LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9292-2015 proposto da:
T.A., elettivamente domiciliato in ROMA, V.MARCO PAPIO 15, presso lo studio dell’avvocato PAOLO GARGIULO, rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE DE VITO;
– ricorrente e c/ricorrente all’incidentale –
contro
A.I., rappresentato e difeso dall’avvocato ENRICO SPITALI;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
C.M., in qualità di madre esercente la potestà
genitoriale sulle minori F.S. e F.C. eredi di FI.SE., rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO ANDRACCO;
– controricorrente al ricorso principale e all’incidentale –
contro
CI.LU., rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI PALUMBO;
– controricorrente al ricorso principale e agli incidentali –
nonchè
B.M., in qualità di vedova e coerede di FI.SE., elettivamente domiciliata in ROMA, P.LE CLODIO 32, presso lo studio dell’avvocato COSTA GIANCARLO, rappresentata e difesa unitamente all’avvocato REBAUDO GIANNI;
– ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 305/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 07/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/04/2019 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI.
FATTI DI CAUSA
Fi.Se., con atto di citazione del 29 ottobre 2001, conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Sanremo, lamentando vizi della casa acquistata il 28.7.1995, Ci.Lu., venditore, A.I., progettista, e T.A., costruttore, esponendo che tali difetti (infiltrazioni d’acqua nelle fondamenta, crepe etc.) erano già stati accertati con accertamento tecnico preventivo e chiedendo le somme necessarie alla loro eliminazione, nonchè il risarcimento dei danni.
Si costituiva: 1) Ci.Lu., eccependo decadenza e prescrizione dell’azione svolta da Fi.Se. e chiedeva di essere manlevato da T.A. e da A.I.. 2) A.I. eccependo il difetto di rapporti contrattuali con l’attore FI.Se., nonchè la prescrizione. 3) T.A., rilevando di avere semplicemente svolto i lavori in cemento armato dal maggio 1992 al 1993 e successive opere di rifinitura su richiesta dell’acquirente e attore FI.Se.. Eccepiva la decadenza, essendo la consegna dell’immobile risalente a luglio 1996.
Nel corso del processo veniva svolta consulenza tecnica di ufficio ed erano assunte prove testimoniali.
Il Tribunale di Sanremo con sentenza n. 495 del 2010 accoglieva le domande di FI.Se. verso T.A., condannandolo al pagamento della somma di Euro 344.004,21, oltre accessori.
Rigettava le domande svolte verso CI.Lu. e dichiarava il difetto di legittimazione passiva di A.I.. Le chiamate in causa venivano rigettate. Le spese seguivano la soccombenza di T.A. e venivano compensate fra l’attore FI.Se. e A.I. e CI.Lu..
Rilevava il Tribunale che l’azione svolta da FI.Se. andava qualificata in base ai rapporti negoziali intercorsi fra le parti. In particolare, il contratto intercorso fra FI.Se. e CI.Lu. era da qualificarsi come vendita, avendo questi venduto un fabbricato al grezzo in corso di costruzione e assunto, pertanto, un’obbligazione di dare e non di fare, come, invece, sarebbe stato proprio dell’appalto. Da ciò, discendeva l’applicabilità delle norme in tema di garanzia della vendita e la conseguente prescrizione annuale di cui all’art. 1495 c.c., comma 3, essendo stato consegnato l’immobile venduto a FI.Se. in data 2.1.1995 e non constando atti interruttivi prima della domanda giudiziale.
Quanto al rapporto FI.Se. – A.I., il Tribunale rilevava l’assenza di qualsivoglia rapporto contrattuale fra gli stessi. Infatti, la parte progettuale dell’edificio era stata redatta dietro incarico di CI.Lu. e A.I. era stato revocato dalla carica di Direttore dei lavori in data 5.2.1995. Inoltre, ad abundantiam, il Tribunale rilevava che A.I. aveva consigliato un adeguato isolamento del terreno posto a monte del muro di contenimento; il che avrebbe evitato le infiltrazioni d’acqua che costituivano la maggior causa dei danni lamentati. Dal che l’impossibilità di ascrivere allo stesso errori progettuali.
