LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 968/2014 proposto da:
G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 132, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CIGLIANO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO NAZIONALE DELL’ECONOMIA E DEL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 10575/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 07/01/2013 R.G.N. 7023/2008.
RILEVATO
che:
1. G.A., dipendente del CNEL, inquadrata nel 6 livello, B2, profilo professionale di coordinatore amministrativo e contabile, conveniva in giudizio (insieme con le colleghe C.M., N.T., P.A.) innanzi al Tribunale di Roma l’Ente datore di lavoro chiedendo che fosse accertato lo svolgimento di mansioni superiori riconducibili all’8 livello, C2, con conseguente condanna del convenuto al pagamento delle differenze retributive;
2. il Tribunale, con decisione n. 14532/2007, accoglieva parzialmente il ricorso, riconosceva che la G. (come le altre ricorrenti) avesse svolto mansioni riconducibili al 7^ livello, C1 e condannava il CNEL al pagamento in suo favore della somma di Euro 15.637,42 (pronuncia poi oggetto di correzione del dispositivo, integrato con la condanna del CNEL anche al pagamento delle differenze retributive maturate a partire dal 1 gennaio 2005, quantificate in Euro 4.917,08);
3. la decisione era riformata dalla Corte d’appello di Roma, che con sentenza n. 10575/2012, in accoglimento dell’impugnazione del CNEL, respingeva l’azionata domanda;
3.1. rilevava innanzitutto la Corte territoriale carenze allegatine del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado;
3.2. evidenziava che la pretesa fosse stata fondata, per tutte le appellate, sulla sola circostanza dell’avvenuto svolgimento di mansioni in precedenza affidate a colleghi inquadrati nel livello superiore, dato questo sicuramente non idoneo a giustificare la invocata condanna dell’ente al pagamento delle differenze retributive D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 52, comma 5;
3.4. distinguendo, poi, le singole posizioni, riteneva, con riguardo all’odierna ricorrente, che le affermazioni di cui al ricorso secondo le quali la G. avrebbe svolto dal 3 febbraio 1997 mansioni di vice cassiere per i servizi del CNEL, con assunzione delle relative responsabilità, oltre a compiti presso l’ufficio del personale ed attinenti al trattamento economico dei dipendenti, fossero talmente generiche da non consentire l’effettuazione della indispensabile comparazione;
3.5. rilevava, in particolare, che in nessuna parte del ricorso si chiarisse in cosa fossero consistite le mansioni del vice cassiere e le responsabilità dello stesso, con quale frequenza la sostituzione fosse avvenuta e che analogamente il ricorso non precisasse la natura dei compiti svolti dalla G. presso l’ufficio del personale, sicchè l’unico elemento di concretezza era quello della assegnazione di mansioni in precedenza affidate ad un ottavo livello, circostanza che però, di per sè, non giustificava il diritto al trattamento stipendiale rivendicato;
3.6. precisava che la necessità di specificare la natura e la qualità delle attività espletate fosse evidente specie considerando che anche la gestione contabile con utilizzo di strumenti informatici rientrava nel profilo posseduto dalla G., sicchè era suo onere allegare e dimostrare che i compiti svolti in qualità di vice cassiere e di addetta alla contabilità del personale comportassero quelle elevate conoscenze, quei livelli di responsabilità e quei poteri di iniziativa che caratterizzano l’area C;
4. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione G.A. con tre motivi;
5. il CNEL ha resistito con controricorso;
6. la ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo la ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5) per avere la Corte territoriale ritenuto l’assoluta carenza di allegazione nel ricorso di primo grado preclusiva del raffronto comparativo tra mansioni superiori svolte e previsioni della contrattazione collettiva;
assume che dal quadro sinottico di quanto dedotto nel ricorso introduttivo, dalle allegazioni ivi contenute e dalle risultanze dell’espletata istruttoria fosse senz’altro emerso lo svolgimento delle mansioni superiori;
richiama la documentazione a suo tempo prodotta nel giudizio di merito che avrebbe dimostrato l’avvenuta attribuzione dell’incarico di vice cassiere e riporta gli esiti della prova testimoniale asseritamente favorevoli alla prospettazione di cui al ricorso;
2. con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 (art. 360 c.p.c., n. 3) per non avere la Corte territoriale riconosciuto le differenze retributive in relazione alla superiori mansioni svolte;
3. con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 99,101,115 c.p.c. e art. 111 Cost. (art. 360 c.p.c., n. 4) in relazione al ritenuto mancato raggiungimento della prova dello svolgimento delle mansioni superiori;
4. i motivi da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione, sono infondati;
4.1. le censure ruotano intorno all’asserita mancata considerazione da parte della Corte territoriale delle risultanze di cause ed in particolare della documentazione prodotta in allegato al ricorso di primo grado e degli esiti della prova orale che avrebbero dimostrato lo svolgimento da parte della G. di quelle mansioni oggetto di rivendicazione economica;
tuttavia le stesse non scardinano il punto nodale della motivazione della sentenza impugnata in cui sono state evidenziate carenze allegative del ricorso di primo grado in ordine ai fatti generatori del diritto preteso e così in ordine alle caratteristiche ed alla pienezza e prevalenza delle mansioni concretamente svolte, sotto il profilo qualitativo e temporale oltre che con riferimento alle responsabilità attribuite;
