LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11281/2014 proposto da:
M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARDINAL DE LUCA, 1, presso lo studio dell’avvocato ANGELA MARIA LORENA CORDARO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE BALISTRERI;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI GELA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA – Ostia Lido, VIALE PAOLO ORLANDO 25, presso lo studio dell’avvocato CALOGERO INFUSO, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA ANTONIA GIORDANO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 409/2013 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 16/10/2013 R.G.N. 354/2011.
RILEVATO
che:
1. con ricorso al Tribunale di Gela M.V., dipendente del Comune di Gela, inquadrato come operatore amministrativo, categoria A, premesso di aver svolto, dal mese di giugno 2006, mansioni superiori rispetto a quelle di inquadramento, conveniva in giudizio l’Ente datore di lavoro e chiedeva il riconoscimento dell’inquadramento nella categoria B, posizione economica B3 c.c.n.l. enti locali ed il pagamento delle differenze retributive in relazione al periodo dall’1/6/2006 al 30/4/2009;
il Tribunale con sentenza del 24 febbraio 2011 accoglieva la domanda e riconosceva il diritto del ricorrente al trattamento economico proprio della categoria B, posizione economica B3;
la Corte d’appello di Caltanissetta, decidendo sull’impugnazione del Comune di Gela, in parziale riforma della decisione di prime cure, riteneva che il D.M. avesse svolto mansioni riconducibili alla categoria B, posizione economica B1;
riteneva che, come evidenziato anche dal Tribunale, l’appellato, lavorando all’ufficio anagrafe del Comune avvalendosi del computer, preparando le certificazioni e effettuando le ricerche di archivio per le esigenze del pubblico, con il quale aveva continuamente contatto, avesse svolto mansioni non meramente esecutive e di carattere tecnico manuale come quelle corrispondenti alla categoria A di appartenenza (operatore amministrativo, ex III qualifica funzionale) bensì mansioni superiori riconducibili alla categoria B (cui appartengono lavoratori che svolgono attività caratterizzate da “buone conoscenze specialistiche ed un grado di esperienza discreto, contenuto di tipo operativo con responsabilità di risultati parziali rispetto a più ampi processi produttivi/amministrativi… relazioni con gli utenti di natura diretta”;
in particolare riteneva che le mansioni svolte dal D.M. fossero assimilabili a quelle di esecutore amministrativo, posizione economica B1, corrispondente alla previgente IV qualifica funzionale e non alla superiore posizione B3, corrispondente alla ex V qualifica funzionale, riservata a dipendenti che svolgono attività amministrativa complessa, che richiede preparazione tecnica e particolare conoscenza delle tecnologie del lavoro e sono dotati di autonomia operativa completa e di responsabilità diretta per l’attività svolta;
quanto al motivo di gravame con il quale il Comune aveva censurato la sentenza di primo grado per aver ritenuto sussistente il giudicato esterno costituito da altra sentenza del Tribunale di Gela (n. 358 del 4 luglio 2007), passata in giudicato, che aveva accertato lo svolgimento di mansioni superiori della categoria B, posizione economica B3, per il periodo dall’1/7/1998 al 30/9/2004, pur rilevando che tale giudicato non opera quando si tratti di accertare lo svolgimento in fatto di mansioni superiori, riteneva, tuttavia, che la fondatezza del rilievo non potesse condurre ad una riforma della sentenza di primo grado nella quale vi era stato comunque un accertamento autonomo dello svolgimento di mansioni superiori da parte dell’appellato, accertamento tenuto fermo quanto alla riconducibilità della mansioni alla categoria B, ancorchè disatteso con riguardo alla posizione economica;
2. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione D.M.V. con un motivo;
3. il Comune di Gela ha resistito con controricorso;
4. non sono state depositate memorie.
CONSIDERATO
che:
1. con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 324 c.p.c.;
sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nel non considerare l’effetto preclusivo del giudicato costituito dalla sentenza del Tribunale di Gela n. 358/2007 relativamente ai risvolti a supporto delle medesime mansioni superiori vantate per il diverso periodo successivo e per le quali, in precedenza, gli erano state riconosciute differenze retributive ascrivibili all’inquadramento nella categoria B, posizione economica B3, sicchè sarebbe illegittimo e quantomeno contraddittorio attribuire ad un medesimo fatto (svolgimento di mansioni identiche) una valutazione diversa da quella già accertata con provvedimento definitivo;
2. il motivo è inammissibile;
2.1. la denuncia di violazione del giudicato esterno se, da un lato, attribuisce a questa Corte il potere di “accertare direttamente l’esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito” (Cass., Sez. Un., 28 novembre 2007, n. 24664), dall’altro richiede pur sempre che il ricorrente assolva gli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4;
2.2. è stato affermato al riguardo che “poichè la sentenza prodotta in un giudizio per dimostrare l’esistenza di un giudicato esterno rilevante ai fini della decisione assume rispetto ad esso – in ragione della sua oggettiva intrinseca natura di documento – la natura di una produzione documentale, il requisito di ammissibilità del ricorso per cassazione indicato dall’art. 366 c.p.c., n. 6, concerne, in tutte le sue implicazioni, anche una sentenza prodotta nel giudizio di merito, riguardo alla quale il motivo di ricorso per cassazione argomenti la censura della sentenza di merito quanto all’esistenza, alla negazione o all’interpretazione del suo valore di giudicato esterno” (Cass. 18 ottobre 2011, n. 21560 e negli stessi termini Cass. 5 giugno 2014, n. 12658);
2.3. il motivo non contiene la trascrizione delle parti essenziali della sentenza che viene in rilievo (Tribunale di Gela n. 387/2007) e che non è neppure allegata al ricorso per cassazione, sicchè non fornisce alla Corte gli elementi necessari per valutare ex actis la rilevanza e la fondatezza delle censure che si incentrano sul precedente giudicato;
3. il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile;
4. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
5. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 16 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2020