Il rapporto FI.Se. – T.A. veniva qualificato dal Tribunale, in termini di appalto, avendo quest’ultimo eseguito la parte muraria dell’edificio ed essendo rimasta non provata la sua vantata qualifica di artigiano, operante nell’ambito di un mero contratto d’opera. Da ciò, conseguiva la responsabilità di FI.Se. ex artt. 1667 e 1669 c.c., la quale ultima norma sarebbe stata esclusa dalla esistenza di un contratto d’opera, in luogo di un contratto di appalto. Sebbene il problema delle infiltrazioni fosse ben noto a FI.Se. sin dal momento dell’acquisto dell’immobile al grezzo o, comunque, nel successivo periodo di costruzione, l’applicabilità dell’art. 1669 c.c. indipendentemente dalle norme richiamate dall’attore, rendeva procedibile la domanda, che si prescriveva in un anno dalla denunzia, la quale, a sua volta doveva essere presentata entro un anno dalla scoperta dei difetti. Tale scoperta doveva farsi risalire al momento dell’accertamento tecnico preventivo, che solo aveva dato contezza all’attore FI.Se. della gravità del problema e la denunzia era identificabile con l’atto di citazione introduttivo del giudizio. La consulenza tecnica di ufficio aveva accertato che il fabbricato insisteva su un vuoto invaso da acqua, formatasi a seguito del mancato isolamento della costruzione dal terrapieno posto a monte, oltre ad altri difetti. Difetti che non potevano che essere addebitati ad T.A., unica impresa che avesse operato al momento dell’installazione dei manufatti difettosi. Il drenaggio del muro di contenimento era anch’esso ascrivibile ad T.A., poichè la consistenza dell’immobile al momento dell’acquisto da parte di FI.Se. era asseverata da perizia allegata al rogito di acquisto, ove si dava atto della parziale esecuzione dei muri interessati dal problema. Sul quantum, la sentenza accoglieva le risultanze della consulenza tecnica di ufficio.
T.A. impugnava la sentenza, per diversi motivi ed essenzialmente per erronea qualificazione del rapporto contrattuale: 1) FI.Se. – CI.Lu., il quale ultimo era qualificabile non come semplice venditore, bensì anche come costruttore – ai fini dell’applicabilità nei suoi confronti dell’art. 1669 c.c. – avendo provveduto ad eseguire opere relative all’immobile; 2) del rapporto contrattuale T.A. – CI.Lu., essendo il primo mero esecutore delle opere commessegli da quest’ultimo. 3) del rapporto contrattuale T.A. – FI.Se., qualificato come mero contratto d’opera e non appalto, stante le minime dimensioni dell’attività svolta dal primo nel cantiere ed il fatto che questo lavorasse “in economia”.
Si opponevano all’accoglimento dell’appello principale:
1) CI.Lu. ribadendo le difese già esperite in primo grado. In particolare, il fatto che i muri di contenimento, al momento della alienazione del fabbricato al grezzo da parte sua a FI.Se., erano stati edificati solo in parte e, in genere, le opere che avevano mostrato difetti di costruzione non fossero ancora state realizzate. Sottolineava l’estraneità del venditore all’area di responsabilità ex art. 1669 c.c. Ribadiva la propria richiesta di manleva nei confronti di A.I. in caso di accoglimento dell’appello di T.. A sua volta, proponeva, appello incidentale: per erroneo regolamento delle spese, nella parte in cui queste erano state compensate nel rapporto fra CI.Lu. e FI.Se.:
2) FI.Se., che proponeva appello incidentale: per erronea esclusione della responsabilità di CI.Lu. ex art. 1669 c.c., non potendo questi essere ritenuto quale mero venditore, avendo egli eseguito parte delle opere dalle quali era scaturito il danno.
3) A.I., che proponeva appello incidentale, per erronea regolamentazione delle spese processuali, compensate nel rapporto con FI.Se. e con CI.Lu..
