze delle costruzioni dagli argini, introdotta per motivate ragioni di funzionalità idraulica. Alcuna contraddittorietà era perciò ravvisabile nel decreto impugnato, secondo il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, dovendosi considerare illegittimi i precedenti pareri favorevoli alla sanatoria, e perciò non suscettivi di generare legittimo affidamento.

La trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di consiglio, a norma dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Il ricorrente ***** ha depositato memoria ex art. 380-bis 1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

I. Il primo motivo di ricorso del ***** denuncia “l’eccesso di potere ai sensi e per gli effetti di cui al R.D. n. 1775 del 1933, art. 201, ed alla L. n. 3761 del 1877, art. 3, sotto i particolari profili della carenza di istruttoria e di contraddittorio, dello sviamento, della contraddittorietà, dell’incongruità, del travisamento e dell’erronea indicazione e valutazione dei fatti, dell’illogicità e dell’irragionevolezza, della disparità di trattamento, della carenza o comunque illogicità e insufficienza della motivazione”. La censura rappresenta che il divieto sancito nel R.D. 25 luglio 1904, n. 523, art. 96, lett. f), suppone una massa d’acqua suscettibile di essere utilizzata ai fini pubblicistici, mentre il torrente “*****” risulta “dismesso da anni e quindi completamente privo di acqua”. Il motivo indica i documenti prodotti in giudizio a sostegno dell’asserzione dell’assenza di acqua nel tratto di alveo in questione.

Il secondo motivo di ricorso del ***** denuncia “la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi e per gli effetti di cui al R.D. n. 1775 del 1933, art. 201, art. 111 Cost., ed all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento al R.D. n. 523 del 1904, art. 96, lett. f), nonchè alla L. n. 241 del 1990, artt. 1,3 e 10 bis ed all’art. 97 Cost.”. Viene censurata l’affermazione contenuta nella norma impugnata, secondo cui il divieto di edificabilità R.D. n. 523 del 1904, ex art. 96, lett. f), prescinde dalla presenza di una “massa d’acqua” suscettibile di essere utilizzata a fini pubblicistici. Vengono richiamati anche in tale motivo i documenti allegati, che indicavano che il corso d’acqua oggetto di lite era stato “modificato riduttivamente con deviazione di percorso a monte”, veniva utilizzato come passaggio pedonale ed era descritto come dismesso. Ulteriore richiamo viene fatto alla relazione tecnica depositata, la quale descriveva la dismissione e l’inattività dell’alveo. Il motivo riprende, infine, le considerazioni sulle carenze istruttorie e motivazionali degli atti impugnati.

Il terzo motivo di ricorso del ***** deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo, quale la “pluridecennale assenza, nel caso di specie, di un flusso idrico e/o di una massa d’acqua suscettibile di essere utilizzata ai fini pubblicistici, con conseguente inapplicabilità dei divieti di edificazione di cui al R.D. n. 523 del 1904, art. 96, lett. f)”.

Il quarto motivo di ricorso del ***** denuncia “la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi e per gli effetti di cui al R.D. n. 1775 del 1933, art. 201, art. 111 Cost. ed all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento al R.D. n. 1775 del 1933, artt. 167 e 196, per la mancata integrazione dell’istruttoria tramite apposita CTU volta ad accertare l’assenza, nel caso di specie, di un flusso idrico e/o di una massa d’acqua suscettibile di essere utilizzata ai fini pubblicistici, con conseguente inapplicabilità dei divieti di edificazione di cui al R.D. n. 523 del 1904, art. 96, lett. f)”.

II. I quattro motivi del ricorso del *****, che vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione, risultano infondati.

Deve premettersi che, avverso le decisioni pronunciate, in unico grado o in grado d’appello, dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, il ricorso per cassazione è ammesso, ai sensi dell’art. 111 Cost., per violazione di legge, e soltanto per vizi della motivazione che si traducano nella sua inesistenza, contraddittorietà o mera apparenza, non essendo consentito al giudice di legittimità la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle “quaestiones facti”, la quale comporterebbe un raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (Cass. Sez. U., 06/11/2018, n. 28220).

