LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22746/2014 proposto da:
G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI n. 119, presso lo studio dell’avvocato GIULIO DE CESARE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE MARINO;
– ricorrente principale –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– controricorrente ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 139/2014 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 01/04/2014 R.G.N. 761/2011.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’Appello di Caltanissetta, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato il ricorso, ha condannato il Ministero della Giustizia a corrispondere a G.S., ufficiale giudiziario inquadrato nell’area C, posizione economica C1, le differenze retributive maturate in conseguenza dello svolgimento di mansioni superiori riconducibili alla posizione C3, limitatamente ai giorni effettivamente lavorati nel periodo 8 marzo 2007/5 novembre 2009;
2. la Corte territoriale, ricostruito il quadro normativo e richiamata giurisprudenza di questa Corte, ha evidenziato che l’inquadramento degli ufficiali giudiziari preposti alla direzione degli uffici NEP è strettamente correlato alle caratteristiche dell’ufficio diretto perchè le parti collettive hanno voluto riservare ai dipendenti inquadrati nell’area C, posizione economica C3, la direzione di strutture caratterizzate da notevole complessità e rilevanza, mentre ha ricondotto ai profili professionali C1 e C2 rispettivamente la preposizione ad uffici di modeste dimensioni e di unità organiche degli uffici Nep aventi organizzazione complessa;
3. il giudice d’appello ha aggiunto che la valutazione dell’importanza dell’ufficio appartiene all’ambito delle scelte di macro-organizzazione riservate alla Pubblica Amministrazione, che non possono essere sindacate nel merito dal giudice ordinario, alla cui cognizione sono devoluti solo gli atti esecutivi assunti con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato;
4. nel merito la Corte ha accertato che l’ufficio NEP di Caltanissetta era stato classificato di notevole complessità e rilevanza con il D.M. 8 marzo 2007 e detta classificazione era stata mantenuta sino all’adozione del successivo D.M. 5 novembre 2009, con il quale le piante organiche degli uffici giudiziari erano state adeguate al nuovo sistema di classificazione del personale e riviste anche alla luce della complessiva riduzione delle risorse;
5. limitatamente al periodo sopra indicato ed ai giorni di effettivo servizio andavano riconosciute le sole differenze retributive, dovendosi escludere, alla luce della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, che l’esercizio di fatto di mansioni superiori potesse implicare anche il definitivo inquadramento dell’ufficiale giudiziario nell’area C, posizione economica C3, poi confluita nella fascia economica F4;
6. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso G.S. sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, ai quali ha resistito con tempestivo controricorso il Ministero della Giustizia che ha proposto ricorso incidentale affidato ad un’unica censura.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo il ricorrente principale denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione del C.C.I. 5/4/2000 con riferimento al c.c.n.l. comparto Ministeri, art. 13, e al D.M. 6 aprile 2001” nonchè violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. e addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente ritenuto che la valutazione sulla complessità e rilevanza dell’ufficio diretto dovesse essere riservata ad un atto di macro-organizzazione, non sindacabile nel merito dal giudice ordinario;
1.1. assume che la fondatezza della domanda doveva essere verificata alla luce delle previsioni contenute nel c.c.I. ed aggiunge che già con il D.M. 6 aprile 2001, il Ministero aveva previsto un posto di ufficiale giudiziario C3 nella pianta organica dell’ufficio NEP di Caltanissetta;
2. la seconda censura del ricorso principale, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, denuncia l’omesso esame del D.M. 6 aprile 2001, costituente fatto decisivo ai fini di causa, perchè già con il decreto in parola era stato previsto nella pianta organica della Corte d’appello di Caltanissetta un posto di ufficiale giudiziario C3;
3. con il terzo motivo G.S. si duole della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 4, ed assume che le differenze retributive dovevano essere riconosciute anche in relazione ai periodi di assenza per ferie e malattia, perchè non vi è ragione per differenziare dal riposo settimanale dette assenze, in relazione alle quali la tutela del lavoratore discende da principi di rilievo costituzionale;
4. con l’unico motivo di ricorso incidentale il Ministero della Giustizia denuncia la violazione della L. n. 724 del 1994, art. 22, comma 36 e rileva che erroneamente la Corte territoriale ha riconosciuto il cumulo di interessi e rivalutazione monetaria;
5. il primo motivo del ricorso principale non può essere scrutinato nel merito, perchè inammissibilmente si incentra sull’asserita violazione del CCI 5.4.2000 e del D.M. 6 aprile 2001, denunciata ex art. 360 c.p.c., n. 3;
5.1. da tempo questa Corte ha affermato che il particolare regime processuale dettato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 5 e dall’art. 360 c.p.c., n. 3, come riformulato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, non si applica ai contratti integrativi i quali, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dal contratto nazionale, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al comparto, con la conseguenza che la loro interpretazione è riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione, nei limiti fissati dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile ratione temporis (Cass. 19.3.2004 n. 5565; Cass. 22.9.2006 n. 20599; Cass. 5.12.2008 n. 28859; Cass. 19.3.2010 n. 6748; Cass. 25.6.2013 n. 15934; Cass. 14.3.2016 n. 4921);