La Corte di Appello di Genova, con sentenza n. 349 del 2014, rigettava l’appello e confermava la sentenza impugnata. Condannava T.A. a rimborsare a Fi.Se. e a Ci.Lu. le spese del secondo grado del giudizio, compensava le spese del grado relative agli altri rapporti processuali. Secondo la Corte distrettuale, i vizi relativi alla sovrastruttura nelle finiture non eseguite a regola d’arte non potevano che essere ascritti a T.A., il solo che avesse posto mano al fabbricato venduto da Ci.Lu. a Fi.Se.. Il dies a quo relativo alla denunzia dei vizi di cui all’art. 1669 c.c. non può che decorrere dalla piena conoscenza che l’acquirente abbia della loro portata e delle loro cause specie, ove tali vizi richiedono come nel caso, un’approfondita indagine.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da T.A. con ricorso affidato a sette motivi e con separato ricorso anche da B.M. coerede di Fi.Se., per un motivo. Gli eredi di Fi.Se. ( C.M., F.S., F.C.) Ci.Lu., A.I. hanno resistito ciascuno con separato controricorso. A.I. ha proposto ricorso incidentale affidato a due motivi. Gli eredi di Fi.Se. e T.A. hanno resistito al ricorso incidentale di A.I. con separati controricorsi. Hanno depositato memorie A. e Ci..
In data 15 maggio 2015, l’avv. L’avv. De Vito Raffaele (procuratore di T.A.) chiedeva a questa Corte, che venisse disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle due eredi legittime di Fi.Se. e cioè a) della moglie legalmente separata B.M. e della figlia legittima F.D..
RAGIONI DELLA DECISIONE
A) Preliminarmente va precisato che il ricorso di T.A. risulta notificato (19-20/03/2015) prima del ricorso di B.M. (22 aprile 2015) e pertanto, il ricorso di quest’ultima (erede legittima di Fi.Se.) va considerato quale ricorso incidentale.
B) Sempre in via preliminare il Collegio rileva che non è necessario l’integrazione del contraddittorio nei confronti di F.D. posto che il ricorso di T. è infondato e va rigettato.
Come è stato già detto da questa Corte (sent. 4850 del 2017) il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice di evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da sostanziali garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato sarebbe superflua la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti, atteso che la stessa si tradurrebbe in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali.
A.= Ricorso principale proposto da T.A.
B.= Ricorso incidentale di B.M. (coerede di Fi.Se.).
1.= Va qui premesso che il primo motivo del ricorso di T.A. è sostanzialmente identico all’unico motivo del ricorso della B.M. perchè prospettano l’identica questione relativa all’applicazione della normativa di cui all’art. 1669 c.c. anche al rapporto tra F. (acquirente) e Ci. (venditore).
1.a = Con il primo motivo, T.A. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1669 c.c. (con particolare riferimento, intanto, alla posizione di Ci.Lu. nel rapporto con Fi.Se.), oltre che degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 testo vigente).
1.b.= Con l’unico motivo la sig.ra B. lamenta la falsa applicazione e violazione dell’art. 1669 c.c. per non avere la Corte di Appello ritenuto l’impresa Ci. responsabile dei vizi evidenziati nella CTU ing. Co., ai sensi del predetto articolo, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Secondo entrambi i ricorrenti ( T. e B.), la Corte distrettuale, nel ritenere che Ci. avesse assunto solo la veste di venditore del fabbricato e non anche quella di costruttore, non avrebbe considerato che il Ci. (venditore), pur essendosi avvalso dell’opera dell’appaltatore e direttore dei lavori, aveva mantenuto, comunque, il potere di impartire direttive e di sorveglianza dell’attività, tale che la costruzione poteva essere ricondotta ad esso venditore. Tale posizione del Ci. sarebbe confermata, secondo i ricorrenti, non solo dagli interrogatori formali resi dal Ci. e dal Fi., ma anche dai testi escussi, se correttamente interpretati.
1.1.= I motivi sono infondati.