L’affermazione contenuta nell’impugnata sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, secondo cui “il divieto di edificazione entro la fascia di servitù idraulica ha carattere assoluto ed inderogabile, senza che possa aver alcun rilievo il tempo trascorso dall’abuso o la quantità d’acqua effettivamente fluente”, enuclea dalla regola di diritto dettata dal R.D. 25 luglio 1904, n. 523, art. 96, lett. f), un contenuto conforme all’interpretazione della stessa disposizione fornita dalla giurisprudenza di legittimità.

Il R.D. 25 luglio 1904, n. 523, art. 96, lett. f), vieta “in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese”, fra l’altro, le “fabbriche” a distanza “minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località”, ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri dieci.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, i divieti di edificazione sanciti dal R.D. n. 523 del 1904, art. 96, sono informati alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ovvero di assicurare il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici. Pertanto, si deve escludere l’operatività dei divieti connessi alla sua sussistenza soltanto quando risulta oggettivamente non sussistente una massa di acqua pubblica suscettibile di essere utilizzata ai predetti fini, e sempre che non sia nemmeno verosimile la ricostituzione della stessa per eventi naturali (Cass. Sez. U, 28/09/2016, n. 19066; Cass. Sez. U., 30/07/2009, n. 17784; Cass. Sez. U., 05/07/2004, n. 12271).

Le censure poste dal ***** si incentrano unicamente su elementi di fatto – quali l’attuale assenza di una massa d’acqua nell’alveo del torrente *****, l’essere quest’ultimo dismesso da anni, giacchè oggetto di modificazione riduttiva con deviazioni di percorso a monte, la sua utilizzazione a passaggio pedonale – che non appaiono decisivi in relazione alla denunciata violazione o falsa applicazione del R.D. n. 523 del 1904, art. 96, lett. f), non risultando accertato che l’alveo del torrente fosse asciutto già da epoca precedente alla costruzione del complesso immobiliare (in maniera da escludere che alcuna originaria interferenza avesse avuto il manufatto sul regime idraulico di libero deflusso delle acque), e neppure risultando dedotto che la presenza di una massa d’acqua pubblica non potesse verosimilmente ricostituirsi per effetto di eventi naturali. Per il resto, i motivi di impugnazione rappresentano inammissibili richieste di verifica della sufficienza o della logicità della motivazione della sentenza, richieste che, come premesso, implicherebbero un raffronto tra le ragioni del decidere e le emergenze probatorie non consentito in sede di ricorso avverso le decisioni del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche.

Rimane altresì estranea al sindacato di legittimità sulla sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, nella specie in controversia relativa al diniego di rilascio di concessione in sanatoria, opposto dall’autorità in ragione dell’edificazione dell’immobile da condonare in violazione della fascia di rispetto di cui al R.D. 25 luglio 1904, n. 523, art. 96, lett. f), la verifica sull’affidamento ingenerato dai pareri favorevoli espressi nel corso dell’istruttoria del procedimento, affidamento che la sentenza impugnata ha, peraltro, esplicitamente negato in considerazione della natura “contra legem” di tali atti consultivi.

Da ultimo, va considerato come il dato oggettivo della perdurante invasione della fascia di rispetto ed il regime di inedificabilità assoluta al fine di prevenire l’alterazione del regime idraulico costituivano ragioni coerentemente ostative alla pertinenza della consulenza tecnica d’ufficio, della cui mancata ammissione il ricorrente si duole col quarto motivo di impugnazione.

III. Il ricorso va perciò rigettato, con condanna del ricorrente a rimborsare alla Regione Veneto le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo. Non occorre provvedere al riguardo per l’intimato Comune di Garda, il quale non ha svolto attività difensive in questo giudizio.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2020

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