Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.766 del 16/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33591-2018 proposto da:

U.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato VALENTINA SASSANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI TORINO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, depositato il 09/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 14/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA TRICOMI.

RITENUTO

che:

Con ricorso del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, U.C., nato in Nigeria, chiedeva al Tribunale di Torino che gli venisse riconosciuta una delle diverse misure di protezione internazionale, erroneamente denegate dalla Commissione territoriale. Il giudice adito rigettava la domanda.

Il ricorrente aveva narrato di essere fuggito dalla Nigeria per motivi religiosi, temendo ritorsioni nei suoi confronti: infatti, parte dei membri del villaggio lo avevano minacciato di morte ed aggredito per indurlo ad assumere l’esercizio delle funzioni sacerdotali già svolte dal padre, ma egli aveva rifiutato perchè di religione cristiana e si era allontanato dal villaggio e poi dalla Nigeria.

Il Tribunale non ha ritenuto credibile il racconto.

Ha valutato quindi, ai fini della domanda di protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), le condizioni socio/politiche della zona del sud della Nigeria, di provenienza del richiedente, escludendo la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata nel Paese sulla scorta di fonti internazionali espressamente indicate, ed ha negato la protezione umanitaria non ravvisando peculiari situazioni personali di vulnerabilità.

Il richiedente ha proposto ricorso per cassazione con tre mezzi; il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

E stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380 – bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11, lett. a), perchè il Tribunale, pur avendo fissato l’udienza di comparizione stante la indisponibilità della videoregistrazione del colloquio avanti alla Commissione, non aveva disposto una nuova audizione del richiedente.

Il motivo è infondato.

La decisione impugnata è conforme al principio secondo il quale “Nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale solo se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero.” (Cass. n. 5973 del 28/02/2019; cfr. sent. CGUE 26/7/12017 in causa C-348/16).

Non merita pertanto censura il decreto impugnato, il quale, nel escludere la necessità di procedere all’audizione, ha adeguatamente giustificato tale decisione mediante la sottolineatura della sufficienza delle informazioni acquisite (Cass. n. 2817 del 31/01/2019).

Inoltre la stessa censura risulta generica ed esplorativa perchè non è accompagnata dall’indicazione che tale audizione era stata effettivamente richiesta e delle circostanze che sarebbero state illustrate nel corso dell’espletamento di tale incombente.

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c) o, comunque, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. Il ricorrente si duole del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria e sostiene che il Tribunale abbia erroneamente valutato la situazione generale della Nigeria.

Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale, previa specifica indicazione delle fonti ufficiali di conoscenza (Human Rights Watch 2015 – Nigeria; International Committee of the Red Cross – Nigeria 2015; COI Nigeria, Fear of Boko Haram – giugno 2015; etc.) e della situazione politico/sociale ivi rappresentata, ha escluso in concreto il dedotto rischio del ricorrente di subire, in caso di rientro nella zona della Nigeria di sua provenienza un danno grave nel senso di cui all’art. 14, lett. c), risultando gli attacchi terroristici e le situazioni di violenza concentrate nella zona del Nord-est del Paese: tale motivazione risulta rispondente ai requisiti minimi richiesti, mentre la censura si risolve in una impropria sollecitazione alla rivalutazione dei fatti, senza che i precedenti giurisprudenziali di merito evocati possano assumere alcun rilievo, essendo frutto di valutazioni compiute sulla scorta della peculiarità del caso concreto esaminato.

2. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 5, comma 6, del TUI. Il ricorrente si duole del mancato riconoscimento della protezione umanitaria e sostiene che il Tribunale non ha considerato l’integrazione del richiedente, conseguente allo svolgimento di un’attività lavorativa a tempo determinato, il lungo viaggio migratorio affrontato e l’esposizione alla lesione del diritto alla salute in relazione ad un Paese di origine che non offre garanzie di vita, ragioni idonee a fondare il riconoscimento della protezione richiesta.

Il motivo è inammissibile.

Giova ricordare, in tema di protezione umanitaria, che la condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento di tale forma di protezione deve essere ancorata a “una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio” (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione), dovendosi apprezzare la situazione particolare del singolo soggetto, non quella del suo paese d’origine in termini generali ed astratti.

E’ del tutto evidente che in presenza di un racconto non circostanziato e non credibile – come da accertamento del Tribunale non impugnato – non esista alcuna possibilità di comparazione con la situazione in cui il ricorrente aveva vissuto prima dell’allontanamento e la questione dell’integrazione risulta priva di decisività, così come le doglianze svolte in termini astratti e non personalizzate.

4. In conclusione il ricorso va rigettato.

Non si provvede sulle spese, in assenza di attività difensiva della controparte.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Rigetta il ricorso;

– Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2020

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