E’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la disposizione di cui all’art. 1669 c.c., configura una responsabilità extracontrattuale di ordine pubblico, sancita per finalità di interesse generale, che trascende i confini dei rapporti negoziali tra le parti. Pertanto, l’azione di responsabilità prevista dalla suddetta norma può essere esercitata, non solo dal committente contro l’appaltatore, ma anche dall’acquirente contro il venditore che abbia costruito l’immobile sotto la propria responsabilità, allorchè lo stesso venditore abbia assunto nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti una posizione di diretta responsabilità nella costruzione dell’opera e sempre che si tratti di gravi difetti i quali, al di fuori dell’ipotesi di rovina ed evidente pericolo di rovina, pur senza influire sulla stabilità dell’edificio, pregiudicano o menomano in modo rilevante il normale godimento, la funzionalità o l’abitabilità del medesimo (v. Cass. n. 9370 del 2014). In altri termini, l’art. 1669 c.c. trova applicazione, oltre che nei casi in cui il venditore abbia provveduto alla costruzione con propria gestione di uomini e mezzi, anche nelle ipotesi in cui, pur avendo utilizzato l’opera di soggetti estranei, la costruzione sia, comunque, a lui riferibile in tutto o in parte per avere ad essa partecipato in posizione di autonomia decisionale, mantenendo il potere di coordinare lo svolgimento dell’altrui attività o di impartire direttive o di sorveglianza, sempre che la rovina o i difetti dell’opera siano riconducibili all’attività da lui riservatasi (Cass. n. 16202 del 2007).
Ora, nel caso in esame la Corte distrettuale con propria motivazione, non sindacabile nel giudizio di legittimità, in quanto razionalmente convincente, ha accertato che Ci.Lu. non aveva partecipato a tutta la prima fase di costruzione del fabbricato “(….) ivi compreso il muro a monte del quale a causa dell’insufficiente drenaggio si forma il percolamento di acqua verso il vuoto sanitario del quale parla la consulenza tecnica di ufficio In tale prima fase, è pacifico che egli si occupò dello sbancamento del terreno giovandosi dell’operato del Direttore dei Lavori A.I. (…..) tutta la restante edificazione del fabbricato compresa quella che è all’origine delle forti infiltrazioni nella parte basale dello stesso fu oggetto del contratto di appalto del 27 luglio 1992. (….) Dell’intervento effettivo di Ci.Lu. nell’edificazioni di fondazioni, muri e telaio non si è prova alcuna in atti e, di certo, non bastano le generiche testimonianze acquisite al giudizio (…)”.
1.2.= Giova, altresì, evidenziare che non solo l’accertamento effettuato dalla Corte distrettuale trova pieno fondamento nelle prove acquisite in giudizio, ma, e soprattutto, non può essere travolto da una diversa lettura dei documenti e delle prove testimoniali acquisite, dovendosi considerare che il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza – nonchè di individuare le fonti del proprio convincimento, scegliendo tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti – spetta in via esclusiva al giudice del merito. Sicchè, la deduzione con il ricorso per Cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, restando escluso che le censure concernenti il difetto di motivazione possano risolversi nella richiesta alla Corte di legittimità di una interpretazione delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito.
2.= Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 testo vigente). Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale nel riconoscere la sola responsabilità del T. non avrebbe valutato correttamente le prove acquisite e non avrebbe neppure verificato i nessi di casualità fra quanto realizzato dal T. ed i vizi lamentati. In particolare, la Corte distrettuale non ha considerato che agli atti mancava la prova che il “vuoto sanitario” o il muro di contenimento fossero stati realizzati dal T.. E di più, la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto, neppure, del fatto che l’appaltatore ( T.) aveva reso edotto il committente dell’erroneità e dell’incongruenza delle istruzioni impartitegli e, ciononostante, ha dovuto seguire le istruzioni impartite dal Ci..
2.1.= Il motivo è infondato, oltre a presentare tutt’altro che irrilevanti e secondari profili di inammissibilità. Il ricorrente, infatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 mediante una specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie astratta applicabile alla vicenda processuale, si volge, piuttosto, ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali, così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto irricevibili. La valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere in alcun modo tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale, ovvero vincolato a confutare qualsiasi deduzioni difensiva.