4.2. si ricorda, al riguardo, che una cosa è l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni, prescritta dall’art. 414 c.p.c., n. 4, la cui mancanza determina, ove non sanata, la nullità del ricorso con una pronuncia processuale, altro è, invece, un ricorso che, definibile per causa petendi e petitum quanto alla identificazione di cosa si chieda e perchè, non contenga l’allegazione di uno dei fatti costitutivi necessari per la fondatezza della medesima, cui consegue una pronuncia di rigetto nel merito;
tale seconda situazione è quella verificatasi nel caso in esame di una pretesa volta ad ottenere il riconoscimento di differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 (nel testo ratione temporis vigente, prima delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 150 del 2009) posto che, per principio generale, non ogni svolgimento di mansioni superiori determina il diritto al corrispondente trattamento economico ma solo l’attribuzione in modo prevalente sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di tali mansioni;
4.3. ed allora, a fronte della ritenuta carenza allegativa di cui sopra si è detto e delle conseguenze tratte dalla Corte territoriale in termini di infondatezza nel merito della pretesa fatta valere, non può la ricorrente, con la denuncia di omesso esame, addebitare ai giudici di appello di non aver compulsato la documentazione allegata al ricorso e le prove testimoniali;
4.4. peraltro, nel caso in esame, il difetto di allegazione, come evidenziato dalla Corte territoriale, non risiedeva solo nella mancata precisazione delle mansioni di vice cassiere o dei compiti presso l’ufficio del personale ma nella mancanza di ogni comparazione, con indicazione degli elementi di differenziazione, fra la declaratoria contrattuale rivestita e quella pretesa, a fronte delle mansioni espletate;
non è, evidentemente, sufficiente indicare i compiti svolti attraverso il richiamo ad una qualifica o categoria di riferimento ovvero limitarsi a citare la disposizione contrattuale dell’inquadramento preteso, ma occorre esplicitare, e poi rendere evidente sul piano probatorio, la gradazione e l’intensità (per responsabilità, autonomia, complessità, coordinamento, ecc.) dell’attività corrispondente al modello contrattuale invocato, rispetto a quello attribuito;
nè può, a tal fine, sopperire l’intervento ufficioso del Giudice che non solo ignora i dati fattuali di riscontro, ma neppure può interferire con il principio fondante la regola processuale, che impone a colui che dice l’onere di allegare (prima) e di provare (poi) gli elementi complessivi posti a sostegno della domanda;
4.5. con la prospettata censura la ricorrente si profonde in una disamina del materiale istruttorio, palesemente indirizzata ad una diversa soluzione di merito e dunque estranea alla finalità propria del giudizio di legittimità;
4.6. si ricorda che a seguito della riformulazione del testo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito in L. n. 134 del 2012, nell’interpretazione di cui al noto arresto costituito da Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053, l’omesso esame deve riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria): tuttavia il riferimento al fatto secondario non implica – e la citata sentenza n. 8053/2014 delle Sezioni Unite lo precisa chiaramente – che possa denunciarsi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche l’omessa o carente valutazione di determinati elementi probatori: basta che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario che il giudice abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti;
4.7. nel caso in questione i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale che, però, ha ritenuto, a monte, che le carenze allegative di cui al ricorso introduttivo e la mancanza di una analitica ricostruzione dei compiti effettivamente espletati (tanto con riferimento alle mansioni di vice cassiere, in relazione alle quali non era neppure indicato con quale frequenza la sostituzione avvenisse, quanto con riferimento alle mansioni quale addetta alla contabilità del personale, con la precisazione che la gestione contabile con utilizzo di strumenti informatici rientrava nel profilo posseduto dalla G.) non consentissero di effettuare il necessario raffronto comparativo tra le mansioni e le previsioni della contrattazione collettiva (ultronea, perciò, essendo ogni risultanza di causa, inidonea a colmare le carenze relative al contenuto caratterizzante il profilo professionale rivendicato ed agli elementi di diversità rispetto a quello rivestito);
sicchè non può certo trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dalla ricorrente;
4.8. nè maggior pregio ha la denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., atteso che non viene in rilievo l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della regola di giudizio fondata sull’onere della prova nel senso dell’attribuzione dell’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata, così che il rilievo si colloca al di fuori del novero di quelli spendibili ex art. 360 c.p.c., comma 1, in quanto, nonostante il richiamo normativo in esso contenuto, sostanzialmente sollecita una non consentita rivisitazione nel merito della vicenda (Cass., Sez. Un., 10 giugno 2016, n. 11892);
4.9. egualmente impropria è la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., ravvisabile soltanto nel caso in cui il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (v. ex allis Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598; Cass. 10 giugno 2016, n. 11892);
5. il ricorso deve, pertanto, essere rigettato;
6. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
7. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.500,00 per compensi professionali oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 16 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2020