LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TORRICE Amelia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14522/2014 proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, 12;
– ricorrente –
contro
P.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALDIER 43, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ROMANO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4533/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 09/08/2013 R.G.N. 10045/2009.
RILEVATO
che:
con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Napoli, riformando la contraria pronuncia del Tribunale di Benevento, ha accolto la domanda proposta da P.E., transitata dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato al Ministero dell’Economia e delle Finanze, in posizione di comando presso l’Università del Sannio, volta al riconoscimento del diritto al mantenimento dell’elemento accessorio della retribuzione denominato “compenso per la produttività collettiva”, sul presupposto che la norma di disciplina del trattamento retributivo al momento del passaggio predetto (L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 232) non distinguesse tra voci fisse e continuative e voci prive di siffatti caratteri, facendo riferimento soltanto al trattamento accessorio complessivo in godimento, sicchè il predetto elemento doveva ritenersi rientrare a pieno titolo a costituire la struttura della retribuzione il cui mantenimento doveva essere assicurato;
avverso tale sentenza il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo, al quale ha resistito con controricorso, poi illustrato da memoria, la P..
CONSIDERATO
che:
1. il ricorrente addebita alla Corte territoriale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 51 del c.c.n.l. Aziende Autonome del 5.4.1996, per essersi erroneamente ritenuto che il mantenimento, nel passaggio ad altra amministrazione, del menzionato elemento della retribuzione, dipendesse dal solo fatto che esso fosse stato stabilmente corrisposto presso l’ente di provenienza e non dalla valutazione della natura effettivamente fissa e continuativa di esso;
2. l’eccezione di inammissibilità del ricorso, per non contenere il medesimo la trascrizione del contenuto dei motivi di appello proposti dalla lavoratrice avverso la sentenza di primo grado ad essa sfavorevole, è infondata;
il contenuto di quei motivi è infatti del tutto irrilevante nella costruzione delle ragioni di impugnazione avverso la sentenza che li ha poi evidentemente accolti;
rileva infatti soltanto l’esistenza di una critica giuridica rispetto agli assunti di diritto sostanziale su cui si fonda la sentenza impugnata;
tale critica, nel caso di specie, sussiste ed è incentrata sull’erronea valorizzazione, da parte della Corte territoriale, dell’art. 51 del c.c.n.l., quale norma di disciplina del trattamento retributivo accessorio complessivo, ove viceversa, per il riconoscimento del diritto, avrebbe dovuto apprezzarsi, secondo il Ministero, se quell’elemento costituisse voce qualificabile, dal punto di vista giuridico e non per come di fatto si fosse verificata la relativa corresponsione, quale “fissa e continuativa”; nè può condividersi l’ulteriore eccezione di inammissibilità il cui rilevo è sollecitato con la memoria conclusiva, con riferimento alla carenza di sintesi narrativa della pronuncia impugnata, peraltro ritualmente allegata e prodotta, in quanto il motivo, consistendo in una critica di mero diritto sostanziale, è del tutto sufficiente a manifestare la pregnanza impugnatoria del ricorso;
3. nel merito il motivo è fondato;
vanno qui riportate, perchè integralmente condivise, le argomentazioni svolta da questa Corte in analogo contenzioso definito con ordinanza 5 luglio 2018, n. 17686; in quella sede si disse e va qui ribadito, precisandosi che in quella sede la pronuncia impugnata era stata di rigetto della domanda e che la numerazione dei singoli paragrafi motivazionali è quella propria della sentenza il cui contenuto viene qui riprodotto:
“8. che questa Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui ai fini della quantificazione dell’assegno personale riassorbibile vanno ricompresi nel concetto di retribuzione lo stipendio tabellare e le voci di carattere fisso e continuativo, con esclusione dei soli emolumenti variabili e/o provvisori, sui quali, per il loro essenziale carattere di precarietà e accidentalità, il dipendente non abbia ragione di riporre affidamento quali fonti di stabile e duraturo sostentamento per i bisogni usuali della vita (Cass. n. 18196/2017, 5959/2012);
10. che la disposizione contenuta nella L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 232, laddove dispone che l’assegno personale, non pensionabile e non rivalutabile, spettante ai dipendenti dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato trasferiti nei ruoli del Ministero delle Finanze è pari “all’eventuale differenza tra il trattamento accessorio complessivo in godimento all’atto del passaggio ed il trattamento accessorio complessivo spettante nella nuova posizione” e che tale assegno è “conservato fino al riassorbimento a seguito di futuri aumenti delle predette quote di retribuzione accessoria” deve essere letta nella sua interezza;
11. che l’espressione “in godimento” non ha altro significato che quello di individuare i due trattamenti stipendiali da comparare, quello già acquisito (in godimento) dal pubblico dipendente presso l’Amministrazione di provenienza e quello che spetta secondo la disciplina propria dei rapporti di lavoro dell’ente di destinazione e non quello di ricomprendere nel trattamento già acquisito (“in godimento”) anche emolumenti percepiti al momento del passaggio alla nuova Amministrazione ma che abbiano carattere di precarietà e di accidentalità;