Nel caso in esame la Corte distrettuale ha ampiamente chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto che Ci. nel caso concreto avesse assunto la veste di venditore e che i difetti costruttivi erano imputabili solo all’azione dell’appaltatore, che ha operato in via autonoma e con l’assunzione di ogni responsabilità di gestione, escludendo ad un tempo che Ci. avesse assunto e mantenuto una sorveglianza sullo svolgimento dell’altrui attività. “(….) dell’intervento effettivo di Ci.Lu. “scrive la Corte “(…) nell’edificazione di fondazioni muri e telaio non vi è prova alcuna in atti e di certo non bastano le generiche testimonianze (…..) Del resto lo stesso T.A. nel formulare i capitoli di prova nn. 1) e 2) e 4) di cui alla sua memoria istruttoria del 29 gennaio 2003 postula l’esecuzione da parte sua della parte in muratura della costruzione limitando il ruolo di Ci.Lu. a quello di esecutore degli scavi di fondazione e di tracciatore (non di esecutore) del fabbricato e dei muri di contenimento (…).
2.2.= Giova ricordare che, dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012, applicabile alla sentenza impugnata in quanto pubblicata il 9 gennaio 2015, non trova più accesso al sindacato di legittimità il vizio di mera insufficienza od incompletezza logica dell’impianto motivazionale per inesatta valutazione delle risultanze probatorie, qualora dalla sentenza sia evincibile una “regula juris” che non risulti totalmente avulsa dalla relazione logica tra “premessa (in fatto) – conseguenza (in diritto)” che deve giustificare il “decisum”.
3.= Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1655,1658,1667 c.c. e art. 1669 c.c. relativamente ai rapporti tra Ci. e T. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata non avrebbe fatto corretta applicazione della normativa di cui agli artt. 1667 e 1669 c.c., anche, perchè non avrebbe tenuto conto che il Ci., come risulterebbe dall’intero contesto della espletata istruttorio non aveva lasciato al T. la completa autonomia tecnica e decisionale, tanto che il T. ha agito quale nudus minister.
3.1.= Il motivo rimane assorbito nel rigetto dei motivi precedenti e, comunque, è al pari dei precedenti infondato.
L’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità, soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo.
Epperò nel caso in esame, la Corte distrettuale ha escluso, con motivazione condivisibile, che il Ci. abbia rivestito il ruolo di semplice nudus minister, cioè, abbia realizzato l’opera appaltata, secondo le direttive del nuovo proprietario ( F.) o del vecchio precedente proprietario ( c.), specificando che tutte le testimonianze erano in senso contrario, nè l’appaltatore T. aveva offerto la prova di aver agito quale mero esecutore di direttive vincolanti del committente.
4.= Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1669 c.c. in correlazione e rispetto, invece, all’art. 2226 c.c., in specie nel rapporto T./ Fi., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale nel qualificare il contratto intercorso tra Fi. e T. non avrebbe tenuto conto che tutti gli elementi di causa inducevano a ritenere che il contratto concluso tra il T. e il Fi. fosse un contratto d’opera. Infatti, minime erano le dimensioni dell’attività con cui operava il T. in cantiere (questi lavorava personalmente, facendosi aiutare da pochi collaboratori come affermano i testi escussi), i lavori commissionati dal Fi. nel contratto erano in economia, senza il direttore dei lavori che coordinasse gli interventi e con la presenza in cantiere di una pluralità di imprese.
4.1.= Anche questo motivo non ha ragion d’essere e non coglie nel segno voluto.
E’ noto come, preliminare alla qualificazione del contratto, sia la ricerca della comune volontà delle parti, che costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice di merito. Sicchè, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione sia contestata la qualificazione da quest’ultimo attribuita al contratto intercorso tra le parti, le relative censure, per essere esaminabili, non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, ma debbono essere proposte sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri ermeneutici stabiliti dagli artt. 1362 ss. c.c. e, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, devono essere accompagnate dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire in sede di legittimità la verifica dell’erronea applicazione della disciplina normativa (ex multis Cass. 4 giugno 2010, n. 13587), sussistendo nella specie tra le parti (come è detto in sentenza) due contratti di appalto, un primo del 27 luglio 1992 e un secondo successivo, ma senza data.