5.2. a detti contratti non si estende, inoltre, il particolare regime di pubblicità di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8, sicchè vengono necessariamente in rilievo gli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, ed il ricorrente è tenuto a depositarli, a fornire precise indicazioni sulle modalità e sui tempi della produzione nel giudizio di merito, a trascrivere nel ricorso le clausole sulle quali si incentra la censura (si rimanda, fra le più recenti, a Cass. nn. 7981, 7216, 6038, 2709, 95 del 2018);
5.3. a tanto il ricorrente principale non ha provveduto, perchè non ha riportato nell’atto, quantomeno nelle parti essenziali, la disciplina contrattuale, non ha depositato in questa sede il contratto integrativo, non ha specificato dove, quando e da chi lo stesso era stato prodotto nel giudizio di merito ed infine non ha indicato le ragioni per le quali la Corte territoriale nell’interpretazione del contratto si sarebbe discostata dai criteri di ermeneutica, richiamati solo nella rubrica del motivo;
5.4. considerazioni analoghe vanno espresse quanto alla denunciata violazione del D.M. 6 aprile 2001, perchè questa Corte ha già evidenziato (Cass. nn. 2707 e 9137 del 2018) che il decreto ministeriale ha natura amministrativa e non normativa, con la conseguenza che in relazione allo stesso non opera il principio iura novit curia e grava sulla parte interessata l’onere della relativa produzione, che non ammette equipollenti (Cass. n. 15065/2014 e Cass. S.U. n. 9941/2009);
5.5. il ricorrente principale, oltre a denunciare inammissibilmente la violazione del D.M. ex art. 360 c.p.c., n. 3, allega l’atto al ricorso per cassazione ma non precisa se il documento, non esaminato dalla Corte territoriale, fosse stato o meno prodotto nel giudizio di primo grado, nel rispetto delle preclusioni fissate dal codice di rito;
6. analoghe considerazioni inducono a ritenere inammissibile anche il secondo motivo, formulato senza il necessario rispetto degli oneri imposti da Cass. S.U. n. 8053/2014, perchè il ricorrente principale, pur sostenendo che la questione era stata posta con le note difensive del 6 febbraio 2014, non deposita l’atto processuale in questa sede, non fornisce, come prescritto dal combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, indicazioni circa la sua allocazione nel fascicolo di parte o d’ufficio, non chiarisce se il documento, a suo dire decisivo ma invocato solo nelle richiamate note difensive (non nel ricorso di primo grado e nell’atto di appello), fosse già stato prodotto nel giudizio di merito;
6. il terzo motivo del ricorso principale è infondato, perchè il giudice d’appello, nel limitare la condanna al differenziale economico maturato nel periodo di effettivo servizio, ha richiamato a fondamento della decisione il principio di diritto affermato da questa Corte con la sentenza n. 20976/2011, alla quale il Collegio intende dare continuità, in quanto la censura non prospetta argomenti che possano indurre a rimeditare l’orientamento già espresso 6.1. il D.Lgs. n. 165 del 2001, in tutte le versioni succedutesi nel tempo, prevede, all’art. 52, comma 4, che in caso di legittima assegnazione a mansioni superiori il dipendente pubblico ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore, limitatamente al “periodo di effettiva prestazione”, ed al comma successivo aggiunge che negli altri casi l’assegnazione è nulla, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico e del maggiore onere risponde il dirigente che abbia agito con dolo o colpa grave;
6.2. il tenore letterale del comma 4 induce ad escludere che, nei casi di assegnazione legittima, il differenziale possa essere preteso nei periodi di sospensione dell’attività lavorativa, posto che il legislatore è chiaro nel correlare il diritto all’effettività della prestazione;
6.3. a maggior ragione il principio deve valere nell’ipotesi disciplinata dal comma 5, che, al pari dell’art. 2126 c.c., è attuazione del principio costituzionale sancito dall’art. 36 Cost., che impone di commisurare la retribuzione alla qualità e quantità del lavoro prestato (Cass. S.U. n. 25837/2007);
7. è invece fondato l’unico motivo di ricorso incidentale perchè la Corte territoriale, nel riconoscere “interessi e rivalutazione” sulle somme liquidate in favore dell’appellante, ha violato la L. n. 724 del 1994, art. 22, comma 36, che ha esteso ai crediti derivanti da rapporto di impiego pubblico maturati dopo il 1 gennaio 1995 il divieto di cumulo previsto per i crediti previdenziali dalla L. n. 412 del 1991, art. 16;
7.1. la sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, con la condanna del Ministero a corrispondere sulle somme liquidate D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 52, la maggior somma fra interessi legali e rivalutazione monetaria;
8. le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, devono essere poste a carico del ricorrente principale, in ragione della soccombenza, mentre per i gradi del giudizio di merito va confermata la statuizione della sentenza gravata;
9. sussistono, limitatamente al ricorso principale, le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso incidentale e rigetta il ricorso principale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso ed al motivo accolto e decidendo nel merito condanna il Ministero della Giustizia a corrispondere sulle differenze retributive la maggior somma fra interessi legali e rivalutazione monetaria. Conferma la liquidazione delle spese contenuta nella sentenza d’appello. Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.500,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 16 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2020
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