12. che la garanzia del mantenimento del trattamento economico acquisito presso l’ente di provenienza, riconosciuta dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 232, per essere finalizzata ad evitare che a causa del passaggio presso il Ministero il trattamento economico complessivo già acquisito subisca decrementi, non può operare con riguardo ad indennità ed emolumenti la cui corresponsione da parte della precedente datrice – di lavoro sia stata eventuale in quanto correlata al ricorrere di particolari condizioni e determinata in relazione a particolari parametri di computo, con conseguente irrilevanza della circostanza che tali emolumenti al momento del passaggio siano stati percepiti;
13. che le clausole negoziali della contrattazione collettiva del Comparto Aziende Autonome dello Stato succedutasi nel tempo (CCNL del 5.4.1996: art. 46 (lett. d) e art. 52; CCNL stesso comparto del 24.5.2000 art. 66, lett. a)), nel correlare il “compenso per la produttività collettiva” ai miglioramenti dell’efficacia ed efficienza dei servizi ed alla verifica del raggiungimento degli obiettivi, attestano in modo inconfutabile che detto compenso, pur previsto nell’ambito del trattamento economico accessorio, non ha carattere nè fisso nè continuativo ma, di contro, eventuale e subordinato al verificarsi di precise condizioni ed al rispetto dei parametri indicati dalla contrattazione collettiva;
14. che pertanto è corretta la statuizione impugnata (in quella sede, n.d.r.) che ha ritenuto che il compenso per la produttività collettiva ai sensi degli artt. 65 e 66 del CCNL 1998-2001 Comparto Aziende e Amministrazioni Autonome dello Stato, ricompreso nell’ambito del trattamento economico accessorio, non avendo carattere fisso e continuativo in quanto correlato alla realizzazione degli obiettivi e dei programmi di incremento della produttività ed essendo erogabile all’esito della verifica del raggiungimento dei risultati, esula dalla previsione contenuta nella L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 232 e non è pertanto computabile ai fini dell’attribuzione dell’assegno “ad personam” e tanto a prescindere dalla circostanza che detto compenso sia stato di fatto erogato anche in assenza di tale verifica;
15. (….) il “decisum” della sentenza impugnata (in quella sede, n.d.r.) poggia sulla considerazione, corretta per quanto innanzi osservato, che il carattere fisso e continuativo del compenso, necessario per la determinazione dell’assegno “ad personam”, prescinde dalla sua effettiva erogazione sicchè altrettanto correttamente la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante che esso fosse stato corrisposto al momento del passaggio dell’odierno ricorrente dall’Azienda al Ministero;
16. che le argomentazioni spese (anche nella sentenza impugnata, n.d.r.) con riguardo alla indennità premio industriale sono prive di pregio giuridico atteso che tale indennità trova una sua compiuta disciplina nell’art. 63 (c.c.n.l. 24.5.2000, n.d.r.), che conferma per il personale in servizio, la corresponsione del premio per l’incremento del rendimento industriale di cui all’art. 54, comma 4 e dell’indennità di funzione di cui all’art. 55, comma 4 (ed, n.d.r.) istituisce il Fondo di cui all’art. 65, lett. B);
17. che non vengono in rilievo i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 6106 del 2012, relativa a controversia avente ad oggetto la questione, diversa da quella dedotta nel presente giudizio, relativa al riassorbimento integrale operato dall’Agenzia delle Entrate dell’assegno assorbibile” in godimento al personale transitato dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato con l’ammontare dell’indennità di agenzia di cui all’art. 87 CCNL 2002-2005, anzichè con quella sola parte di effettivo incremento di retribuzione accessoria di cui al comma 2, lett. b);
18. che nella richiamata sentenza le Sezioni Unite hanno precisato che il raffronto deve essere riferito al trattamento “complessivo” anteriore alla data del passaggio nella nuova posizione lavorativa e al trattamento “complessivo” successivo a tale data”;
la disciplina giuridica dell’emolumento rivendicato è quella come sopra ricostruita, tra l’altro meglio coerente con l’interpretazione propria delle norme più generali richiamate dalla Corte territoriale (L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 3, comma 57, come autenticamente interpretato dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 226, su cui v. Cass. 24 maggio 2013, n. 12906) e resta altresì irrilevante quanto disposto dall’art. 51 del c.c.n.l. 1996 in merito al trattamento accessorio, su cui dunque ha fatto ingiustificatamente leva la sentenza impugnata;
4. per tutte le suddette ragioni il ricorso deve essere accolto e la sentenza va cassata; non essendovi altri accertamenti di fatto da svolgere, può procedersi alla definizione nel merito del giudizio, con reiezione della domanda giudiziale quale dispiegata dalla lavoratrice;
5. le diverse conclusioni raggiunte nei due gradi di merito giustificano, rispetto ad essi, la compensazione delle spese di lite, mentre restano regolate secondo soccombenza le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda della P.. Compensa le spese dei gradi di merito e condanna la controricorrente al pagamento in favore del Ministero delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 31 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2020
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