4.2.= Senza dire che l’azione di responsabilità prevista dall’art. 1669 c.c. che configura una responsabilità extracontrattuale di ordine pubblico, sancita per finalità d’interesse generale, è esperibile contro ogni costruttore, per tale intendendosi chi abbia costruito l’immobile sotto la propria responsabilità, senza che abbia rilievo la specifica identificazione del rapporto giuridico (appalto o contratto d’opera) in base al quale la costruzione è stata effettuata.
5.= Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1667,1669 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 relativamente alla mancanza totale di motivazione sulla gravità o meno dei vizi in questione quale riconducibile alla previsione di cui all’art. 1669 anzichè all’art. 1667 c.c.. Omesso esame su un punto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5). Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale nel ricomprendere, tout cour, tutti i vizi e difetti dell’opera nell’ambito della normativa di cui all’art. 1669 c.c. non avrebbe distinto i semplici vizi e difformità previsti dall’art. 1667 c.c., ed i gravi difetti contemplati dall’art. 1669 c.c. Distinzione questa rilevante anche ai fini delle diverse decadenze e prescrizioni.
5.1. = Il motivo è inammissibile perchè generico, dato che il ricorrente non specifica, neppure, in questa sede, quali fossero i vizi che la Corte distrettuale avrebbe dovuto riferire alla normativa di cui all’art. 1667 c.c. Piuttosto, la Corte ha avuto modo di chiarire che “(…) il fabbricato insiste su un “vuoto sanitario” invaso da acqua stagnante di provenienza meteorica, contenente sostanze aggressive. (….) Da ciò, derivano condizioni insalubri, degrado delle strutture e delle finiture pericolamenti ed infiltrazioni al piano terra (….) Vi sono poi vizi relativi alla sovrastruttura nelle finiture non eseguite a regola d’arte o mancanti (….)”.
5.2.= E, giova, comunque, ricordare che configurano gravi difetti dell’edificio, a norma dell’art. 1669 c.c. anche le carenze costruttive dell’opera – da intendere anche come singola unità abitativa – che pregiudicano o menomano in modo grave il normale godimento e/o la funzionalità e/o l’abitabilità della medesima, come, allorchè, la realizzazione è avvenuta con materiali inidonei e/o non a regola d’arte ed, anche, se incidenti su elementi secondari ed accessori dell’opera (quali impermeabilizzazione, rivestimenti, infissi, pavimentazione, impianti, etc.), purchè tali da compromettere la sua funzionalità e l’abitabilità ed eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorchè ordinaria, e, cioè, mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici o che mediante opere che integrano o mantengono in efficienza gli impianti tecnologici installati (così come ha già affermato questa Corte, in altra occasione, sent. n. 8149 del 2004).
6.= Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 1667,. 1669,2226 c.c. sotto il profilo del termine di decorrenza sia della denuncia dei vizi che della prescrizione della relativa azione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. La violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Omesso esame su un punto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5). Secondo il ricorrente, alla data della ATP del 24 aprile 2001 erano abbondantemente decorsi, sia i termini di decadenza, che di prescrizione previsti dall’art. 1667 c.c. (60 giorni dalla scoperta per la denuncia e due anni dal giorno della consegna per la prescrizione dell’azione) tenuto conto che la scoperta era da ritenersi contestuale all’esecuzione dei lavori trattandosi invero di vizi palesi e bene perfettamente riconoscibili dal Ci.. E, alla stessa conclusione, si giungerebbe, anche, con l’applicazione dell’art. 1669 c.c., in quanto anche in tal caso alla data della ATP sarebbero già decorsi sia i termini della denunzia entro un anno della scoperta sia quello della prescrizione.
6.1= Il motivo è infondato.
Per affermare l’infondatezza del motivo basta ricordare che il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti della costruzione di un immobile, previsto dall’art. 1669 c.c. a pena di decadenza dall’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera, non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti. L’accertamento del momento nel quale detta conoscenza sia stata acquisita, involgendo un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici o da errori di diritto (Cass. n. 4622/2002, n. 81/2000).
Nella specie, il giudice, con il suo insindacabile giudizio di merito, fa risalire la scoperta dei vizi alla data di deposito della relazione del consulente nominato in sede di accertamento tecnico preventivo. A fronte di quest’accertamento non giova opporre che i vizi di che trattasi al momento della consegna manifestavano una qualche visibilità (la presenza di acqua nella parti basse dell’edificio) perchè occorreva la conoscenza delle cause di tale fenomeno.
7.= Con il settimo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c. relativamente (in ipotesi subordinata) al concorso di colpa del Fi., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Omesso esame su un fatto decisivo. Il ricorrente lamenta che la Corte distrettuale non abbia tenuto conto di una responsabilità concorrente del Fi., il quale aveva rinunziato ad avvalersi di un direttore dei lavori e non avrebbe consentito una riduzione delle conseguenze dannose comprese le opere di drenaggio delle acque. E di più, la Corte distrettuale, sempre secondo il ricorrente, avrebbe addossato la responsabilità per danni derivanti da interventi di altre imprese.
7.1.= Anche questo motivo è infondato.
Giova osservare che l’appaltatore ha il preciso obbligo, normativamente sanzionato, di eseguire le opere a regola d’arte assicurando al committente un’opera esente da vizi e garantendo allo stesso un risultato tecnico conforme alle sue esigenze ed è tenuto a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni od i vizi dell’opera. Inoltre, l’appaltatore stante l’obbligo di eseguire a regola d’arte l’opera commessagli, deve osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli. Con la specifica intesa che al fine di assolvere il proprio obbligo di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, l’appaltatore è obbligato a controllare – come è già stato affermato da questa Corte (sent. N. 821 del 1983), nei limiti delle sue cognizioni tecniche, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente ed, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, ai titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera senza potere invocare il concorso di colpa del progettista o del committente. E di più, come, è stato già detto da questa Corte, (Cass. 2214/1975), neppure eventuali errori nelle istruzioni del Direttore dei Lavori esimono l’appaltatore da responsabilità, essendo egli tenuto a controllarli e correggerli, secondo diligenza e perizia e dovendo egli sempre uniformarsi alle regole tecniche.
Ora, nel caso in esame la Corte distrettuale ha osservato correttamente questi principi ed ha verificato che mancava la prova che il T. avesse agito quale nudus minister del Fi. e prima del Ci. (originario proprietario). Infatti, coerentemente con questi principi la Corte distrettuale ha avuto modo di chiarire “(….).Orbene, della causazione dei danni nell’esecuzione di un appalto risponde, di norma, l’appaltatore, cui è attribuita la discrezionalità tecnica necessaria per completare l’opus in modo non pregiudizievole o rischioso. Discrezionalità che, fra l’altro, tenendo presente le prescrizioni raccomandate dal Direttore dei lavori – poi revocato – A.I., non poteva che esplicarsi adottando una determinata condotta esecutiva (poi, nei fatti, non posta in essere). Il mancato assolvimento del debito di diligenza imposto al proprietario consistente nell’omissione della redazione del corretto progetto strutturale, cui l’appaltatore avrebbe dovuto conformarsi, e della mancata nomina di un direttore dei lavori imposto dal Regolamento edilizio del Comune di Sanremo, non può in alcun modo escludere la piena responsabilità dell’appaltatore. Questi, stante la sua capacità professionale di valutare l’inadeguatezza dell’opus così come realizzato, avrebbe dovuto espressamente informare il committente di tale inadeguatezza e, solo una specifica direttiva di quest’ultimo, che avesse ribadito la sua volontà di non eseguire opere supplementari di drenaggio, sarebbe stata per lui esimente, riducendolo al rango di nudus minister in mancanza di prova di tale ingerenza del committente, limitativa dell’autonomia dell’appaltatore – quale, anzi, era cognito delle diverse indicazioni fornite in proposito da Direttore dei lavori A.I. (…)”.
Ricorso incidentale di A.I..
8.= A.I. lamenta:
a) Con il primo motivo del ricorso incidentale, la violazione e falsa applicazione di norma di diritto ossia degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo il ricorrente incidentale sia la sentenza di primo grado e sia la sentenza della Corte di Appello hanno disposta l’integrale compensazione delle spese giudiziali nonostante siano state rigettate tutte le domande nei suoi confronti in primo grado quella principale di Fi. e quella di manleva di Ci. e in secondo grado quella di manleva di Ci..
b) Con il secondo motivo, Omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Secondo il ricorrente la Corte distrettuale avrebbe disposto la compensazione senza motivazione che non fosse puramente apparente: In primo grado la compensazione veniva giustificata “per la natura della controversia e la peculiarità della fattispecie”. In secondo grado la Corte distrettuale si limita ad affermare che “appare equo confermare la compensazione”.
8.1.= Entrambi i motivi, che per la loro innegabile connessione vanno esaminati congiuntamente, sono infondati.
Giova premettere che per la presente controversia, sorta nel 2001, non trova applicazione la formulazione del testo dell’art. 92 c.p.c. come introdotto dalla L. n. 263 del 2005 nè la quella di cui alla L. n. 69 del 2009, ma resta applicabile il testo precedente (in vigore fino al 28 febbraio 2006) secondo cui “se vi è soccombenza reciproca o soccorrono altri giusti motivi il giudice può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti”. Pertanto, ai sensi della normativa applicabile ratione temporis, il giudice di merito può compensare le spese di lite per giusti motivi senza obbligo di specificarli, e la relativa statuizione non è censurabile in Cassazione, poichè il riferimento a “giusti motivi” di compensazione denota che il giudice ha tenuto conto della fattispecie concreta nel suo complesso, quale evincibile dalle statuizioni relative ai punti della controversia. Nè, con riferimento al provvedimento di compensazione delle spese solo per la ritenuta sussistenza di giustificati motivi, senza ulteriore specificazione, risulta violato il principio di cui all’art. 111 Cost., secondo cui ogni provvedimento deve essere motivato, atteso che le ragioni che giustificano la compensazione vanno poste in relazione con la motivazione della sentenza e con tutte le vicende processuali, stante l’inscindibile connessione tra lo svolgimento della causa e la pronuncia sulle spese.
Alla luce di questa considerazioni, dunque, appare valida ed idonea a giustificare l’operata compensazione di cui si dice, la motivazione adottata dalla sentenza di primo grado e confermata e ribadita dalla Corte distrettuale, secondo cui la “natura della controversia e la peculiarità della fattispecie” giustificavano la compensazione delle spese tra A. e Fi. e A. e Ci..
In definitiva, va rigettato il ricorso di T.A. e i ricorsi incidentali di B.M. e di A.I.. A) T.A. e B.M. vanno condannati in solido a rimborsare le spese del presente giudizio a Ci.Lu., B) solo T.A. va condannato a rimborsare le spese del presente giudizio anche a C.M. (la quale ha agito in proprio e quale rappresentante delle figlie). C) La reciproca soccombenza è ragione per compensare le spese del presente giudizio tra T.A. e A.I.. D) A., a sua volta, va condannato a rimborsare le spese del presente giudizio alla sig.ra C. (che ha agito per se e quale rappresentante delle figlie). Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale e per i ricorsi incidentali, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna: A) T.A. e B.M., in solido a rimborsare le spese del presente giudizio a Ci.Lu. che liquida in Euro 5.200 di cui Euro 200 per esborsi oltre spese generali pari al 15% del compenso ed accessori come per legge, B) T.A. a rimborsare le spese del presente giudizio anche a C.M. (la quale ha agito in proprio e quale rappresentante delle figlie) che liquida in Euro 5.200 di cui Euro 200 per esborsi oltre spese generali pari al 15% del compenso ed accessori come per legge. D) A. a rimborsare le spese del presente giudizio, alla sig.ra C. (che ha agito per sè e quale rappresentante delle figlie) in Euro 5.200 di cui Euro 200 per esborsi oltre spese generali pari al 15% del compenso ed accessori come per legge. C) compensa le spese del presente giudizio tra T.A. e A.I.. Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato paria quello dovuto per il ricorso principale per i ricorsi incidentali, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile di questa Corte di Cassazione, il 8 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2020